The Last Story
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a cura di Gianluca Arena
Senior Editor
Si scrive Hironobu Sakaguchi, si legge Final Fantasy. Eppure sono anni ormai che il creatore della saga dei cristalli è fuoriuscito da Square Enix, fondando Mistwalker e dedicandosi a ciò che sa fare meglio: i giochi di ruolo giapponesi.Non che la cadenza e la qualità siano state sempre soddisfacenti (controversi i tre Blue Dragon, due usciti per Ds e uno per Xbox360), ma titoli come Lost Odyssey e soprattutto The Last Story sono lì a ricordarci che il maestro rimane tale, che sia al soldo di mamma Square o di Microsoft.E’ proprio di The Last Story, disponibile ormai da più di un anno sul suolo giapponese e in arrivo in Italia il prossimo 24 febbraio, che parleremo, a metà tra speranze, hype, e timori.
Speranze e hypeNon serve un indovino per capire quanto un gioco del genere possa essere atteso tra il pubblico: tralasciando per un attimo i più che buoni risultati di vendita fatti registrare nel Sol Levante, la lussuosa Special Edition che sarà distribuita in Italia parallelamente a quella canonica e il pedigree del suo creatore hanno generato un hype incredibile. The Last Story è uno dei pochi JRPG degni di nota ad arrivare su Wii, un titolo di prima fascia come non ne vedevamo da mesi nonché un apprezzabile tentativo di mescolare elementi caratteristici della tradizione nipponica con alcuni tra gli spunti più interessanti di questa generazione di console, il cui baricentro è stato indiscutibilmente a ovest.The Last Story è un JRPG nel senso più classico del termine se guardiamo alla storia, che narra le vicende di Elza, eroe problematico ed ombroso, e del gruppo di mercenari di cui fa parte, che, strada facendo, si rivelerà qualcosa di più che un team male assortito, divenendo quasi come una famiglia, con legami molto forti (quello con il fratello maggiore putativo, Quark, su tutti) e altrettanto intensi contrasti.Ma quanti giochi di ruolo orientali implementano un sistema di cover che ricorda (seppure molto alla lontana) quello visto in Gears of War, premiando un approccio alle battaglie furtivo, tattico, alternativo rispetto al solito irrompere sulla scena brandendo una spada dalle proporzioni epiche?Final Fantasy XII e Xenoblade Chronicles tornano alla mente in diverse occasioni, richiamati da un battle system dinamico e qui ancora più adrenalinico, che dona quel ritmo sconosciuto a tante produzioni nipponiche, e che oggi sembra un elemento imprescindibile per qualsiasi tipo di produzione, in una visione molto (troppo?) occidentale del nostro medium preferito.Sarà fondamentale, ad esempio, attirare l’attenzione dei nemici sul proprio alter ego digitale, tenendoli impegnati in furiosi corpo a corpo permettendo agli altri membri del nostro party, perlopiù utilizzatori di magia, di avere il tempo per caricare i loro incantesimi, di cura piuttosto che offensivi, facendo di ogni combattimento un evento da vivere in prima persona piuttosto che passivamente premendo sempre lo stesso tasto.Per il padre del gioco di ruolo alla giapponese, tutto active time battle, scontri casuali e cut scenes interminabili, una serie di scelte coraggiose, una poliedricità che non tutte le software house giapponesi hanno saputo sfoderare, con quel pizzico di magia che solo Sakaguchi sa dare, senza dimenticare gli arazzi musicali di Nobuo Uematsu, autore anche di questa colonna sonora, proprio come ai bei tempi in cui Final Fantasy era a prescindere sinonimo di qualità.Per non parlare del multiplayer, concetto da sempre tabù per il genere, previsto in una doppia modalità, cooperativa e competitiva, quasi stessimo parlando di un FPS qualunque.
PaureSnocciolati i numerosi punti di forza (abbiamo omesso di dirvi che stiamo parlando di uno dei titoli più belli che ci sia mai capitato di vedere in bassa definizione, ma questo potete constatarlo da voi dando un’occhiata alle foto), non saremmo onesti se sorvolassimo su un paio di quesiti che ci assillano, pur non pregiudicando affatto la riuscita finale del prodotto.Quello principale riguarda il rischio di un eccessivo snaturamento di un genere, quello dei giochi di ruolo orientali, che, se negli ultimi anni ha vissuto una certa involuzione, può comunque contare su un seguito di appassionati eccezionale, molti dei quali, siamo sicuri, non vedranno di buon occhio la grande quantità di cambiamenti di cui The Last Story si fa latore per venire incontro ai gusti del pubblico occidentale.D’altronde, il mercato ha decretato in maniera abbastanza inequivocabile che il gioco di ruolo giapponese nel senso più puro del termine viene percepito come superato, stantio, un relitto di un’epoca che, pur dorata, sembra destinata a non tornare più e, in quest’ottica, il lavoro di Mistwalker traccia la strada per il genere negli anni a venire, che piacciano o meno i combattimenti in tempo reale, l’apertura al multiplayer e un character design che, pur inconfondibilmente made in Japan, si genuflette al trend militaresco/medievaleggiante in voga negli ultimi anni.Proprio sul character design verte il nostro secondo appunto, non tanto per quanto concerne i personaggi principali (dal protagonista alle “belle” del gioco, dalla sboccata Seiren alla cocciuta Kanan) quanto per i comprimari, che abbiamo trovato un po’ stereotipati a livello visivo, non raggiungendo l’eccellenza e la varietà toccate dal mondo in cui Monolith Software ha ambientato quel capolavoro chiamato Xenoblade Chronicles.In ultimo, speriamo vivamente nell’inclusione della traccia sonora giapponese (probabile ma non confermata ufficialmente), perché, in accoppiata con dei sottotitoli ben fatti, aggiungerebbe ulteriore spessore ad un titolo che si preannuncia di alto livello.
– Contaminato nel senso migliore del termine
– Sakaguchi e Uematsu sono due garanzie
– Battle system adrenalinico
Meno di un mese ci divide dalla release di un titolo attesissimo, che, a nostro parere, potrebbe segnare un punto di svolta significativo nel percorso, ultimamente piuttosto travagliato, dei giochi di ruolo giapponesi, senza la cui evoluzione facciamo sinceramente fatica ad immaginare una nuova generazione di console.
Un’oasi nel deserto delle uscite europee su Wii negli ultimi mesi, a cui, stando a quello che abbiamo avuto modo di vedere finora, potranno abbeverarsi non solo i fedelissimi del JRPG ma anche quanti amano un buon gioco di azione, perché, scene animate e crescita del personaggio a parte, è questo quello che Mistwalker sta per offrirci: un action rpg frenetico, curato e rifinito anche nei particolari e contaminato con elementi presi di peso dai generi che hanno segnato l’ultimo quinquennio videoludico.
Che ci piaccia o meno, “contaminazione” è la parola chiave. Ma se a declinarla è Hironobu Sakaguchi, siamo tutti un po’ più tranquilli.
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