Si rinnova l’appuntamento con questa rubrica profondamente soggettiva, all’interno della quale scopro, da videogiocatore, le mie carte. Lo spirito di questa rubrica mi impone di farlo con assoluta chiarezza, con essenziale sincerità e, soprattutto, con la consapevolezza che un’opinione, per quanto condivisa, resta sempre un’opinione.
Così, a partire da questa sempre valida premessa, ho deciso di fare due chiacchiere attorno a Dark Souls 2, e relativi precedessori, ultimo lavoro di From Software in grado, da solo, di riuscire a mantenere più viva che mai una generazione che, ormai, dobbiamo necessariamente definire “vecchia”.
Ci sarebbero davvero mille cose da dire, un’immensità di opinioni da esprimere e, fondamentalmente, da commentare; perché la serie di From Software possiede delle caratteristiche uniche, essenziali, profonde e nello stesso tempo disarmanti. Quella dei Souls è una serie che è riuscita ad immergermi in un universo fondamentalmente contorto, in una sorta di caotica chiarezza che suscita, imprescindibilmente, delle visioni altrettanto caotiche, certe, ma, al contempo, sempre permeate dalla possibilità dell’errore.
Per quanto mi riguarda, dunque, queste opere di From Software possiedono due punti essenziali di forza. Il primo sta nel gameplay, che riesce ad unire, in modo assolutamente brillante, profondità e semplicità; già, perché grazie all’utilizzo di pochi tasti il videogiocatore si trova davanti a molteplici possibilità di approccio, a diversi modi di modificare il proprio incedere, modificando il suo personaggio e, con esso, l’intero gioco.
Il secondo punto di forza, invece, risiede nella sua mitologia, nel pensiero di fondo che mescola continuamente le certezze, dando origine ad una storia dai mille volti, sempre disponibile ad essere osservata da diversi punti di vista, sempre pronta, in altre parole, ad essere soggettivamente analizzata e compresa.
Pertanto, è da questi due punti che ho deciso di iniziare, con sincerità, a scoprire le mie carte.
La via verso la battaglia
La prima carta che voglio scoprire, quindi, riguarda proprio il gameplay, le possibilità concesse al giocatore di interpretare il gioco non solo a livello narrativo, ma anche e soprattutto a livello qualitativo, essenziale. La natura GDR del titolo si sente sin dalle prime battute, e, detto per inciso, in un gioco che comincia dalla non-morte e dalla maledizione non poteva essere altrimenti. È vero, Dark Souls II è un action-GDR, eppure la profondità del sistema di crescita, e mille variabili a livello tattico ed espressivo, riescono, a mio parere, a dare vita ad un genere che travalica profondamente i limiti imposti dalla comune classificazione.
Così, From Software riesce a sfruttare al meglio la profondità della componente GDR per dare vita a videogiochi essenzialmente punitivi, complessi, difficili ma, non per questo, impossibili da giocare. Maggiore è la difficoltà, maggiore è la soddisfazione che si ricava dal suo superamento; gli sviluppatori hanno fatto propria questa filosofia, creando una serie di titoli in cui il videogiocatore avverte, tangibilmente, il suo proprio miglioramento, la sua evoluzione, la sua forza.
In questo senso, a mio parere, Dark Souls II rende alcune cose più facili. Ad esempio, non mi è affatto piaciuta la modifica apportata al respawn dei nemici. Ricordo ancora con chiarezza, infatti, la necessità di programmare perfettamente la mia corsa per giungere allo scontro con Ornstein e Smough senza perdere tempo, e soprattutto senza farmi colpire dai giganti di Anor Londo. Oppure, per citare un altro esempio, viene meno anche la possibilità di continuare a testare la propria tattica contro un determinato tipo di nemico, o cercare di comprendere, a proprie spese, in quali occasioni conviene davvero un contrattacco. Va detto che, in questo modo, gli sviluppatori costringono il videogiocatore a confrontarsi con nemici più forti, impedendo il farming spropositato e il blocco in alcune aree; eppure, personalmente, ho trovato questa modifica limitante, una sorta di tradimento verso quello spirito cattivo del suo predecessore.
Ho apprezzato molto, invece, la nuova struttura del dual-wielding puro, e la possibilità di equipaggiare più armi e più anelli; questa possibilità, da alcuni vista come una semplificazione, rappresenta, a mio parere, un accrescimento delle opportunità offerte al videogiocatore, il quale, con grande velocità, può immediatamente modificare il suo approccio, e, nello stesso tempo, essere pronto ad affrontare diverse situazioni, mettendo in pratica una tattica diversa per evitare, a conti fatti, l’ennesima morte.
Luci e Ombre
Veniamo, a questo punto, alla seconda carta che voglio scoprire assieme a voi. Una carta decisamente personale ed estremamente soggettiva, perché il mondo di questa serie è riuscito a trasmettermi delle sensazioni essenzialmente profonde, chiare e precise, nonostante la loro forma oscura, a tratti vaga e assolutamente indistinta. Dark Souls II, e tutti i titoli della serie, riesce, in un modo assolutamente non ordinario a “raccontare” una storia fatta di luci e ombre, di realtà e spiriti, di uomini e fantasmi. A mio parere, si tratta di una storia coinvolgente, che riesce a mettere in luce alcune realtà mentre, inesorabilmente, ne nasconde altre. Gli avvenimenti di Dark Souls II sono una sorta di punto di luce sul ciclo, e sull’importanza, della rinascita. Perché ogni nemico sconfitto, ogni boss ucciso non si perde nel vuoto, ma permane all’interno di quel microcosmo che accoglie la sua essenza, la sua “Anima”. Così, mentre il videogiocatore si sposta nel suo universo, quella luce illumina cose diverse, impensabili, quasi impossibili; e tutto accade sin dalle pagine di caricamento, quando sono gli oggetti a raccontarmi una storia, a narrarmi di epoche passate e presenti, una storia che, a tratti, sembra quasi sbagliata, paradossale. Vedo quella storia ad ogni angolo, ad ogni panorama, la vedo scritta su ogni rovina, su ogni architettura che parla di qualcosa che deve essere accaduto, o che, forse, deve ancora accadere. Ascolto quella stessa storia da ogni singolo boss, mostruosamente caotico, fatto di paure incontrastate e di pezzi che si mescolano con una logica macabra. Ogni oggetto, ogni scudo, ogni lama sembra raccontare la sua storia e quella del mondo da cui origina; così, Dark Souls sembra invitarmi a mettere assieme i pezzi del puzzle, sembra quasi suggerirmi che in qualsiasi modo io lo faccia sarà sempre quello giusto, come un’immagine che cambia in base all’occhio che la osserva, restando, al contempo, perfettamente identica a se stessa.
Allora, e solo allora, capisco che Dark Souls II, in realtà, non racconta niente, ma sono io che mi racconto una storia, proprio qui, nel castello di Drangleic, mentre dinanzi a me siede Nashandra, che mi parla, da lontano, posso vederla ma sembra quasi che l’infinito separi me dal suo trono, con poche parole mi invita ad andare avanti, ad incontrare il re. Più avanti scorgo una nebbia, dietro di essa ci sarà un nuovo boss, una nuova anima pronta a testare la mia forza…sono pronto, o forse no, quale storia si cela oltre la nebbia? Luce, o Ombra? Una cosa è certa, al mio fianco, amichevole, c’è il sorriso della morte.
Ecco, Dark Souls II, a mio parere di semplice videogiocatore, è tutto questo, e, forse, è anche di più. Come potete facilmente vedere, dietro la seconda carta non c’è solo un’opinione, bensì un intero mondo di sensazioni in continua evoluzione, in un perenne vortice di comprensione ed interpretazione, che condivido volentieri con tutti voi che, assieme a me, vagate ancora all’interno di Drangleic.
Dark Souls II è, a tratti, meno punitivo dei suoi predecessori, con ambientazioni sicuramente meno vaste e con qualche boss un po’ anonimo; eppure resta un titolo che è riuscito a trasmettermi un incredibile senso di smarrimento e, allo stesso tempo, di partecipazione. Mi resta da scoprire solo l’ultima carta, la più personale e la più semplice: per me, Dark Souls II è, e resta, un assoluto capolavoro, nel suo gameplay diversificato e nella propria essenza, nella sua natura unica e, in definitiva, estremamente coinvolgente, in grado di regalare delle soddisfazioni reali e perfettamente tangibili.