Anteprima

The Evil Within

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Dovremmo tutti ringraziare il signor Shinji Mikami per quello che è stato in grado di fare fino a oggi, davvero. Dovremmo anche stringergli la mano per il coraggio che ha avuto nel fondare e dirigere uno studio tutto suo, Tango Gameworks, ospitando al suo interno alcuni tra i più giovani e promettenti sviluppatori nipponici con la volontà di dimostrare, ancora una volta, che è possibile cambiare gli equilibri di produttività dell’industria e che un genere ultimamente così maltrattato come quello dei survival horror è ancora vivo, guizzante e pronto a dimostrare che su console c’è ancora molto da dire. Con Silent Hill che brancola disperso e abbandonato tra fitte coltri nebbiose da anni e non riesce più a risollevarsi, e con Resident Evil che con la paura, ormai, non ha assolutamente più niente a che vedere e ha firmato le carte per il divorzio (e Dead Space che sta seguendo nostro malgrado le orme di quest’ultimo), rimangono solo alcuni ottimi esperimenti indie a tenere alta la bandiera dei survival horror, ormai da troppo tempo orfani dei suoi più importanti creatori. Considerando che Keiichiro Toyama è passato dallo sviluppare Silent Hill e Forbidden Siren a occuparsi infine di Gravity Rush, non ci resta che riporre tutte le nostre speranze in Mikami, che vuole ripartire esattamente da dove si era fermato e ha tutta l’intenzione di dare nuovamente dignità al genere con The Evil Within
Orrore a tutto tondo
Il prologo lascia da subito intendere il tenore al quale il titolo ben presto ci abituerà. Non ci sono edulcorazioni di sorta e tutto arriva al giocatore nella maniera più diretta possibile, come quando vedrete il sangue del protagonista gocciolare dal suo corpo attraverso la vista offuscata, mentre un omone che per stazza e brutalità ricorda Leatherface taglia in due un prigioniero e trascina la sua metà sbudellata fino al tavolo dal mattatoio per terminare la sua sadica e oscena opera di efferata violenza. Per un caso del destino, riuscirete a liberarvi e a sgattaiolare silenziosamente fino alle sue spalle, dove recupererete la chiave che vi permetterà di liberarvi momentaneamente da quella prigionia, mentre da una sorta di grosso tubo industriale viene scaricato il busto di un malcapitato in mezzo agli altri resti umani, che giacciono inerti in uno dei tanti cassoni di recupero carni. Ed è qui che si presenta la prima interessante caratteristica di The Evil Within, ossia una componente stealth per niente scontata, capace di aumentare sensibilmente la tensione durante le fasi più ragionate, dove agire di soppiatto diventa vitale per superare incolumi alcune zone specifiche. Tenendo premuto il tasto dorsale di destra Sebastian assumerà una posizione dinoccolata utile ad attutire il rumore dei passi, che riutilizzeremo presumibilmente quando le munizioni scarseggeranno e dovremo sgusciare via dal manipolo di nemici che ci braccheranno a più riprese. Potrete anche occultare la vostra posizione nascondendovi negli armadietti o dietro ripari di fortuna, aggirare coloro che vorranno farvi la pelle o attirarli e costringerli all’attacco per far sfondare loro barriere e aprirvi così la via. È stato il caso del “macellaio” che ci inseguiva con la motosega in pieno stile Non aprite quella porta, che durante questa fase ha dimostrato un’IA ancora da rifinire a dovere. Una volta sfuggiti dalle sue grinfie (non sappiamo ancora se questo nemico riapparirà a sorpresa come Nemesis, ma è possibile soprattutto nelle primissime fasi), il prologo si chiudeva con una camminata lungo uno dei corridoi desolati del Beacon Mental Institute, un tetro edificio che nasconde al suo interno ben più di qualche segreto, in cui ci troveremo invischiati nostro malgrado quando avremo la consapevolezza di essere completamente immersi in un incubo a occhi aperti. Delle violente scosse telluriche scuotevano il gran palazzo fino a farci sbandare da ambo i lati, e con un a corsa verso l’atrio principale ci dirigevamo verso l’entrata dell’edificio. Una volta fuori, la strada tutto intorno era crollata rovinosamente come inghiottita da un male di entità indefinibile, mentre l’istituto d’igiene mentale si ergeva maestoso come un atollo in mezzo a un mare prosciugato. Sebastian non avrà più scelta: sarà costretto a rientrare, visitare le profondità di quella costruzione e della sua psiche, e preparaesi a un destino che trasformerà per sempre la sua vita.The Evil Within comincia così: benvenuti nel regno del terrore.
Le radici del male
The Evil Within è certamente un survival horror, metteteci pure la mano sul fuoco, ma non vuole trascurare alcuni degli elementi che hanno fatto la fortuna di Resident Evil 4. Non stiamo parlando di una forte ibridazione tra horror e action, non temete, ma della presenza di alcune situazioni non dissimili da quelle già viste nell’ultima opera Capcom da lui diretta. La visuale alle spalle del protagonista è la medesima nonostante il formato video sia diverso e il taglio della scenografia più concentrato, l’impostazione dei conflitti a fuoco differisce minimamente e i nemici principali non si muovono in maniera poi tanto diversa dai Ganados. Però il ritmo è più lento, ragionato, controllato, non è più farraginoso ma certamente più goffo poiché il rinculo delle armi haqui un peso maggiore. Questa scelta è azzeccata, perché aumenta il panico e la tensione quando i nemici ci stanno per sopraffare, un po’ come i primi tre Resident Evil, ma con la grande differenza che i limiti tecnologici sono adesso sgretolati e la fluidità maggiore rende il complesso di azioni più credibile e il gioco più accessibile alle masse. Qui Mikami ha maliziosamente dato un colpo al cerchio e uno alla botte, accontentando tutti pur mantenendo ben saldo tra le mani il controllo della conduzione di gioco, che da quello che abbiamo notato finora sembra non cedere il fianco a brutture action che mal si sposano col concetto di base dei survival horror. La seconda parte ambientata nella Perth House mostrava appunto tutto questo, ossia quanto di buono ci sia nel sistema di combattimento di The Evil Within, che aggiunge una componente tattica rappresentata dal piazzamento di alcune trappole che arginano le ondate nemiche e permettono di rifiatare nei momenti in cui la situazione diventa affollata e difficilmente gestibile. La musica è in questi momenti più incalzante, tagliente e velenosa, e si poggia su un tappeto sonoro di base che non fa altro che acuire a dismisura quel senso di oppressione già pressante per via delle minacce su schermo. Sfuggiti dal pericolo, siamo stati colpiti da alcune scelte registiche molto particolari, che ricordano in gran parte le soluzioni visive volutamente confusionarie viste nella parte finale di Silent Hill 2, dove entrando da una porta ci si ritrovava a uscire da un ingresso posto in una zona completamente differente. Questa alterazione spazio temporale stordisce il giocatore e lo mette in ginocchio, costringendolo a farsi controllare dalle fila da burattinaio di cui l’opera è dotata, che in quel momento ha il totale dominio sull’utente. Questo senso di straniamento frammisto alla mancanza di comprensione ben si sposa con l’aura di malattia mentale di cui è permeato il luogo, e quando procedendo ulteriormente verso un’altra porta dalla destinazione ignota, questa si apre d’improvviso e fa fuoriuscire un mare di sangue che ci investe in pieno, si capisce come il tributo a Shining non sia un cammeo gratuito, ma uno strumento utile a sballottare ancora una volta la percezione di chi impugna il pad. Dopo quel momento, c’era ancora un ultimo corridoio insozzato da una vivida e storta striscia di sangue, mentre tutto intorno il lucore smorto delle luci traballanti metteva in mostra un ambiente di un bianco quasi asettico. Arrivati nella stanza costellata da impronte di mani e copiose tracce ematiche tutt’intorno, giungevamo direttamente davanti alla fonte di quello scempio, da dove sbocciava con urla acute di donna una creatura con quattro braccia e dei lunghi capelli corvini che le coprivano il volto. Sebastian sparava per arginare la sua avanzata, ma la cosa gli veniva incontro imperterrita muovendosi agilmente da terra. In pochi secondi gli è addosso, lo sopraffà, solleva un braccio verso l’alto, e gli ultimi sfarfallii delle luci al neon anticipano il tremendo colpo che gli viene inferto. È la fine. La fine di questa significativa, convincente e solida sessione di gameplay. Quanto mostrato finora, onestamente, non lascia molti dubbi sulla qualità finale del gioco; vedremo se il resto riuscirà a essere all’altezza della fama del suo autore. In ogni caso, preparatevi al terrore: Mikami sta per tornare.

– Atmosfera e ambientazioni in puro stile survival horror

– Regia, direzione artistica e scelte visive di grande impatto

– Gameplay e controlli meno action di Resident Evil 4

– La mano di Mikami è molto evidente

The Evil Within ha su di sé tutto il peso di un genere da dover far rinascere su console. Mikami ha puntato tutto su questo progetto ed è più motivato che mai a urlare con voce tonante la sua dichiarazione d’amore verso i survival horror. In un momento dove le più importanti serie sono ormai alla completa deriva, solo la luce guida di un maestro può illuminare la via smarrita per sin troppo tempo. The Evil Within non solo potrà essere un gran gioco e un clamoroso ritorno in grande stile di questo genere, ma anche un fulgido esempio da seguire per chi verrà (o ritornerà) subito dopo. Incrociamo le dita, potrebbe essere davvero la volta buona.

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