In un mercato dove i MOBA dominano incontrastati, gli RTS – capitanati da baluardi ormai storici come StarCraft e XCOM 2 – lamentano una progressiva perdita d’utenza, schiacciati in parte dalla loro eredità storica e dalle caratteristiche intrinseche del genere di cui fanno parte. Certo, alcune software house stanno cercando di donare nuova linfa vitale a questa tipologia di giochi che fatica sempre più nel trovare un nuovo spazio adatto alla rinascita, come fenice dalle ceneri: una di queste è Relic Entertainment, che, dopo un lungo sviluppo e il lancio di un trailer capace di ottenere una risposta incredibilmente positiva, in quel di Londra hanno mostrato in anteprima la propria punta di lancia, Warhammer 40.000: Dawn of War III. Può la loro nuova creatura, il seguito di uno dei migliori RTS delle scorse generazioni, portare in auge un genere ormai in crisi?
Tre capisaldi, tre certezze
La filosofia “bigger, better and badass” che sembra aver fatto breccia nei cuori di molti sviluppatori – dopo la definizione coniata da Cliffy B in occasione del secondo capitolo di Gears of War – pare sia stata largamente apprezzata anche dai game designer di casa Relic Entertainment. La formula menzionata, nel caso di Warhammer 40.000: Dawn of War III, si basa su tre capisaldi che gli stessi sviluppatori hanno definito fondamentali per costruire l’esperienza di gioco. Il primo pilastro è identificato chiaramente nella rappresentazione delle battaglie su larga scala, fondamentali in un titolo che porta sulle spalle il peso di un franchise così forte: il focus è stato posto sulla costruzione di momenti audiovisivi spettacolari con un occhio di riguardo al giocatore, in modo tale che egli, durante battaglie campali all’ultimo sangue in cui sono coinvolte numerose unità, possa comunque capire e dominare il campo di battaglia attraverso indicatori e marker facilmente individuabili. Il secondo caposaldo è invece rappresentato dal più che scontato ritorno della costruzione e personalizzazione delle proprie armate, grazie al quale il secondo capitolo della serie era riuscito a ritagliarsi un’identità propria nel panorama RTS. Le tre tipologia di unità da schierare e gli Eroi sono personalizzabili a livello di abilità passive e skill attive; i secondi sono depositari di alcune proprietà uniche che possono determinare la strategia da utilizzare nel corso della battaglia e – come nel precedente titolo legato alla saga – sarà possibile rintracciare sul terreno di gioco alcuni particolari pezzi d’armamento utili a potenziare ulteriormente i soldati sul campo. Il terzo pilastro durante la creazione di Warhammer 40.000: Dawn of War III si è rivelato essere l’accessibilità: un termine non certo negativo che in realtà sottintende la volontà da parte degli sviluppatori di inserire tutorial adeguati, accompagnando così i novizi e le nuove leve in un genere dal grande passato e dal futuro ancora incerto. Questo non ha portato Relic Entertainment a semplificare le meccaniche classiche della serie, bensì a costruire una campagna che permetta ai neofiti di capire e comprendere in dettaglio tutte le possibilità strategiche a disposizione: attraverso obiettivi specifici di missione e retribuzioni generate da alcuni determinati comportamenti l’utente verrà quindi stimolato a esplorare in profondità ogni singola meccanica presente all’interno di Warhammer 40.000: Dawn of War III, in modo tale da poter poi approcciare il multiplayer con quel pizzico di competitività e competenza in più. Purtroppo non abbiamo potuto testare con mano questa importante modalità, ma siamo stati spettatori di un breve “riassunto guidato” di una missione della campagna single-player, vestendo i panni di Gabriel Angelos e delle legioni di Space Marine.
In viaggio verso Acheron
La campagna, punto focale dei precedenti episodi della saga di Dawn of War, presenta un indirizzo tripartitico, costringendo così il giocatore a calarsi in battaglia con tre razze ben distinte, ovvero Space Marine, orchi e Eldar. La possibilità di vestire i panni di fazioni differenti gioca un ruolo fondamentale nell’universo di Warhammer 40.000, fortemente basato sulla capacità dell’utente di empatizzare e comprendere le motivazioni scatenanti del conflitto: altre razze non sono ancora state presentate, mancano quindi all’appello i mostruosi Tiranidi e le temibili Armate del Caos, per citare due armate che avevano rivestito un ruolo importante nei precedenti capitoli. Gli eventi della campagna si svolgono su Acheron, un pianeta deserto delle colonie esterne in cui la battaglia tra le tre fazioni protagoniste infuria senza sosta a causa della scoperta di un manufatto nascosto nelle viscere della terra capace di cambiare le sorti della guerra. Lo stesso Acheron è un pianeta prevalentemente ghiacciato e inospitale, in cui ogni zolla di terra può crollare da un momento all’altro sotto il peso delle potenti armate che solcano il suolo: nella demo abbiamo potuto infatti constatare come il terreno di gioco cambi parzialmente, con il terreno cedevole che priva l’ambiente di alcuni spazi fondamentali per una miglior manovra delle truppe. Ora, arriviamo a un fatidico punto, il gameplay. Ciò che ci ha meno convinto, da questo punto di vista, è la voglia di inseguire a tutti i costi i precedenti capitoli della saga, prendendo ciò che c’era di buono dal primo e dal secondo episodio per crearne un terzo che, a conti fatti, non introduce forti innovazioni né quantomeno si impegna nel farlo; se prima l’epoca d’oro degli RTS permetteva un certo comportamento, ora il mercato ne richiede uno maggiormente proattivo, sopratutto per un genere in decadenza come quello in esame. Le possibilità d’approccio offerte dal gameplay di Warhammer 40.000: Dawn of War III sono sostanzialmente diverse a seconda della razza scelta: gli Space Marine, come da tradizione della saga, sono le unità più equilibrate, basate sul fuoco di precisione o sull’attacco melee a corto raggio, gli Eldar sono invece più subdoli e agiscono alla ricerca dei punti deboli degli avversari per colpire rapidi e veloci, mentre gli Orchi si avvalgono della supremazia numerica e del costo inferiore delle proprie truppe per scatenare una vera e propria Orda contro chi si para loro davanti.
Ma che bello guerreggiar
La missione mostrata, in cui gli sviluppatori hanno preso il controllo di Gabriel Angelos e della legione di Space Marine, ha evidenziato le velleità uniche di questa fazione ormai ben nota, tra cui il deployment di capsule da sbarco e di approvvigionamenti orbitali – con tempi di cooldown abbastanza alti – utili a costringere l’avversario a vistosi cambi di fronte sul terreno di gioco. Oltre a questa caratteristica unica delle legioni, sono tante le feature e le caratteristiche che questo nuovo capitolo di Dawn of War porta con sé a livello di truppe, oltre alla pesante personalizzazione presa in prestito dal secondo capitolo: le unità da schierare – per ogni razza giocabile – sono ora divise in tre tipologie, differenti per abilità, costo in risorse e potere sul campo. Le unità di linea sono addestrabili nelle classiche caserme, con un prezzo in requisizioni davvero basso; esse sono fondamentali per un attacco frontale e si dividono ulteriormente in sottoclassi con specifiche abilità, tra cui, per citarne alcune, il jetpack per gli Space Marine, la specializzazione nel corpo a corpo o la potenza di fuoco. Le seconde unità sono invece chiamate Elite, esse possono influenzare le prestazioni del resto dell’armata tramite skill passive e hanno ben 10 livelli di progressione, grazie ai quali potenziare ulteriormente la propria truppa. Le ultime, denominate Super, sono le più devastanti e potranno essere sbloccate solamente nel late game: un esempio è il Cavaliere Imperiale Soleria, un Dreadnought di proporzioni enormi capace di ribaltare le sorti della battaglia grazie a un numero consistente di abilità passive e attive, tra cui un lanciarazzi ad area e il fuoco di soppressione con un cannone gatling; che andrà a scontrarsi con le unità Super delle altre fazioni presumibilmente rappresentate da Wraithknight o Deth Dredds orcheschi. Il base building di Dawn of War I torna invece in auge con questo nuovo capitolo, anche se, dalla missione mostrata a porte chiuse, il deployment di headquarters, caserme e quant’altro aveva l’unico scopo di stabilire un punto di ritrovo per gli attaccanti in una mappa assolutamente lineare e priva di grandi spazi, dove invece l’accampamento avrebbe avuto un’importanza ben diversa. Il game director del titolo ha però voluto specificare che le missioni saranno molto lunghe e variegate, con più obiettivi da portare a termine e sfide opzionali a corredo, e che quella mostrata a noi giornalisti era semplicemente un ‘highlights’ in tempi condensati per poter permettere loro di mostrare tutte le novità presenti in Warhammer 40.000: Dawn of War III. Oltre al base building accennato poco prima faranno ritorno anche i Resource Points sparsi per la mappa da cui guadagnare un maggior numero di requisizioni, utili a costruire e potenziare le proprie armate: nonostante tutto l’ennesima conferma di come il map control – non solo attraverso la fanteria, come avveniva nel secondo capitolo – con l’edificazione e il presidio di strutture o punti nevralgici sia divenuto fondamentale anche in questo terzo episodio. Ritorna anche il cover system, leggermente rinnovato e semplificato rispetto ai predecessori, poiché ora le coperture si “attivano” entrando nell’area d’effetto con le proprie truppe, creando così una bolla di energia che le ripara parzialmente dai colpi nemici con un area d’effetto a 360 gradi. Quest’ultima però può essere facilmente distrutta dal fuoco incrociato di più unità e, una volta demolita, non potrà più essere ri-attivata entrando nel campo d’azione predisposto: una meccanica che da un lato semplifica la gestione del combattimento per i neofiti, mentre dall’altro non fa nulla per esaltare una peculiarità della saga, privandola di ogni velleità tattica e di studio del terreno di gioco. Il campo di battaglia stesso potrà essere interamente visualizzato anche durante la nebbia di guerra, occludendo così solamente le unità nemiche: una scelta ponderata, secondo i game designer del titolo, dovuta alla complessità delle mappe presenti, che però rende particolarmente inutili unità scout veloci predisposte alla scoperta dell’ambiente circostante. Ultima chicca finale è rappresentata dalla presenza di attacchi speciali appartenenti alle singole razze, sbloccabili solamente dopo aver conquistato buona parte del territorio e con la costruzione di un’armata solida e numerosa. Nella demo è stata mostrata la devastante “Bomba orbitale”, un raggio della morte che può essere mosso sul campo di battaglia per disintegrare qualsiasi cosa sul proprio cammino, dalle unità più deboli a quelle più forti, vaporizzandole.
Diablo of War III
I primi Dawn of War erano caratterizzati da un’estetica “grunge” e “gritty”, come direbbero i nostri cari amici anglofoni: dopotutto l’universo in guerra, le razze coinvolte in truculente battaglie e la cupezza classica della saga contribuivano alla creazione di un mondo di gioco sporco, dalle tonalità terrose e caratterizzato principalmente da rovine abbandonate. Con il terzo capitolo la svolta in termini d’impatto visivo è molto forte, con un cambio di direzione netto in favore di un mondo inesplorato, inospitale ma sublime, caratterizzato da un forte contrasto tra l’azzurro dei ghiacci e il rosso ribollire della lava. Questa inaspettata radicalità si è tramutata in un’estetica nuova, fin troppo simile a quella già vista in Diablo III: Blizzard si è insinuata anche in casa Relic, intaccando la solidità artistica dei primi due capitoli e sfornando un ibrido che purtroppo non riesce a cogliere appieno la truculenza e gli ambienti cupi dell’universo di Warhammer. Le battaglie campali sono invece ben coreografate, con molti effetti a schermo – tra bossoli volanti, fumo, esplosioni e scintille – che purtroppo intaccano parzialmente il frame-rate della produzione, vistosamente zoppicante durante i momenti di massima frenesia sul terreno di gioco. A onor del vero è doveroso riferire come questa build mostrata a Londra era ancora in fase di sviluppo, con numerosi placeholder per le texture e una stabilità generale certamente non soddisfacente: Relic avrà ancora molto tempo per affinare il proprio prodotto.