Cosa accadrebbe se un fungo parassita realmente esistente in natura, capace di controllare il cervello degli insetti fino ad annullarne ogni volontà e usarli come veicoli di diffusione verso il prossimo ospite, infettasse improvvisamente anche la specie umana? È questa la domanda che ha acceso gli entusiasmi di Naughty Dog fino a spingerli a creare The Last of Us, tremenda visione distopica di un’America squassata da una pandemia in grado di ridurre il paese simbolo del progresso in un incubo a occhi aperti che dura da oltre vent’anni.
Desolazione
Siamo a Boston, appena al di fuori di una delle tante aree di quarantena, dove un’aggressiva vegetazione si abbarbica sui ruderi dei palazzi e lungo strade dissestate e in completo abbandono. La città sembra essere un angolo di terra dimenticato da Dio: l’asfalto completamente dilaniato, vertiginosi dislivelli, bigi edifici ridotti a catapecchie e l’aria insalubre e angosciante tipica dei lugubri paesaggi post-atomici. Nella sezione che abbiamo provato, Joel e Tess dovevano accompagnare Ellie in un punto di incontro concordato coi Fireflies, misterioso gruppo di miliziani composto da sopravvissuti con l’obiettivo di ripristinare un piccolo spazio di civiltà al di fuori delle zone altamente contaminate. Sebbene si trattasse di un codice pre-alpha, il livello di dettaglio e la cura per i particolari risultavano essere già in uno stato piuttosto avanzato, con pregevoli giochi di luci e ombre e tutta una serie di effetti di ottima fattura, specialmente per quanto riguarda l’acqua, che scorreva in rigagnoli lungo le lamiere e allagava pericolosamente i piani del palazzo in cui ci siamo addentrati. All’esterno, in una grande area completamente esplorabile, l’intelligenza artificiale delle due comprimarie è risultata essere totalmente indipendente dal tragitto seguito. All’interno delle strutture e nelle situazioni di evidente pericolo, invece, Tess ed Ellie dimostravano una spiccata propensione verso la collaborazione, con atti difensivi accompagnati da suggerimenti sussurrati o urla di panico a seconda della situazione che si presentava. Caratteristica, questa, che mostra una grande profondità nella costruzione dei personaggi e nel modo in cui si svilupperà quel legame di reciproca fiducia fondamentale per la sopravvivenza contro gli infetti e i superstiti, che ci braccheranno a morte pur di sfilarci di dosso gli ultimi viveri accumulati.
In silenzio, nel buio
In questa prima versione di The Last of Us i personaggi non potevano essere infettati e dovevano difendersi da due tipi di nemici: i Runners e i Clickers. I primi, esposti al contagio solo da qualche giorno, presentano ancora tutte le caratteristiche umane, sono sempre all’erta e attaccano i personaggi con grande aggressività, rincorrendoli fin dove la vista permette loro di individuarli. I Clickers sono invece completamente ciechi. Infettati da almeno un anno, la proliferazione del fungo Cordyceps ha orrendamente mutato la loro testa al punto da renderla deforme e grottesca, ma ha permesso loro di sviluppare una prodigiosa sensibilità a ogni tipo di rumore. Un solo morso di un Clicker, badate bene, è in grado di ucciderci. Considerato l’alto tasso di pericolosità dei nemici e le scarse risorse a disposizione, dunque, il gioco spinge l’utente a un approccio attento e calcolato, dove la pianificazione e il sangue freddo pagano sensibilmente di più rispetto all’improvvisazione caotica generata dal panico. Per tentare di farci avere la meglio sui nemici, Naughty Dog ha messo a nostra disposizione un sistema di creazione degli oggetti intuitivo e funzionale. Combinando l’alcool con uno straccio, per esempio, potremo creare sia una molotov sia un medikit, pertanto sarà sempre necessario saper gestire con parsimonia e intelligenza il nostro inventario mantenendo il giusto equilibrio tra le quantità di risorse accumulate. Col nastro isolante e una lama potremo costruirci un coltello, mentre se uniamo i due oggetti a una spranga otterremo una mazza chiodata di fortuna, letale se usata alle spalle di un nemico colto di sorpresa. Non mancano mai altri oggetti reperibili lungo lo scenario come mattoni, bottiglie e quant’altro, fondamentali per attirare l’attenzione dei nemici altrove e sgattaiolare via verso il corridoio che ci aprirà la strada per la salvezza (momentanea). Tutto diventerà più complesso quando all’interno di un’area al chiuso saranno presenti in gran numero entrambe le tipologie dei nemici. Se scappare a gambe levate è la cosa migliore da fare in presenza dei Runner, è vero anche che l’eccessivo rumore allerterà i Clicker, col risultato di averli entrambi alle calcagna senza neanche il tempo di abbozzare uno scontro che il più delle volte risulterà essere impari. Anche tenere la torcia accesa (attenzione alle batterie!) nel buio pesto approfittando della cecità dei Clicker non è un’ottima strategia, dato che i Runner ci vedono benissimo.
Aiutati che Dio t’aiuta
In nostro soccorso arriverà, tramite la pressione del grilletto di sinistra, una sorta di sesto senso in grado farci vedere l’esatta posizione dei nemici attraverso le pareti. Il suo utilizzo è illimitato ed è fondamentale per riuscire a superare incolumi le zone invase dai mutati. I comprimari, proprio durante gli scontri, ci daranno un prezioso aiuto, anche se abbiamo notato che spesso si prendono fin troppe libertà decisionali. Ci è capitato di accoltellare silenziosamente un Clicker in prossimità di un Runner, e Tess ha aperto il fuoco contro quel nemico che non si era accorto di nulla e che avremmo potuto uccidere di soppiatto in un secondo momento. Non si trattava certamente di una défaillance dell’intelligenza artificiale, ma un bilanciamento più accurato in alcune situazioni sarebbe quantomeno auspicabile. Il grande affiatamento tra i personaggi è evidente anche durante la risoluzione di alcuni enigmi ambientali, con Joel che spostava grandi carichi per permettere il passaggio alle due ragazze attraverso porte divelte e agevolare i loro salti su alte piattaforme, e le due che, una volta dentro, aprivano degli ingressi secondari per permettere a Joel si riunirsi al gruppetto. È probabilmente questo – assieme a una premessa narrativa di prim’ordine e dannatamente intrigante – l’aspetto che più colpisce di The Last of Us. Si ha sempre la netta consapevolezza di essere completamente isolati, quasi senza speranza, obbligati a sopravvivere e lottare coi denti per ogni centimetro conquistato, potendo contare unicamente sugli unici personaggi che ci stanno accanto, e accrescendo così quel senso di fratellanza e protezione reciproca che è amore per la vita in un modo che è solo morte e disperazione. Orrenda trasfigurazione e folle animalità.
Se l’intera avventura riuscirà a regalare momenti come quelli vissuti durante la nostra prova, sviluppando ulteriormente gli intrecci narrativi tra i personaggi e mettendo in luce tutte le loro debolezze e virtù, vivremo probabilmente una delle esperienze più intense e coinvolgenti di fine generazione. Sono anche molti gli interrogativi che ruotano attorno all’origine dell’infezione fungina, al torbido passato di Joel e Tess e alla vita di Ellie; senza contare poi il coinvolgimento dei Fireflies e un lasso temporale di ben vent’anni dall’inizio del contagio ancora tutto da approfondire. Tantissima carne al fuoco, dunque… e ancora qualche mese per dar dare sfogo a tutte le congetture possibili prima dell’arrivo sugli scaffali di uno dei titoli più audaci e attesi dell’anno.
– Interazione tra personaggi raffinata
– Grandissima atmosfera
– Premessa narrativa accattivante
– Elementi survival di spicco
Dopo aver toccato con mano le grandi potenzialità di The Last Of Us, rimangono ancora meno dubbi sugli immensi valori produttivi dell’opera. Naughty Dog spingerà forte sul fattore emotività e sperimenterà come non si era mai visto fino a oggi con l’interattività tra protagonista e personaggi non giocanti. A tutto ciò, va aggiunta una premessa narrativa carica di mistero e di sicuro impatto, capace di stuzzicare la fantasia anche del giocatore più navigato. Il livello di attesa è semplicemente alle stelle.