Nel caso non fosse ancora del tutto evidente, siamo circondati dal cyberpunk. E no, non mi riferisco al mondo reale.
…Non che fosse poi particolarmente controverso, come paragone: dopotutto, l’intero globo risulta ormai effettivamente interconnesso (virtualmente tramite internet, concretamente per mezzo della globalizzazione), la VR inizia a prendere piede, ed il progresso economico/tecnologico dell’Asia (tra India e Cina) intimorisce l’occidente quasi quanto il Giappone di qualche decennio fa. Non solo: tutti portano un sottile micro-computer in tasca come se nulla fosse, i cosiddetti “hacktivisti” esistono (e non sembrano voler smettere di defacciare siti in nome delle cause più varie), ed il mondo si prepara all’introduzione su larga scala delle prime autovetture autonome. Come se non bastasse, le protesi meccaniche sono una realtà, le costanti controversie riguardo l’immoderata sorveglianza da parte di questa o l’altra agenzia di spionaggio hanno quasi smesso di stupire, Amazon si prepara a spedire i propri pacchi tramite l’uso di droni, mentre l’influenza delle mega-corporazioni sul nostro quotidiano pare di giorno in giorno più palpabile.
Insomma, la vita reale comincia a spartire sempre più tratti con i racconti di fantascienza underground anni ’80; non sarà più molto punk, tuttavia, si può dire che il presente inizi ad apparire sempre più cyber.
Che si tratti di quello, dell’ormai diffusa crisi delle idee (che colpisce da fin troppo tempo un’industria “creativa” dopo l’altra), di una semplice ondata nostalgica o di chissà cos’altro, il punto resta: il filone del cyberpunk sembra voler tornare finalmente in auge. Hollywood ha da poco sfornato un’indegna (seppur godibile) riproposizione live action di Ghost in the Shell, Warner Bros pare intenzionata a rimaneggiare il brand di Matrix, ed i fans storici attendono con trepidazione (incrociando le dita) l’uscita del sequel di Blade Runner; anche il mondo delle serie tv sembra voler abbracciare il genere, considerando i futuri Altered Carbon (di Netflix) e Judge Dredd: Mega City One, tuttora in produzione. Se consideriamo le recenti release, è facile notare come i videogiochi siano finiti in qualche modo con l’anticipare il ritorno del trend: l’ultimo Deus Ex (tra i capisaldi nella trasposizione videoludica del cyberpunk) risale appena allo scorso agosto, mentre giochi come Mirror’s Edge Catalyst, i nuovi Shadowrun e Dreamfall Chapters: the Longest Journey non falliscono nel riproporre (quantomeno) l’estetica tipica del genere. Inutile citare poi il Cyberpunk 2077 di CD Projekt, probabilmente, tra i titoli più attesi di sempre (i cui tempi di sviluppo restano sfortunatamente tuttora ignoti).
Era inevitabile che il cyberpunk si manifestasse anche in minori produzioni indipendenti, come i recenti Technolust (per VR), Satellite Reign, Hover: Revolt of Gamers, Quadrilateral Cowboy, 2064: Read Only Memories, e Cyberpunk Bartender Action VA-11 HALL-A, per fare qualche esempio. L’ultimo citato, pubblicato lo scorso agosto su PC (Windows, OS X e Linux), è frutto dell’espansione di una demo concepita in occasione del primo Cyberpunk Game Jam: la “ricorrenza” vede svariati sviluppatori indipendenti competere nella realizzazione di brevi giochi (a tema, appunto, cyberpunk) da presentare entro tempi estremamente limitati. Si tratta anche dell’origine di The Last Night, vera e propria rivelazione dello scorso E3.
Il prototipo
Nella sua prima incarnazione, The Last Night non era che un semplice browser game di qualche minuto; nei panni di un probabile hitman/detective, il gioco permetteva di avanzare -in cerca della vittima designata- in una suggestiva ambientazione cyberpunk dagli espliciti richiami ai classici più iconici del genere (tra tutti, Blade Runner). La semplicità del gameplay (che all’avanzare incessantemente, affiancava a malapena la rara necessità di sparare) non può che passare del tutto in secondo piano, in produzioni simili: all’offrire un’avventura adrenalinica, il prototipo preferiva chiaramente suscitare determinate emozioni -puntando tutto su atmosfere oltremodo evocative, proposte in una curata quanto nostalgica estetica a 16 bit. La formula sperimentata dai fratelli Soret (i due giovani developer francesi dietro al titolo) sembrò funzionare, tanto da permettere alla demo di aggiudicarsi il primo posto al Cyberpunk Game Jam del marzo 2014; qualche mese dopo, il sito del neonato studio Odd Tales annunciò la trasformazione di The Last Night in effettivo gioco completo, per la gioia dei primissimi fan. Completare il prototipo regalava dopotutto l’impressione di aver assistito a malapena al prologo di un’esperienza decisamente più ampia e profonda; considerando la calorosa accoglienza del web e la cura semi-professionale riposta nello sviluppo (durato appena sei giorni) del browser game, non risulta troppo difficile intuire cos’abbia spinto Tim Soret ad estendere la promettente demo.
Inizialmente previsto per il 2016, The Last Night sarebbe giunto su Windows, OS X e PS4 (Xbox One non era nemmeno contemplata, come console) ad un anno dal lancio di un’apposita campagna Kickstarter; nel corso dell’estate 2015, specifici dettagli riguardanti le piattaforme designate per la release scomparvero però dal sito ufficiale del gioco, similmente alle menzioni circa l’annunciata raccolta fondi del progetto (mai avvenuta, in retrospettiva). Attratta dalle premesse del gioco, Microsoft deve aver insomma contattato privatamente Tim Soret, prendendo Odd Tales sotto la propria ala (sebbene il publishing del titolo resti riservato alla compagnia svedese Raw Fury). Al momento, The Last Night è infatti classificato come “launch exclusive”: previsto anche per PC e Mac, il titolo verrà giocato in anteprima (su console) dagli utenti Xbox One nel corso del 2018.
Gameplay
“Vogliamo far rivivere il genere dimenticato del platformer cinematico. Vogliamo proseguire la tradizione di Another World, Flashback e Oddworld. Vogliamo guidare la prossima generazione di pixel art realizzata a mano“
L’effettivo gameplay di The Last Night resta ad oggi un mistero: nella corrente incarnazione, il titolo si è unicamente manifestato al pubblico in forma di screenshot (eccezion fatta per il trailer mozzafiato -ed un breve video della pre-alfa- visti all’E3, ovviamente). Le informazioni a riguardo, comunque sia, non mancano; il gioco si pone come platform spiccatamente cinematico, arricchito da elementi action, puzzle “in tempo reale” e sezioni d’infiltrazione (chiaramente orientate verso lo stealth). TLN promette un mondo “open” caratterizzato da quattro distretti, delineati da peculiari stili architettonici e culture profondamente diversificate: il giocatore avrà dunque modo di muoversi in spettacolari scenari cyberpunk di varia natura, desolati e malinconici quanto talvolta brulicanti di cittadini (spesso intere folle impegnate in attività personali, del tutto incuranti del protagonista). Stando a quanto riportato inizialmente sul sito ufficiale (in una manciata di righe d’introduzione ormai rimosse), per spostarsi tra i distretti del gioco -mantenendo un basso profilo- ci si potrà servire di taxi, monorotaia o traghetti; le sezioni più action permetteranno invece di guidare in “epiche autostrade”, hackerare droidi (al fine di nascondere le proprie tracce) e persino pilotare droni.
Il titolo presenterà inoltre una vasta gamma di NPC, dandoci modo d’interagire con un sorprendentemente inclusivo cast di personaggi notevolmente sfaccettati; ramificati dialoghi a scelta multipla si alterneranno quindi ad eventi con più possibili soluzioni, costringendoci di tanto in tanto a prendere decisioni anche determinanti. Sarà possibile approcciare una situazione particolarmente spinosa, ad esempio, discutendo con l’NPC di turno (per tentare di guadagnare tempo), estraendo la pistola, o semplicemente scappando. I personaggi con cui è possibile interagire prenderanno comunque atto delle azioni del giocatore, arrivando persino a ricordarne l’atteggiamento: le scelte compiute finiranno insomma con l’ampliare (o restringere) le nostre possibilità, influenzando inevitabilmente lo svolgimento di situazioni future (incrementando, di conseguenza, la rigiocabilità del titolo).
Grafica
Il gameplay in sé pare tuttavia distante dal rappresentare l’attrattiva principale del gioco. In fondo, è rimarchevole: il titolo più impressionante (a livello visivo) della passata conferenza Microsoft, non è forse il solito tripla A con milioni in budget alle spalle, quanto più un semplice indie realizzato in Unity.
Seguii con qualche amico la diretta E3 dedicata ad Xbox, e francamente, The Last Night fu l’unico titolo in grado di farci letteralmente alzare dalla sedia: il mix di musica malinconica, atmosfere cyberpunk e fenomenale pixel art monopolizzò del tutto la nostra attenzione, offrendo una vera e propria ventata d’aria fresca nel variegato (sebbene, opinabilmente sottotono) panorama di annunci Microsoft. Bizzarro ibrido tra classico e moderno, il titolo unisce sprites retrò (stile 16 bit) ad effetti visivi contemporanei; particellari, laser e filtri variopinti affiancano quindi pixel decisamente old school, delineando ambientazioni dense di dettagli, con effetti atmosferici e fisica in tempo reale, illuminazione dinamica, ed una profondità garantita dai vari livelli di parallasse (quanto dall’abile utilizzo del depth of field). Nonostante la dipartita del fratello Adrien -fino al dicembre scorso, lead artist del gioco-, il ventinovenne Tim Soret (founder di Odd Tales) vanta di una discreta esperienza in ambito grafico e visivo; dopotutto, un background professionale in campo pubblicitario/VFX non può che aiutare, in tal senso. “Il gioco potrebbe facilmente assomigliare ad una tradizionale avventura 2D; inclinando anche di poco la prospettiva, tuttavia, posso aggiungere una profondità quasi dioramica, accentuando il lato emotivo dell’ambiente”
Aggiustando l’angolazione della visuale, la posizione della luce e l’apertura delle lenti, lo sviluppatore è insomma in grado di mutare completamente il mood di una location, passando (ad esempio) da un’atmosfera triste ad una eroica. Apprezzabile è anche la cura quasi maniacale riposta in alcune finezze grafiche, come per quanto concerne l’illuminazione (che prende atto della presenza di sprites 2D), le ombre dinamiche (proiettate da personaggi ed elementi dell’ambiente) e l’acqua -in particolar modo, delle pozzanghere (che riflette l’ambiente circostante, increspandosi se smossa).
Considerando il focus sulla componente cinematica, l’impressione è che il titolo punti ad offrire qualcosa di simile ad un’esperienza, più che un semplice gioco: al momento, l’impatto grafico pare infatti rappresentare la punta diamante della produzione (sotto certi aspetti, la resa del setting sembra quasi superare in importanza il protagonista vero e proprio della storia).
Trama
Ad accompagnare una simile meraviglia visiva troviamo fortunatamente una trama dal concept altrettanto accattivante, quantomeno sulla carta. The Last Night si svolge in un mondo distopico popolato da una società sostanzialmente autodistruttiva, del tutto dipendente da un’intelligenza artificiale di propria creazione (che, in sostanza, “fa tutto” al posto degli uomini); come molte opere cyberpunk (o più precisamente, postcyberpunk), il titolo punta a dire la propria sul transumanesimo, sul rapporto sempre più simbiotico tra umanità e tecnologia, sottolineandone tratti spesso sottovalutati -oltre che possibili conseguenze ben lontane dal desiderabile. Dopo aver creato una fantascientifica IA (sofisticata al punto da rendere obsoleti concetti come “lavoro” o “creatività”), l’umanità si ritrova infatti priva di scopo: l’esistenza stessa finisce col delinearsi sulla base di ciò che si consuma -piuttosto che sulle proprie azioni e creazioni (la struttura sociale descritta dal titolo arriva addirittura a premiare chiunque “consumi abbastanza”). In altre parole, The Last Night si chiede se -in quanto membri di una società abbastanza evoluta e stabile- finiremmo davvero con l’abbandonare la nostra individualità, le nostre vocazioni, arrivando ad identificarci in ciò che fruiamo e consumiamo (anziché, semplicemente, ciò che siamo e facciamo).
Se non altro, si tratta di un approccio interessante al tema della distopia (considerando quanto venga apparentemente “incolpato”, per una volta, il popolo stesso, al posto della tipica mega-corporazione di turno). La società del gioco sembra aver spontaneamente appeso al chiodo il concetto intrinseco di umanità, sostituendolo con un’indissolubile dipendenza dalla tecnologia; Charlie, protagonista del titolo, non riesce tuttavia a ricreare quel particolare tipo di legame con le macchine. Cittadino “di fascia bassa” della multietnica metropoli in cui si svolge il titolo, Charlie si ritrova (a causa di un incidente avvenuto quand’era bambino) incapace d’interfacciarsi con i molteplici aspetti cyberpunk che caratterizzano il mondo in cui è costretto a vivere -non potendo che sentirsi, inevitabilmente, un perenne estraneo. Gli viene però concessa un’opportunità: entrare a far parte di qualcosa di completamente diverso, provando finalmente a cambiare le cose.
The Last Night non intende comunque distanziarsi del tutto dagli stereotipi più tipici del genere, dipingendo un mondo claustrofobico ed a tratti oppresso (soggetto ad un’apparente gestione in stile “stato autoritario”, tra loschi fattori politici ed Intelligenze Artificiali).
Tweet dal passato
Nonostante l’ottima accoglienza da parte di videogiocatori e stampa specializzata, la presentazione del trailer all’E3 finì col causare una sorta di controversia -tale da raggiungere persino la stampa generalista. Immediatamente dopo l’annuncio da parte di Microsoft, un utente pare aver infatti esaminato minuziosamente l’account Twitter di Tim Soret (contenente, per altro, migliaia di tweet), portando alla luce una manciata di vecchi post potenzialmente controversi: l’autore di The Last Night supportò infatti il cosiddetto “Gamergate” (almeno, quand’era ancora associabile ad una lotta per l’integrità nel giornalismo videoludico statunitense). Basta dare un’occhiata ai commenti dell’account -ormai, parzialmente cancellati- contenenti l’hashtag legato al movimento, per appurare alcune delle posizioni (piuttosto datate) del developer: “Le persone che incolpano arte ed intrattenimento per i mali della società, sono sempre dalla parte sbagliata della storia“; “Non sono d’accordo, sono avverso al femminismo, perché si sta facendo sempre più distorto. Sono per l’egualitarismo. Non faccio differenza tra maschi, femmine o alieni“. Condivisibili o meno, i tweet (risalenti, sia chiaro, al lontano 2014), hanno principalmente fatto discutere per l’associazione del developer al movimento; Soret ne prese infatti le difese, tentando di spiegarne gli ideali originali. “Non sarà un articolo a convincermi o meno. Ho vissuto il gamergate. Il movimento non è ciò che dicono i giornalisti“; “Le persone dietro al Gamergate sono per l’integrità giornalistica, il dibattito onesto, la trasparenza, l’inclusione, e l’egualitarismo“. Il developer non è comunque mai arrivato ad esporsi personalmente in quanto “membro del gamergate” (limitandosi a seguirne lo svolgimento), supportando solo passivamente il fenomeno (al più, tentando di sfatarne qualche mito): “Se desiderate sapere del Gamergate, vi prego di guardare questo show (dell’Huffington Post) diretto da tre donne” “I videogiochi sono sessisti? Ecco il miglior video di una vera femminista riguardo al gamergate“.
Materiale fin troppo innocuo, insomma, per generare una vera e propria controversia; qualcuno creò quindi un nuovo account Twitter, postando una collezione di screen (sempre riguardanti tweet di Tim Soret) divenuta rapidamente virale. L’account risulta ad oggi irraggiungibile (essendo stato “misteriosamente” cancellato poco dopo la diffusione delle immagini): si trattava comunque della prima ed unica testimonianza diretta dell’esistenza di quei tweet …di fatto, parzialmente manomessi. Non è nemmeno troppo difficile accertarsene, tra archivi web vari e servizi online dedicati appositamente a casi di questo tipo; nonostante ciò, là fuori c’è ancora qualcuno (alla peggio, dall’ampio pubblico) in grado di attribuire a Tim Soret dichiarazioni del tutto fasulle (come il tanto discusso “Questi sono alcuni temi che intendo rappresentare -in The Last Night-: ludicizzazione, eugenetica, demografia, estremo femminismo che vuole cancellare i generi sessuali, ecc“).
La controversia
Il caso non è insomma “scoppiato” spontaneamente; fu l’attivo intervento di un particolare account Twitter (per altro, relativamente in vista), ad attirare a tutti gli effetti l’attenzione sulla questione. L’utente (allora denominato “Thought Daddy“) avviò una sorta di personale campagna di boicottaggio anti-Tim Soret, sparlando pubblicamente dello sviluppatore e diffondendo maldicenze circa The Last Night (coinvolgendo inevitabilmente il proprio ampio following). Quotando un tweet dell’account, “Solo perché lo sappiate, non demordo quando so che uno sviluppatore partecipò al GamerGate (sempre che non faccia ammenda, ma non l’ha mai fatto nessuno)“.
Divenuta virale, la controversia raggiunse persino Markus Persson (l’ormai miliardario creatore di Minecraft), che commentò, dopo l’iniziale dissenso (per usare un eufemismo), con un severo “Stai sollevando su un sacco di m**a per fare soldi“. Un’accusa piuttosto pesante, da parte di una figura pubblica del calibro di Notch (per altro, inizialmente ignaro dell’individuo dietro all’account Twitter); il giorno successivo, comunque, Thought Daddy si riferì all”intera vicenda per promuovere il proprio libro (sul Gamergate), tuttora disponibile su Amazon. L’account appartiene infatti alla primaria ed effettiva causa scatenante del Gamergate in sé: una developer (nota per lo sviluppo di un’avventura testuale di 40 minuti sulla depressione) che, non troppo abile nel nascondere -ben cinque- sospette “relazioni” con giornalisti/membri dell’industria, mise involontariamente in moto la creazione dell’ormai infamato movimento per l’integrità nell’ambiente videoludico statunitense. La sviluppatrice non si limitò comunque a prendersela con The Last Night, accusando Tim Soret di aver personalmente “tentato di rovinarle la vita” -giustificando l’affermazione rifacendosi ad un ennesimo tweet (riguardante, questa volta, una critica dello sviluppatore francese allo show Netflix dedicato a Bill Nye). Preso dalla controversia, qualcuno arrivò a contattare addirittura Raw Fury ed Odd Tales, chiedendo la cancellazione del gioco e/o di dissociarsi ufficialmente da Tim Soret.
…Che prontamente, replicò sul proprio account Twitter.
“Tempo di controversie. Va bene. Parliamone, perché è importante.
1- Sto dalla parte di uguaglianza & inclusività.
2- The Last Night non è in nessun modo contro il femminismo o qualunque forma di uguaglianza. È cambiato molto in me negli ultimi anni.
3- Il setting immaginario del gioco sfida in toto il progresso tecno-sociale, non certo tentando di promuovere idee regressive.“
Chiarimenti
Anche Raw Fury, publisher del gioco, decise di commentare la vicenda; il giorno successivo, la compagnia pubblicò quindi una dichiarazione ufficiale, allegando inoltre il link ad una lunga discussione (in cui Soret chiarisce ad una community inizialmente scettica il contenuto dei propri tweet): “Vogliamo specificatamente portare l’attenzione su qualche datata affermazione del direttore creativo (di The Last Night). A Raw Fury crediamo nell’uguaglianza, nel femminismo, nel diritto all’equa ricerca della felicità. Non lavoreremmo affatto con Tim Soret/Odd Tales, se fossero contro questi principi. (…) Tim si espresse male, quando parlò di femminismo nel 2014; prendere parte al movimento del GamerGate pensando fosse contro al giornalismo è stato naïf, ma lo stesso anno, Soret ha anche acclamato l’ascesa delle donne nel gaming. Alcuni utenti di un forum hanno trovato vecchi tweet discutibili, e Tim si è preso la responsabilità di rispondere personalmente. Ne è nato un dialogo in cui punti di vista differenti sono stati considerati e discussi; (…) Molto può cambiare in tre anni, incluso il proprio punto di vista, e Tim ci ha assicurato che The Last Night non offrirà un messaggio impregnato di regressismo. Crediamo a Tim; sappiamo di quanto sostenga il progresso dentro e fuori dalla nostra industria“.
Come se non bastasse, Soret decise di sfruttare il proprio spazio (durante il PC Gaming Show) all’E3 per commentare pubblicamente la questione. “Vorrei parlare di qualche mia preoccupazione. Sapete, sono imbarazzato da qualche tweet che ho pubblicato in passato. Uhm, voglio scusarmene. Non rappresentano in alcun modo chi sono oggi, né i contenuti di The Last Night“.
Le scuse del developer francese finirono però col generare persin più polemiche. Da una parte, chi seguì la vicenda non sembrò approvare completamente la scelta di Tim Soret (scusarsi per una controversia apparentemente creata a tavolino, perpetuata solo da un’effettiva minoranza assai rumorosa), appellandosi generalmente all’innocenza di fondo dello sviluppatore -ed alla libertà creativa nei prodotti artistici e d’intrattenimento; dall’altra parte, parlare pubblicamente della questione attirò l’attenzione di chiunque ne fosse rimasto all’oscuro fino a quel momento, inclusa la stampa (giornalistica e non). Se quindi il tabloid The Sun “informò” i propri lettori riguardo “uno sviluppatore di giochi finito in uno scandalo sessista”, Polygon si fece avanti chiedendo una presa di posizione da parte di Microsoft (la quale, tramite un portavoce, sottolineò semplicemente di non supportare commenti contro diversità ed inclusività).
In conclusione…
In definitiva, Tim Soret chiarì nel dettaglio il vero messaggio dietro ai post più discussi, ebbe modo di spiegarsi sul proprio account Twitter, affrontò formalmente la questione (tramite dichiarazione ufficiale da parte del proprio publisher) e si scusò pubblicamente all’E3; a dispetto di ciò, gran parte dei (pochi) utenti dietro all’originale scandalo non sembrò ancora soddisfatta, continuando a chiedere in alcuni casi una reazione più dura ed esemplare nei confronti del developer. Fortunatamente nessuno (di rilevante) sembrò dar loro retta; l’intera vicenda si rivelò un mero fuoco di paglia -di conseguenza, la controversia non poté che spegnersi nel giro di qualche giorno. Per accontentare pochi, isolati utenti “indignati”, Soret cancellò comunque dal proprio account i vecchi tweet più controversi, arrivando perfino ad auto-censurare qualche passaggio dalla descrizione di The Last Night sulla versione inglese di Steam (mentre per qualche ragione, la pagina italiana continua a proporre il testo integrale).
In fondo, non è quasi ironico? The Last Night si svolge in un mondo dominato dalla tecnologia, in cui le persone, ormai prive di una vera e propria identità, si ritrovano ad identificarsi unicamente in ciò che consumano, finendo col creare (a livello di società) un clima quasi spontaneamente distopico ed oppressivo (perlomeno, per chiunque non si allinei al loro “sistema”, come il protagonista Charlie). Similmente, parte dei critici di Tim Soret sembra basare la propria intera identità -o perlomeno, permanenza online- su qualcosa di sostanzialmente virtuale (in questo caso, il Gamergate, o l’opposizione allo stesso).
Siamo franchi: una delle accuse principali al Gamergate riguarda chiaramente il sessismo, mentre Soret vanta di un passato da aperto sostenitore dell’ascesa delle donne nel gaming (ad oggi, non esiste prova di alcun tweet effettivamente sessista pubblicato dal developer). Apparentemente, al Gamergate si rimprovera anche la “mancanza di inclusività”; Charlie, il protagonista di The Last Night, è un ragazzo bisessuale, ed il cast del gioco risulta evidentemente multietnico (è quindi improbabile che Soret sia il tipo di persona incline a discriminazioni varie). L’intera “colpa” del developer, se vogliamo, è quella di aver sostenuto (piuttosto brevemente) le prime fasi di un movimento nato per contrastare la corruzione nel giornalismo statunitense; indipendentemente dalla piega infelice presa col tempo, Soret non si è nemmeno mai esposto in quanto vero e proprio “membro del Gamergate”, spingendosi al massimo ad un iniziale supporto passivo per il fenomeno (da cui prese le distanze anni fa, e che tuttora continua a rinnegare). L’accusa principale al Gamergate, comunque, riguarda il cosiddetto “harassment” (o, in italiano, intimidazione, pressione aggressiva, persecuzione), specialmente verso le donne: inutile dirlo, al momento non si è al corrente di alcuna simile molestia perpetuata da parte dello sviluppatore. Gli apparenti “anti-gamergate” dietro alla controversia, d’altro canto, sembrano aver fatto di Tim Soret l’ultima vittima di una quasi morbosa caccia alle streghe: indipendentemente dalle proprie colpe, il developer si è visto infatti boicottare il gioco in sviluppo (ed accusare di disdicevoli azioni mai commesse), ritrovandosi bersagliato (sui social) da un’estremamente rumorosa minoranza dai dubbi intenti.
…Identificata, però, nel proprio movimento di protesta (opposto a quella che, paradossalmente, è un’altra protesta), al punto da accanirsi -per partito preso- contro chiunque ne possa risultare anche solo lontanamente associato; anche a costo di far rischiare la carriera a qualche promettente sviluppatore tutto sommato innocente. Così Tim Soret, per paura di poter offendere ulteriormente qualche avatar più o meno anonimo, si scusa con tutti, cancella i propri tweet, e censura la descrizione del proprio gioco dalla pagina Steam. C’è forse da chiedersi se lo sviluppatore, per evitare ulteriori controversie, possa arrivare ad auto-censurare anche parti del proprio gioco (ancora prima della release), intimorito dalla prospettiva di un’eventuale, ennesima persecuzione virtuale.
Se non è distopia questa.
– Interessante approccio al tema della distopia
– Grafica ibrida dal grande impatto
– Ispirata estetica cyberpunk
– Trama dal concept promettente
– La presenza di scelte multiple suggerisce una certa rigiocabilità
Apertamente ispirato a titoli del calibro di Oddworld e Another World, The Last Night punta a riportare in vita il dimenticato genere del platformer cinematico: ad un consueto sidescrolling (in ambientazioni 2.5D) il titolo affianca però elementi inclini all’action, stealth e puzzle, condendo il tutto con un impatto visivo mozzafiato ed una narrativa dall’incipit quantomeno atipico. Ambientato nel cuore di una multietnica metropoli tipicamente cyberpunk, il gioco racconta di una futura società stabile ma alienata (così dipendente da una sofisticata intelligenza artificiale di propria creazione, da ritrovarsi collettivamente apatica, priva d’identità e scopo). The Last Night tenta un approccio originale a tematiche affini al filone del cyberpunk (-e postcyberpunk, tra distopie, transumanesimo e IA); il protagonista sarà quindi Charlie, giovane cittadino “di fascia bassa” del tutto incapace d’interfacciarsi con la tecnologia di cui nessun altro sembra poter (o voler?) fare a meno. La trama in sé sembra vantare di ottime premesse, ma l’attrattiva principale del gioco resterà per molti la peculiare estetica (ibrido tra 2D/sprites e 3D): Tim Soret, direttore creativo del progetto e fondatore di Odd Games, vanta di un background professionale in fatto di grafica pubblicitaria/effetti speciali, dopotutto.
Previsto per il 2018, The Last Night verrà pubblicato dalla svedese Raw Fury su PC ed Xbox One (come “launch exclusive”).