Anteprima

That Dragon, Cancer

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a cura di LoreSka

Ci sono storie che devono essere raccontate: That Dragon, Cancer è una di queste. Una storia di una famiglia costretta ad attraversare tutte le fasi che ognuno incontra nel momento in cui ha a che fare con il peggiore dei mali, il cancro. Joel è un bambino di cinque anni, affetto da leucemia dall’età di dodici mesi: non parla, ma ride e gioca. “Impiegherà un po’ più degli altri bambini” dicono i suoi genitori, “ma alla fine anche lui sarà come gli altri”. Perché la malattia ha rallentato la crescita di Joel, ma non l’ha arrestata e chi gli sta attorno è disposto a dedicargli tutta la pazienza, l’attenzione e l’amore possibili.
Il problema è che noi sappiamo già che Joel non ce l’ha fatta: il bambino è morto nel 2014 e la storia a cui stiamo assistendo non si concluderà con un lieto fine. Perché la storia di That Dragon, Cancer è una storia biografica, basata sui fatti che hanno coinvolto la famiglia Green. Il papà di Joel, Ryan, ha iniziato a sviluppare il gioco quando le speranze per il figlio non erano totalmente perdute, e ha continuato anche “dopo”, il “dopo” che mai avremmo voluto nominare.
Quando il videogioco è più forte del cinema
La storia dello sviluppo di That Dragon, Cancer è affascinante: Ryan era intenzionato a raccontare quello che stava vivendo, e per farlo ha scelto il medium videoludico perché considerato più forte del cinema. Secondo il pensiero di Ryan Green, infatti, il cinema non offre un grado di immedesimazione paragonabile a quello del videogioco, e la sua intenzione è quella di fare sentire il giocatore il più vicino possibile ai protagonisti di questa storia.
Non occorrono che pochi minuti per comprendere quanto il videogioco sia forte nel veicolare le emozioni: realizzato con uno stile minimalista, con grandi poligoni e texture monocromatiche che mettono in risalto la spigolosità delle forme, la prima volta che si intravede la sagoma calva di un bambino intento a tirare molliche di pane a un’anatra veniamo colpiti al cuore. Perché anche se non distinguiamo il volto, anche se non riusciamo a cogliere le espressioni di gioia o di dolore, anche se la figura umana che stiamo guardando non ha né occhi né bocca, sappiamo che dietro quell’ammasso di poligoni che ricorda un manichino dei quadri di De Chirico si cela un bambino malato di cancro.
I monologhi dei genitori, i momenti di serenità e disperazione, la repulsione, l’accettazione, la razionalizzazione nei confronti di quello che avviene si alternano sullo schermo con un tocco leggero. Il punto di vista si sposta di continuo, e siamo forzati a seguire alcuni dei dialoghi più terribilmente emotivi che abbiamo mai avuto modo di udire in un videogioco. Dal medico che annuncia la fase terminale della malattia alla madre che cerca in ogni modo di “comprare un po’ più di tempo”, per finire alla psicologa che descrive la situazione come “una tragedia” mantenendo però il massimo distacco: tutto ci prende a pugni nel petto, e nel giro di appena dieci minuti dall’inizio del gioco siamo scossi e deglutiamo di continuo per proseguire.
Poi, d’un tratto, ci accorgiamo che quella sagoma che si pone domande sul proprio figlio, un ammasso di poligoni con gli occhiali e i capelli rossi, non è altro che la persona che sta in piedi alla nostra sinistra. Ryan Green è qui a San Francisco per mostrare il suo gioco, e la sua presenza ci obbliga a fermarci e a prendere un bel respiro: quella che stiamo vedendo è la sua storia, o meglio, la sua visione degli ultimi sei anni di vita. E, forse, grazie al suo videogioco ci sembra di capire quello che quest’uomo ha provato in tutti questi anni.
La demo si conclude dopo appena quindici minuti, e non riusciamo a individuare elementi di gameplay che vadano al di là del mero punta e clicca, senza puzzle solving né elementi che ci obblighino a grattarci la testa. Ci saranno delle scelte nel gioco, dei momenti in cui ci troveremo a fronteggiare delle decisioni importanti, scelte che Ryan ha realmente dovuto affrontare. Ma, a parte questo aspetto, è evidente che lo scopo di That Dragon, Cancer è quello di raccontare una storia e di farlo attraverso un medium interattivo. Come nelle opere di David Cage, ci troviamo sul confine tra videogioco e cinema, e siamo certi che non tutti troveranno il progetto di proprio gradimento. Ma, in questa breve sessione, siamo rimasti letteralmente colpiti da quanto il mondo di Joel e di chi gli sta attorno riesca ad entrarti nel cuore.

– Esperienza toccante e molto profonda

– Stile semplice ma efficace

– A livello empatico funziona incredibilmente bene

– Una risposta alle accuse nei confronti dei videogiochi

That Dragon, Cancer è un gioco che merita di essere mostrato al grande pubblico. Semplice, forse fin troppo minimale, questo titolo ha saputo provocarci delle forti reazioni emotive in appena una manciata di minuti, una caratteristica che raramente si riesce a concretizzare in altri media. È come se il videogioco riuscisse a catalizzare lo storytelling grazie al suo potere immersivo, amplificando le emozioni di una storia tanto semplice quanto complessa come quella di un bambino che muore di cancro. Probabilmente questo piccolo gioco non riuscirà a conquistare i favori del grande pubblico, ma siamo convinti che il mondo dei videogame abbia bisogno anche di questo: un manrovescio sulla faccia di chi proclama l’inutilità e la pericolosità di questo mezzo di comunicazione.

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