Ubisoft si sta rapidamente facendo un nome nel mondo digital grazie a una serie di prodotti di ottima qualità, sviluppati da piccoli e talentuosi team spesso rafforzati dalla possibilità di dare sfogo alle proprie idee. Questa intelligente filosofia ci ha portato molti prodotti originali, ma cosa succede quando la si applica a uno dei marchi più noti della casa?
Beh, la conseguenza diretta è una perdita di unicità, eppure questo non significa che Assassin’s Creed Chronicles: China, curioso spin off della saga più famosa del colosso francese (e prima parte della serie “Chronicles”), non sia un titolo valido. Nella recensione odierna cercheremo di spiegarvi perché.
La tigre e il serpente
In Assassin’s Creed China vestirete i panni di Shao Jun, un’ex concubina divenuta assassina e ormai avviata sulla strada della vendetta, dopo che i templari hanno sterminato l’ordine in oriente. Jun si fa rapire senza opporre resistenza, per avvicinarsi a uno dei responsabili del massacro. Inizierete quindi la vostra avventura dietro le sbarre di una cella sospesa (per la verità fin troppo “delicata”), dopodiché dovrete superare un esercito di guardie per arrivare lentamente fino alla testa dell’organizzazione che vi ha reso, volenti o nolenti, uno degli ultimi assassini del continente.
Una linea narrativa piuttosto scarna, che sembra seguire il filone degli ultimi capitoli principali e voler lasciar perdere almeno in parte il peso della trama per concentrarsi sul gameplay. C’è solo un problema: il sistema di gioco di China non è originale.
Andiamo per ordine. Assassin’s Creed China è un titolo in 2.5D, quindi un gioco prevalentemente bidimensionale con la terza dimensione utilizzata per dei cambi di profondità o spostamenti improvvisi della visuale. Questa netta trasformazione ha portato gli sviluppatori a rivoluzionare del tutto il gameplay, che ha abbandonato in larga parte la formula action-adventure degli Assassin’s Creed originali per orientarsi nettamente di più verso lo stealth. Tale formula in un videogame 2D, però, l’hanno già usata alla grande i Klei con Mark of the Ninja, e China non solo è arrivato dopo, ma in larga parte riutilizza le brillanti idee avute dal piccolo studio indipendente che ci ha regalato gli Shank e Don’t Starve.
Esattamente come in Mark of the Ninja, China presenta guardie con una visuale conica e ben definita, zone di oscurità e porte dove nascondersi, rampini che permettono di arrampicarsi e pareti scalabili, uccisioni silenziose di vario tipo e da varie posizioni, gadget utili per distrarre gli avversari e persino un punteggio variabile in base alle prestazioni e allo stile di gioco adottato. Se nell’opera di Klei, ad ogni modo, tutti gli approcci erano legati allo stealth, con tanto di terzo approccio pensato per provocare il terrore nei nemici, qui si possono affrontare le missioni in modo più aggressivo, in parte grazie a un combat system basato sui counter e su due tipi di attacchi piuttosto vicino a quello solito, e in parte per via di un’intelligenza artificiale dei nemici da rivedere. Non stiamo esagerando, basta uscire dal cono visivo degli avversari per andarsene con sicurezza il 90% delle volte, e non mancano gli episodi in cui è possibile eliminare le guardie con facilità dopo che queste hanno trovato un corpo morto, nonostante ciò attivi automaticamente lo stato di allarme. La struttura delle mappe, a sua volta, non è calcolata alla perfezione, tanto da permettere di eseguire in una manciata di passaggi uccisioni che dovrebbero risultare piuttosto impegnative. Siamo riusciti ad eliminare in un nanosecondo uno dei bersagli primari della campagna, ad esempio, sfruttando alcuni petardi stordenti e due balzi ben piazzati, nonostante non avessimo completato un obiettivo secondario, con la conseguenza di trovare ben tre guardie extra armate di fucile in aggiunta alla scorta del nostro obiettivo.
Non disperate comunque. Abbiamo fatto l’elenco dei difetti e non sono pochi, specie se si fa un paragone al diretto concorrente, eppure China resta un prodotto piuttosto curato e divertente.
Not a ninja in the end
La mobilità, in primo luogo, è più limitata di quella di Mark, ma più fedele a quella della saga d’appartenenza, visto che Shao Jun può muoversi tra pareti scalabili e baratri con balzi e movenze che ricordano da vicino la grazia felina di Ezio e compagnia. Non è inoltre possibile balzare di muro in muro con libertà totale, per rendere l’avanzamento più calcolato, ed è la mezza dimensione in più a sopperire parzialmente alle limitazioni che ciò provoca. Inoltre, l’aumento di difficoltà è sensibile al punto da rendere i livelli finali ben più esaltanti della prima metà del gioco: gli sviluppatori infatti hanno variato non poco la struttura della campagna, inserendo quest diversificate, situazioni particolari e nemici dotati di abilità specifiche, come scudi o un udito sopraffino, che costringono ad usare al meglio le capacità della protagonista e gli oggetti a sua disposizione. Non è certo un gioco difficile, ma se affrontato con l’intenzione di completare tutto alla perfezione o di ottenere il massimo dei punteggi vi farà sudare non poco.
Parlando di abilità, Shao Jun ottiene di livello in livello trucchetti niente male, tra cui rampini per attaccarsi alle pareti, uccisioni acrobatiche e persino un teletrasporto non abusabile. La progressione non è perfetta, ma va di pari passo con l’aumento di complessità del level design, risultando convincente.
Anche tecnicamente è il caso di fare i complimenti al team di sviluppo. China non è un gioco sorprendente a livello tecnico, ma graficamente ha un certo stile, vicino all’arte cinese dell’epoca e volutamente essenziale. I modelli tridimensionali semplici inizialmente non catturano l’attenzione, ma non appena si varcano le porte della prigione per visitare altre location ci si rende conto di quanto azzeccati siano nell’insieme e dell’ottimo lavoro fatto nell’art direction.
– Gameplay orientato verso lo stealth
– Difficoltà crescente che invoglia a continuare
– I.A. da rivedere
– Level design non sempre impeccabile
Il peccato più grave di Assassin’s Creed China sta nell’essere arrivato dopo l’eccellente Mark of the Ninja dei Klei. Nell’insieme il lavoro di Ubisoft è meno appagante e originale, oltre ad essere inferiore a livello di game design e narrativa. Ciononostante, resta uno stealth dignitoso, che riesce a divertire. Forse non è questo il modo in cui i fan volevano veder sfruttata un’ambientazione ricca di potenziale come la Cina, ma ci sembra un buon inizio per i Chronicles e un DLC da prendere in considerazione.