Dopo l’arrivo di The Last Guardian oramai quasi un anno fa su PlayStation 4, Sony si prepara a riportare in questa generazione anche un altro titolo nato dalla penna di Fumito Ueda, senza che però il game designer giapponese, stavolta, avesse un ruolo da protagonista. Parliamo chiaramente di Shadow of the Colossus, mostrato già durante l’E3 e che durante la Paris Games Week abbiamo avuto la possibilità di provare con mano, andando a scavalcare, ancora una volta, gli enormi colossi propostici dal Team Ico.
Il coraggio può muovere montagnePur non avendo assistito al famoso flashback che spiegava quale fosse l’obiettivo di Wander, tendiamo a dire che a livello narrativo il remake di Shadow of the Colossus non ha subito variazioni. Ancora una volta ci ritroveremo nei panni di un ragazzo pronto a tutto pur di salvare la vita della propria ragazza, Mono: nonostante la sua morte, il ragazzo è fortemente intenzionato a riportarla in vita, sfruttando quei poteri che si trovano all’interno di un tempio arricchito da sedici diversi idoli. A guidarlo ci sarà la medesima voce di dieci anni fa, ossia Dormin: un’entità che subito spiegherà al ragazzo che per riottenere l’anima della ragazza è necessario distruggere i sedici idoli e le loro sedici incarnazioni, distribuite in colossi sparsi per le lande che circondano tale tempio. Insieme con il proprio cavallo Agro, quindi, Wander partirà alla ricerca di tutte le montagne che dovranno essere sconfitte, sfruttando la sua spada e il suo arco, con quest’ultimo che sarà un’arma semplice, basilare, e la prima che invece avrà dalla sua il potere della luce, capace di indirizzare i passi del protagonista verso il prossimo idolo da sconfiggere. Ancora una volta, quindi, il Team Ico arriva a proporre una storia fatta di grandi legami, così come d’altronde era avvenuto con ICO e così come, recentemente, abbiamo potuto notare in The Last Guardian, con Trico che si è innalzato ad archetipo dell’importanza dei legami. Il coraggio, o anche l’amore in questo caso, permetterà al giovane Wander di andare ad affrontare delle vere e proprie montagne che camminano, lentamente, o che volano, con grande prestigio, sulle lande deserte o erbose del mondo che fa da scenario a Shadow of the Colossus.
Ci sono montagne che devono morireNella build che abbiamo avuto modo di provare si è potuto scegliere tre diversi combattimenti: a nostra disposizione avevamo i colossi numero 1, 3 e 13, quindi rispettivamente il Minotauro, il Cavaliere e il Drago, che è stato mostrato anche nell’ultimo trailer distribuito durante la conferenza della Paris Games Week. I nostri passi si sono chiaramente rivolti subito verso il primo, così da poter recuperare dimestichezza con le meccaniche del titolo e scoprire in che modo il gameplay ha subito eventuali variazioni: ancora una volta, armati di spada e arco, come detto già poc’anzi, abbiamo convocato Argo e ci siamo fiondati verso il luogo indicato dalla luce emessa dalla nostra spada. Subito in groppa al nostro cavallo abbiamo notato la prima finezza registica che non può passare in secondo piano: durante le nostre cavalcate, che dovranno essere chiaramente spronate con un buon ritmo di calvi sui fianchi del nostro cavallo, la regia preferisce tenere sul lato dell’inquadratura, che sia esso sinistro o destro, il protagonista e il suo destriero, così da lasciare la parte centrale dell’immagine interamente dedicata all’ambiente.
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Evitando quindi che l’immagine possa essere impallata, si lascia ampio respiro a tutto ciò che ci circonda, esaltando la qualità grafica e il dettaglio che si evincono dalla riproposizione di Shadow of the Colossus. Il titolo di Fumito Ueda diventa cosìuna vera perla grazie a PlayStation 4 Pro e riesce a esaltarsi in qualsiasi tipo di dettaglio, sia grafico che sonoro, usufruendo anche di un ottimo ritorno audio nel nostro passaggio tra l’erba che viene smossa dal nostro correre a piedi. Rimandando, però, tutta l’analisi tecnica del caso a quella che sarà la recensione finale e agli hands on più dettagliati che arriveranno nei prossimi mesi, arriviamo a quella che è l’azione nuda e cruda. Il Minotauro, come sicuramente ricorderete, si prestava a una battaglia molto entry level, capace di farci capire in pochi passi quello che era lo spirito del gioco: dopo aver innalzato la spada al cielo per scoprire i punti deboli del nostro avversario, la voce di Domin ci ha subito suggerito di arrampicarci su di esso per poter arrivare al nostro obiettivo, ossia la testa. Trovato un appiglio sulla caviglia sinistra, ricolma di erba sulla quale aggrapparci, una crepa di colore azzurrino ci ha permesso di intuire, così come dieci anni fa, dove colpire: affondata, quindi, la spada abbiamo assistito al dolore del colosso, che accasciandosi leggermente ci ha concesso la schiena sulla quale continuare la nostra arrampicata. Ancora una volta, giunti sulla testa, è stato fondamentale dosare la “stamina” della spada per poter piantare tre potenti colpi sulla testa del colosso e stenderlo facilmente. Inizialmente sarà molto facile riuscire ad avere la meglio, ma non appena arriverà il momento del drago, da cavalcare sfruttando le sue ali che andranno ad arenarsi nel deserto, le battaglie si faranno chiaramente più intense e appassionanti.
– Tecnicamente è un quadro meraviglioso
– Ha mantenuto tutte le caratteristiche dell’originale
Shadow of the Colossus, nella sua versione completamente nuova e in questo remake che ci ripropone un grande classico del 2006, sarà un ottimo modo per permettere ai più giovani di entrare in contatto con una di quelle pietre miliari della PlayStation 2 forse passata leggermente in sordina, pur essendo stata più che apprezzata dalla critica di settore e da parte dei fan. Allo stesso modo, però, sarà un’occasione più che valida per fare un tuffo nella nostalgia e ripercorrere il titolo di Fumito Ueda al meglio delle sue possibilità.