Quel giorno il Sole splendeva alto nel cielo; il suo specchiarsi tra le onde brillante come mille piccoli diamanti. La nave corsara Fancy galleggiava sonnacchiosa in acque tranquille – poco lontana dalla rotta verso l’isola di Madagascar – mentre un rumorio incessante di lamenti proveniva dalle sue viscere. La causa aveva un volto, un nome e un cognome, Henry Every. Un tipo furbo, un uomo certamente ambizioso, che aveva attentato al senso di fame dei suoi colleghi alleandosi con altra feccia piratesca (ecco dov’erano finite le razioni…) per portare a termine un colpo che avrebbe riscritto la storia: discutevano di un attacco frontale alla nave ammiraglia del Maharaja, dov’era nascosto un tesoro che avrebbe dato a tutti loro la possibilità di vivere senza dipendere più da niente e da nessuno. La tensione era certo palpabile, l’ansia e la curiosità immortalate dal labbro mordicchiato e dalla pipa accesa. Quella stessa attesa sopravvissuta per più di tre secoli, forse affievolitasi ma mai spenta, vivida negli occhi di noi redattori prima di impugnare tra le mani un Dualshock che ci avrebbe condotto finalmente attraverso la prima prova su strada del single player di Uncharted 4: Fine di un Ladro. Dinanzi a noi la conclusione di una storia nata dieci anni fa, con una Naughty Dog ai tempi ancora incerta dinanzi alle possibilità offerte dalla nuova generazione di console; una storia iniziata tra le onde del mare e capace di ridefinire il genere adventure odierno attraverso una narrazione serrata e un grado di spettacolarità unico nel suo genere. Nel frattempo Nathan è cresciuto, ha intrapreso un lungo e difficile percorso di maturazione tra una battuta goliardica e l’altra, giungendo alla consapevolezza che l’amore di una donna, capace di scaldare il cuore, e le responsabilità che da esso ne derivano sono più importanti dell’ennesima avventura alla ricerca di freddi tesori lontani.
Una drammatica premessa
Uncharted 4: Fine di un Ladro prende le mosse da quella follia sconsiderata dipinta negli occhi del pirata inglese Henry Every, nascosto con la sua nave corsara tra i flutti del mare intorno al Madagascar. Da lì a breve sarebbe riuscito a depredare, grazie al supporto dei suoi alleati, il tesoro contenuto nella gigantesca nave ammiraglia del Maharaja, conquistando un ammontare di materie preziose valutate oggigiorno in circa 400 milioni di dollari. Il maestoso atto compiuto da Henry Every e dalla sua ciurma non passò inosservato e incrinò seriamente i rapporti commerciali tra la Corona britannica e l’impero indiano del Maharaja, creando un autentico casus belli internazionale che scatenò una feroce caccia all’uomo. Prima che questa potesse prendere il via, Every scomparve senza lasciare traccia, dando vita a un mistero che aleggia irrisolto tra i libri di storia.
Ed è qui che collimano realtà e fantasia, in questa linea di confine dove entra in gioco il virtuale Nathan Drake, che fa del tesoro del pirata Henry Every il suo McGuffin personale. Mai come in questo capitolo sono i fatali eventi a condurre il nostro a compiere la difficile decisione di partire verso terre lontane: non è la promessa di un tesoro milionario, né tantomeno la fama e la gloria; ma una situazione drammatica capace di ribaltare le carte in tavola. Sam Drake, fratello di Nathan, compare improvvisamente dal mondo dei morti, gettando in subbuglio la vita dei suoi famigliari e mettendo in pericolo lo status quo creatosi dopo la fine del terzo capitolo. Finchè il tesoro di Henry Every non sarà dissepolto dalle oscure fauci della storia, le loro vite correranno un grave pericolo: l’infausta notizia portata da Sam rappresenta un lieve cambio di paradigma all’interno della serie di Uncharted. Nathan non ha più una scelta, deve partire e mettere di nuovo in pericolo le vite delle persone che ama, ne è costretto e questa situazione senza via d’uscita contribuisce a definire i toni più maturi di quest’ultimo capitolo.
Una terra insanguinata
La demo testata comincia all’inizio del decimo capitolo, “Le Dodici Torri”, e vede protagonisti Nathan, Sam e Sullivan alla ricerca del tesoro perduto di Every nell’entroterra desertico del Madagascar: per la prima volta nella storia della saga avremo a disposizione una Jeep targata “Elena Fisher”, acquistata dal vecchio Sully per l’occasione a prezzo di saldo. Un’introduzione in apparenza frivola e banale, che in realtà nasconde una progettazione degli spazi differente rispetto ai precedenti episodi. Gli ambienti desertici dalle forti cromie rosso sangue che si stagliano dinanzi al giocatore sono infatti totalmente esplorabili e a prima vista sembrano proporre differenti approcci alla missione: in realtà la sospensione d’incredulità non ha vita così lunga, le location sono costruite affinchè possano ricreare la sensazione di un enorme spazio aperto nonostante l’esistenza di un unico e solo bivio necessario al proseguimento della vicenda. In termini più volgari non rimpiangerei l’utilizzo della parola “canaloni” per descrivere l’approccio con cui i level designer di Naughty Dog hanno ricreato questi vasti scenari che, a conti fatti, poco aggiungono all’esperienza complessiva in termini di meccaniche ludiche di base. Se da un lato la voglia di esplorare minuziosamente ogni singolo metro potrebbe premiare i giocatori incuriositi da approfondimenti della trama attraverso reperti o documenti, o più semplicemente a caccia di tesori collezionabili (qui presenti in abbondanza); dall’altro potrebbe deludere coloro che cercano una narrazione serrata e priva di momenti morti. Ricky Cambier, lead designer del titolo, ha comunque assicurato ai nostri microfoni che la ricerca di un ritmo ideale per la quarta avventura di Nathan Drake è sempre stata al centro dell’attenzione negli studi di Naughty Dog, consci di aver diversificato le carte in tavola aggiungendo un parametro d’esplorazione e donando quindi nuova linfa all’eterna diatriba tra libertà d’azione e elemento narrativo. La demo prosegue mostrandoci come la software house americana abbia riposto grande cura nelle sezioni di guida: la Jeep dei tre avventurieri deve infatti fare i conti con il terreno accidentato dell’isola, tra pericolosi guadi e scivolose pareti di roccia. In questi frangenti la sensazione di guidare in un percorso inospitale dominato dagli elementi naturali è forte e si percepisce attraverso i continui feedback tattili provenienti dal DualShock 4, capaci di sottolineare con accuratezza la fatica del mezzo nel continuo inerpicarsi per sentieri impervi. L’utilizzo della Jeep non si limita ai soli spostamenti da un punto A a un punto B, utili a approfondire la fabula attraverso una fitta rete di ottimi e divertenti dialoghi; bensì si estende anche a puzzle di semplice fattura che consistono nell’uso del verricello. Quest’ultimo è oggetto di una gag molto divertente e il suo utilizzo porta alla soluzione di alcuni enigmi ambientali utili a distendere il ritmo di gioco, legati principalmente alla capacità dell’oggetto di attaccarsi a qualsiasi superficie stabile per fungere da traino.
Ora di combattere
Dopo un tour contemplativo del paesaggio durato una manciata di minuti, inframmezzato dalla ricerca di piccoli tesori sparsi per la regione, ecco giungere le sparatorie con alcuni mercenari ostili atterrati sull’isola: è in questo frangente che si nota maggiormente l’introduzione benefica delle nuove feature, grazie alla maggior apertura degli ambienti e alle conseguenti diverse possibilità di approccio.
Il paesaggio offre numerose strategie per affrontare il nemico, accerchiandolo, attaccando a testa bassa oppure silenziosamente, con uccisioni stealth calibrate al millimetro. Le novità qui introdotte riguardano quindi il detection-system dell’IA nemica e la capacità di Nate di agire attraverso movimenti stealth, favoriti dalla naturale conformazione delle location. Il combattimento può essere quindi diviso in due semplici fasi: la prima consiste nell’approccio al bersaglio, con la possibilità di marcare i nemici dalla distanza attraverso la pressione dei tasti L2 e L3; meccanica resa piuttosto banale nell’applicazione a causa di un raggio d’azione troppo ampio che permette al giocatore di attivare marcatori a profusione su nemici non presenti nel raggio visivo. La seconda, invece, rappresenta la più classica fase d’ingaggio, già presente negli altri capitoli precedenti, in cui l’utente può decidere come procedere nello scontro: il level design di Uncharted 4: Fine di un Ladro permette infatti ogni tipo d’azione, privilegiando l’attacco stealth in favore di un arrembaggio senza regole. Naughty Dog ha previsto in questo carto capitolo l’abbattimento dei nemici ignari della presenza di Drake e, in vicinanza di alcune aree contestuali – come i sempreverdi cespugli mutuati da una lunga schiera di giochi precedenti, il cadavere può essere nascosto automaticamente alla vista. Spesso quest’ultima tecnica è necessaria per eliminare il folto numero di soldati presenti: i loro proiettili causano danni elevati a Nathan e gettarsi a viso aperto nella battaglia è consigliato solo ai giocatori veterani. Questo continuo spronare verso un approccio silenzioso ha portato la software house californiana a progettare un sistema di rilevamento che consiste nei tre stati “ignaro”, “allarmato” e “combattente”, ognuno determinato da un colore preciso e da un rombo segnalatore posto sopra il capo dell’avversario. Il sistema è inaspettatamente reattivo e lo sguardo delle sentinelle risulta naturale e ben progettato, senza incappare quindi in casus belli generati dai raggi X di una simpatica guardia armata chiamata Clark Kent. Dulcis in fundo è inevitabile parlare del rampino, introduzione già nota dopo i trailer rilasciati nei mesi precedenti; esso può essere utilizzato non solo per risolvere enigmi legati all’ambiente ma anche in battaglia, per calarsi dall’alto su nemici ignari o per muoversi velocemente sul terreno di gioco.
Un mondo selvaggio
Uncharted 4: Fine di un Ladro è bellissimo. Sarebbe inutile disquisire del comparto tecnico nei dettagli – per quello esiste la recensione – ma l’impatto visivo che riserva ai giocatori è di una bellezza straniante.
Naughty Dog ha lavorato alacremente sull’hardware di PlayStation 4 e il risultato ripaga ampiamente i loro sforzi: la sabbia rossa del deserto del Madagascar avvolge gli abiti di Nathan, il suo viso, la sua pelle; mentre il fango brilla sotto la luce abbagliante di un Sole allo zenit. I paesaggi si stagliano immensi sulla retina del giocatore, caratterizzati da un ampio respiro e ricchi di minuziosi dettagli; dettagli che solamente poche software house al mondo sono capaci di cesellare e donare alle loro produzioni. Gli effetti sonori sono anch’essi di altissimo livello e contribuiscono alla creazione di una cosmesi audiovisiva senza precedenti nel mercato console: tutti gli elementi diegetici di scena paiono concreti, tangibili, capaci di bucare lo schermo con un incredibile verosimiglianza. Il frame-rate è rimasto sempre stabile sui 30 frame per secondo, senza incertezze o rallentamenti nemmeno nelle fasi di “stacco” tra un’ambiente e l’altro o nelle sparatorie più concitate. Il risultato finale ci è parso quindi di una solidità impressionante, capace di bilanciare perfettamente una performance senza compromessi con un impatto visivo di altissimo valore.
– Impatto visivo fenomenale
– Le aggiunte al gameplay sono ben integrate
– La trama poggia su una premessa matura e credibile
Uncharted 4: Fine di un Ladro è riuscito a fugare quasi tutti i (pochissimi) dubbi che mi tormentavano prima della prova single-player, effettuata venerdì scorso a porte chiuse in quel di Milano. Il gioco pare granitico in ogni aspetto: la storia di questo nuovo capitolo parte da una premessa più matura rispetto ai precedenti episodi – senza tralasciare lo humour tipico della serie – mentre il gameplay già solido è stato ritoccato con alcune interessanti aggiunte e supportato da un level design che permette una differente varietà di approcci. L’unico dubbio appare sul fronte narrativo: Naughty Dog sarà riuscita a conciliare la narrazione serrata e magistrale dei precedenti episodi con la nuova (seppur apparente) libertà d’azione tipica di questo quarto capitolo? Mancano solo poche settimane per scoprirlo, ma il 10 maggio non è mai stato così lontano.