Tra le pellicole più significative e controverse del cinema postmoderno, Blade Runner di Ridley Scott torna in sala nella sua versione The Final Cut i prossimi 6 e 7 maggio, a 33 anni di distanza dalla sua originale uscita nei cinema e nella versione che più si avvicina all’intento registico iniziale. Opera terza in lungo del regista britannico – uscito ad appena tre anni di distanza da un altro suo grande capolavoro, Alien, con protagonista l’androgina Sigourney Weaver – Blade Runner si ispira al romanzo Il cacciatore di androidi, scritto da Philip K. Dick, il quale – pur partecipando attivamente al controllo della sceneggiatura (creando non pochi grattacapi allo stesso Scott e al team di sceneggiatori, con annessi rallentamenti nella produzione) – non riuscì mai a vedere la versione finale del film, in quanto morì poco prima la sua ultimazione.
Sono numerosi i temi che si intrecciano all’interno di Blade Runner, rendendolo una delle pellicole più importanti e più profonde della cinematografia ridleyana. Se ad uno sguardo superficiale, il film può essere ricondotto al genere action, l’opera di Scott nasconde in realtà tematiche molto complesse, che fanno grande riferimento alla cultura postmoderna vigente nel cinema di quegli anni. In primo luogo, la costante presenza del tema dell’occhio, di cui la pellicola è pervasa: l’occhio che apre il film, i replicanti vengono riconosciuti in quanto tali rispetto agli esseri umani grazie ad un sofisticato test dell’iride, l’ossessione che gli stessi replicanti hanno nei confronti delle fotografie, le quali – seppur in modo fittizio, perché frutto di innesti di memoria “pre-confenzionata” – servono loro da inganni visivi per dare un senso alla loro esistenza artificiale. Tutti questi elementi si ricollegano con insistenza al tema del vedere, ma da cui l’occhio umano ne esce sconfitto, in quanto incapace di cogliere e percepire la realtà, un aspetto che rappresenta uno dei pilastri di cui è intriso il cinema postmoderno. L’unica soluzione per l’uomo, “vittima” di questa cecità, di riuscire a vedere è affidarsi alle macchine, le quali – essendo un insieme di ingranaggi e di codici binari – riescono a cogliere i vari aspetti del mondo senza inganni o “veli”, come accade nella splendida sequenza in cui Rick Deckard, grazie ad uno scanner iper-sofisticato, coglie il dettaglio da una fotografia, che gli permette di identificare uno dei replicanti ribelli.
Ma dalla cultura postmoderna, Blade Runner recupera anche la scelta di mescolare generi molto diversi tra loro. Di primo impatto, la pellicola di Scott rimanda ad un mondo dichiaratamente distopico, un carattere molto presente in tanta letteratura fantascientifica (a partire da Ray Bradbury, autore di Fahrenheit 451 e Cronache marziane, a cui si fa più volte riferimento all’interno del film), a cui si aggiunge una forte componente cyberpunk, di cui il film rappresenta uno dei primi esempi di trasposizione al cinema. Eppure, il genere che meglio identifica Blade Runner è il noir: la presenza di una femme fatale (l’emblematico personaggio di Rachel); una Los Angeles – città amata dal cinema noir – sommersa da pioggia battente (anche questo, un altro elemento chiave del genere); un anti-eroe travagliato e tormentato; l’investigation-story, sono tutti elementi che rendono la pellicola di Scott un “noir del futuro”, regalando al contempo anche uno dei ritratti più enigmatici e interessanti interpretati dallo stesso Harrison Ford.
Tra i tanti temi rintracciabili all’interno della pellicola e che le permettono di raggiungere lo status di capolavoro, vi è senza dubbio anche quello relativo al concetto di umano Vs macchina. Con un dichiarato omaggio alla letteratura di Mary Shelley e al suo personaggio-emblema (l’uomo di Frankenstein), Scott affronta una questione delicatissima e di rara bellezza, ossia la capacità delle macchine (qui rappresentate dai Replicanti) di provare dei sentimenti importanti, come la compassione. Un tema affascinante, di grande attualità (l’uomo ancora oggi insegue il mito del Dio creatore, con la volontà di creare macchine che possano a poco a poco diventare umane), che porta lo spettatore a riflettere su cosa permetta all’essere umano in quanto tale di distinguersi da ciò che non lo è, dal momento che qui gli stessi esseri umani – con l’arrogante volontà di farsi padri creatori – non hanno alcuna remora nel disattivare/spegnere, e dunque uccidere, coloro a cui hanno dato la vita. La visione che Scott offre sull’umanità del futuro è cupa, soffocante, pessimistica, a cui si contrappone una vita artificiale che, come si scopre alla fine del film, è l’unica capace di pietas.
Potremmo dilungarci per ore a vivisezionare una pellicola complessa e di grande bellezza come Blade Runner. Ancora oggi considerato uno dei capisaldi del cinema postmoderno e forse, insieme ad Alien, uno dei più grandi capolavori del cinema di Ridley Scott, la riproposizione in sala della Final Cut Edition è una di quelle occasioni imperdibili per rivivere al cinema la magia e l’atmosfera di un film che ha segnato una tappa importante della storia della settima arte, e con il finale che i più grandi appassionati di Blade Runner hanno letteralmente amato. L’appuntamento è in sala i prossimi 6 e 7 maggio, non lasciatevi sfuggire questa memorabile opportunità. E dopo aver visto il film, non dimenticatevi di mettere in loop la straordinaria colonna sonora composta da Vangelis, che potete ascoltare su Spotify a questo link).