Normalmente, quando si parla di videogiochi in Europa si ha la tendenza a guardare alla Francia. Da quelle parti ci sono colossi del livello di Ubisoft, svariati sviluppatori talentuosi e più di un giovane studio in crescita, ma tra i paesi francofoni non è solo la nazione della Torre Eiffel a vantare una certa affinità con l’industria videoludica. In Belgio, ad esempio, c’è un piccolo studio chiamato Larian, poco noto ai più, ma creatore di quel Divine Divinity che molti anni or sono ha conquistato buona parte degli amanti dei gdr, grazie a una serie di idee innovative e a una notevole profondità.
Senza troppe risorse su cui contare e spinti principalmente dalla passione per la programmazione, questi sviluppatori hanno deciso di prendere il controllo dell’universo del loro gioco più noto, e di ambientarvi gran parte dei loro prodotti successivi con risultati più che buoni. Davanti a un mercato in continua evoluzione, si sono quindi dedicati a due nuovi progetti: Divinity Original Sin e Dragon Commander. Il primo è un gdr vecchio stile, ricco di trovate interessanti, finanziato con oltre un milione di dollari tramite Kickstarter e ancora in lavorazione. Il secondo è uno strategico, che ha catturato l’attenzione di molti per la volontà di mescolare combattimenti aerei nei panni di un drago al tipico gameplay tattico degli rts su pc.
Incuriositi da qualunque cosa contenga un drago utilizzabile, e dopo aver ricevuto un codice review gentilmente offerto dalla software house, ci siamo gettati sul secondo titolo sperando di rivedere gli stessi sprizzi di genialità visti in passato, magari uniti a qualcosa di realmente originale. Ecco cosa abbiamo scoperto.
Half dragon, all awesome
La premessa di Divinity: Dragon Commander è davvero semplice. Il mondo di Rivellon, un tempo guidato da un prode condottiero, è ora diviso tra i tre figli traditori di quest’ultimo, consumati dalla brama di potere. Maxos, un potente mago amico dell’ormai deceduto imperatore, si rivolge al quarto figlio “bastardo”, un mezzo drago ancora puro di cuore, e capace di riunire i regni con il suo straordinario potere.
Dopo averlo messo a capo di un gruppo di generali a dir poco multiforme, Maxos affida al Cavaliere del Drago (così sono chiamati gli uomini capaci di trasformarsi nelle possenti lucertolone volanti) il controllo del Raven, un poderoso vascello volante, e decide di istruirlo fino alla conquista totale dell’impero.
Non certo granché come trama, ma abbastanza per dare il via a uno strategico, e per introdurre numerosi fattori da tenere in considerazione. Dragon Commander è infatti un titolo che costringe a tenere d’occhio numerosi elementi, e la cui storia viene costruita più sui dialoghi e le relazioni con i tanti individui che bazzicano per il Raven che non su una serie di vicende dal ritmo serrato.
Si parte ovviamente dalla mappa del mondo, inizialmente ridotta a una zona limitata da conquistare per dimostrare il proprio valore ai popoli di Rivellon e ai propri generali. La gestione delle regioni è semplice: le unità possono venir costruite in zone dove si trovano delle fabbriche dedicate, si spostano solo nelle regioni limitrofe (e non se appena costruite), conquistano automaticamente le nazioni neutrali, e danno il via a una battaglia se si trovano nella stessa locazione di unità controllate dai nemici. Ogni nazione è abitata da una specifica razza, e può contenere al massimo un edificio a scelta tra numerose opzioni, rispettivamente capaci di aumentare l’oro e i punti ricerca guadagnati o di donare utili carte utilizzabili ad ogni turno per ottenere bonus.
Una struttura basilare, che si amplia quando si torna a bordo del Raven e si inizia ad avere a che fare con la diplomazia e i rappresentanti delle varie razze. Questo perché, conquistata la prima zona, il protagonista si ritroverà in una mappa ingigantita contro i suoi fratelli, a dover conquistare zone culturalmente molto diverse e abitate da ogni genere di razza trovabile in un’ambientazione fantasy. Elfi, nani, uomini lucertola, non morti e imp… avrete a che fare con diplomatici di ogni tipo, e durante l’avventura dovrete ascoltare le loro proposte e prendere decisioni politiche che aumenteranno o diminuiranno l’apprezzamento dei popoli coinvolti. Più una razza vi sarà fedele, maggiori saranno le risorse guadagnate dalle loro regioni, quindi sarà sempre cosa buona e giusta valutare attentamente a chi dare ragione in base alle conquiste fatte.
E’ una bella trovata, allarga lo spettro delle decisioni e risulta interessante per buona parte della campagna, anche perché unita a elementi gdr marcati come la ricerca di nuove unità, di potenziamenti alle truppe, o di abilità draconiche con l’uso dei punti ricerca citati in precedenza. C’è addirittura la possibilità di sposare una tra varie principesse, e di completare storyline ad esse dedicate che muteranno il loro atteggiamento nei vostri confronti e l’equilibrio dei poteri.
Noi in particolare abbiamo apprezzato il non prendersi troppo sul serio del gioco, che contiene dialoghi spesso ricchi di umorismo e qualche situazione diplomatica abbastanza paradossale. Una scelta vincente, che vi donerà qualche risata.
Se mi attacchi, ti fiammo
Il tutto, ad ogni modo, si incrina leggermente quando si passa al fulcro del titolo Larian: gli scontri. Una volta cominciata una battaglia, ci si ritrova all’interno di mappe tridimensionali gestibili con una telecamera libera dall’alto. Qui l’obiettivo sarà conquistare varie fondamenta neutrali per costruire palazzi in grado di donare reclute e fabbriche, entrambi indispensabili per la produzione di unità. I controlli sono semplificati al massimo, si selezionano le truppe prodotte e le si manda all’attacco, con la possibilità di usare abilità specifiche per ogni unità manualmente o con l’uso di hotkey dedicate. La vera novità sta nel potere del giocatore di trasformarsi in drago, e di aiutare i suoi alleati direttamente dal cielo. Entrati in campo al costo di 20 reclute, potrete far piovere distruzione sull’esercito nemico senza pietà, o supportare la vostra armata con aure, buff e cure attive. Il vostro drago sarà poi armato di un fichissimo jetpack, con cui schivare i proiettili nemici o spostarsi all’istante da una zona all’altra della mappa.
Suona benone nevvero? Ma i difetti ci sono, e sono evidenti. Giocando in singolo il drago è davvero troppo potente, e se usato con criterio può devastare senza problemi l’armata avversaria, anche se si sceglie di difendere una zona con un numero di truppe enormemente inferiore a quelle del nemico. Per ribilanciare la situazione gli sviluppatori hanno reso impossibile la trasformazione per i primi minuti e limitato lo spam degli attacchi con un indicatore, ma non basta. E’ sufficiente diminuire la velocità dell’azione, costruire qualche torretta per prendere tempo, e BAM, una volta preso il controllo del vostro dragone tutto diverrà una passeggiata. Non aspettatevi inoltre manovre a tenaglia o momenti di microgestione da manuale, le mappe e la velocità generale del gioco permettono ben pochi virtuosismi.
Va in verità precisato che molti giocatori riterranno difficilissimo il gioco alle prime prove, ma questo è solo dovuto alla scarsità dei tutorial. Le istruzioni in game infatti non spiegano che durante la trasformazione tutte le unità possono venir costruite tramite hotkey, e controllate con facilità come se ci si trovasse nella visuale di comando normale. Basta dare un’occhiata alla configurazione dei tasti per prendere confidenza con il proprio drago interiore e dominare ogni scontro.
I problemi di bilanciamento si espandono anche alla mappa generale, dove una strategia aggressiva paga fin troppo, ed è possibile accumulare oro nella prima fase per partire con un vantaggio esagerato. Da una parte è lodevole il fatto che solo in una battaglia per turno si possa contare sui vostri poteri, mentre per le altre dovrete affidarvi ai vostri generali, ognuno dotato di caratteristiche e abilità uniche. Eppure, una volta capito l’andazzo, non sarà difficile gestirsi in modo da respingere praticamente ogni minaccia.
E’ un vero peccato, perché le idee di fondo erano più che buone, le carte utilizzabili prima della battaglia aggiungevano pepe e tattica agli scontri, e la possibilità di vagare per le mappe in forma di drago aveva enorme potenziale. Parte di questo potenziale viene espresso nel multiplayer, dove gli avversari umani hanno a disposizione una forma draconica esattamente come voi, e sono nettamente più aggressivi e pericolosi dell’I.A., tuttavia non sarebbe stato arduo inserire delle fasi più complicate o all’altezza del gioco online anche nella campagna principale. Nel complesso, puzza un po’ di occasione sprecata, nonostante il titolo riesca a divertire comunque con il suo mix di costituenti.
Tecnicamente l’opera di Larian non è superlativa, ma si difende discretamente bene, con personaggi ben caratterizzati e abbastanza carismatici, doppiaggi più che buoni (anche se gli accenti forzati sono in sovrannumero) e una resa passabilissima su pc di fascia media. Nulla da dire infine per la longevità, visto che vi ci vorrà qualche ora buona per completare la campagna, potreste essere spinti a rigiocarla per gestire in modo diverso le sottotrame legate a principesse e diplomazia, e il multiplayer è abbastanza ben calcolato da potervi catturare senza pietà.
– Mix riuscito di elementi, in particolare diplomazia e fasi pre-battaglia
– Draghi. Con. Jetpack.
– Online ha del notevole potenziale
– Non si prende troppo sul serio
– Gameplay sbilanciato in singolo
– Elementi tattici un po’ troppo semplificati
– Tutorial scarsi che non spiegano a dovere le meccaniche avanzate
Divinity: Dragon Commander è un’occasione parzialmente sprecata. Da una parte è uno strategico ricco di elementi da tenere in considerazione, inserito in un’ambientazione interessante, e pieno zeppo di idee originali. Dall’altra però il suo gameplay semplicistico durante le battaglie, lo scarso bilanciamento del gioco in singolo, e l’incapacità degli sviluppatori di approfondire certe meccaniche ispirate come le l’uso delle carte o del drago in battaglia, abbassano la qualità generale del gioco a “solo buono”. Anche se un po’ delusi, non possiamo comunque non fare i complimenti a Larian per l’originalità, e sperare che riescano a sfruttare il loro talento in progetti altrettanto peculiari in futuro. Le basi ci sono, e sembrano quantomai solide.