Anteprima

Puppeteer

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Dopo la presentazione di Puppeteer alla stampa, abbiamo provato tre livelli di una versione praticamente completa del gioco. Gavin Moore ci ha spiegato che il titolo è stato concepito appositamente per offrire qualcosa di diverso dai soliti giochi presenti oggi nel mercato, tutti fin troppo simili tra di loro. L’idea è nata proprio dopo quest’affermazione del figlio di Moore, stufo di annoiarsi di fronte a videogiochi che rimanevano sempre gli stessi e che non erano in grado di coinvolgerlo a dovere. Per questo motivo, dovremo aspettarci dei cambi repentini di gameplay ogni cinque-dieci minuti, in linea coi cambi di scenario a cui il titolo Japan Studio ci metterà di fronte. Nonostante il prezzo contenuto di Puppeteer (40 Euro), ci è stato assicurato che non si tratta affatto di un titolo budget, ma che il gioco ha tutte le caratteristiche per essere considerato quello che oggi viene inquadrato come un progetto tripla A. Dopo la nostra prova, in effetti, anche noi abbiamo avuto la sensazione che il progetto abbia tutte le carte in regola per potersi definire tale. Ecco perché.
Kutaro e le forbici Magiche
Oltre a essere il sottotitolo della versione italiana di Puppeteer, la nomenclatura poco sopra specifica al meglio il fulcro dell’intero gioco. Si tratta di una favola che pesca a piene mani dal teatro delle marionette giapponesi, che viene ambientata per intero sul palcoscenico semovente di un teatro che pulsa di vita propria. I cambi di scena sono rapidi e improvvisi, gli effetti di luce e le ambientazioni sembrano frutto della perfetta e accurata maestria di scenografi in piena fibrillazione, sempre pronti a strabiliare il loro pubblico mentre una coinvolgente voce fuori campo racconta la storia di Kutaro, ultima vittima del maleficio di Re Orso che gli ha rubato l’anima trasformandolo in un burattino come tutti gli altri bambini. A differenza loro, però, Kutaro scopre che un modo per venire a capo da questo maleficio esiste, e che, sottraendo un paio di forbici magiche al malvagio sovrano, è possibile ritagliarsi una via d’uscita; ma non prima di aver sconfitto i dodici generali del Regno della Luna e aver affrontato infine il Re. Per riuscire a superare gli scenari Kutaro, oltre che delle forbici tuttofare, potrà usufruire di alcune teste intercambiabili e non sempre facili da scovare, che gli conferiranno diverse abilità in grado di risolvere alcune situazioni di gioco apparentemente senza soluzione. Quando si viene colpiti da un nemico, si hanno appena un paio di secondi per recuperare la testa persa prima che scompaia, un po’ come gli anelli in Sonic o con Yoshi in Super Mario prima che cada da un burrone (e gli esempi con altri platform potrebbero continuare ancora). 
Il gioco era già doppiato in un ottimo italiano e il livello delle voci e della recitazione era piuttosto buono. In effetti, non avrebbe potuto essere altrimenti in un titolo che fa della narrazione e della tipica enfasi teatrale alcuni dei suoi motivi di vanto. 
Il primo livello era sostanzialmente un tutorial che ci introduceva alle meccaniche: semplici, essenziali, senza troppi fronzoli, e con una curva di apprendimento dolce e mai troppo proibitiva. Trattandosi di un gioco che punta molto sulla cooperazione tra due utenti in locale, ci siamo premurati di provarlo anche assieme ad altri colleghi, prima usando Kutaro e poi il personaggio di supporto, che può fluttuare lungo tutto lo schermo e arraffare oggetti, rimuovere gli ostacoli e sbarazzarsi dei nemici prima ancora che possano portare a segno un attacco al protagonista. In assenza del secondo giocatore, potrete controllare l’altro personaggio con lo stick analogico destro e usare un grilletto al posto del tasto preimpostato per il giocatore due. C’è da prendere un po’ la mano, in solitaria, perché riuscire a coordinare tutto al meglio mentre accadono parecchie cose su schermo contemporaneamente, e senza preavviso, non è esattamente la manovra più semplice e intuitiva da mettere in atto. Perlomeno, giocando senza un compagno la difficoltà si attesta su buoni livelli, mentre giocando assieme a un altro utente, è impossibile non constatare come tutto risulti essere sin troppo semplificato. Usando il Move, poi, controllare il personaggio di supporto è ancora più fluido e rapido, permettendo di accelerare quindi le operazioni di aiuto e recupero oggetti. Nonostante ciò, avanzando lungo i livelli Puppeteer diventa meno indulgente e tende a premiare il tempismo e l’abilità degli utenti, fermo restando che il dislivello tra single player e co-op rimane.
“In fondo al mar” e “Cimitero Vivente”
Superato agevolmente il tutorial – che tra le altre cose ha messo in luce la possibilità di entrare in scenari bonus al compimento di una determinata azione – siamo passati a uno scenario sottomarino in cui erano presenti diverse sezioni in pieno stile infinite runner (o come quelle viste a cavallo del mosquito nella serie Rayman) dove bisognava evitare ostacoli, saltare al momento giusto e schivare le prominenze verso cui stavamo per schiantarci. Naturalmente si trattava di qualcosa di più complesso rispetto ai giochi per smartphone con riproduzione random di ostacoli, e soprattutto, tra una fuga e l’altra dovevamo scendere e interagire con uno scenario a sviluppo ora verticale, ora orizzontale, con una frequente posposizione di elementi e una profondità in grado di rompere con facilità la cosiddetta quarta parete. Puppeteer utilizza al meglio quello che può essere definito il multistrato dello spazio di gioco, approfittando appunto di alcune caratteristiche tanto care al teatro e al suo modo di illudere lo spettatore. Portate questa definizione all’interno di un videogioco, e capirete perfettamente di cosa stiamo parlando. Per esemplificare meglio ancora il tutto, vi basti pensare a come l’eliminazione di un ostacolo possa mostrare parti celate dello scenario, o a Kutaro che sprofonda verso il centro o balza verso di voi come se volesse uscire dallo schermo. A ogni modo, colpisce il modo di “arrampicarsi” verso l’alto, ossia tagliando parti di scenografia lungo le linee tratteggiate, o il modo per cambiare improvvisamente il mondo che vi circonda, tirando verso di voi un appiglio e facendo così traslare il palcoscenico da una sede all’altra, pur rimanendo sostanzialmente nello stesso punto. Tra enigmi, scorribande, bombe da affidare al nostro comprimario per far esplodere parti dell’ambientazione e scroscianti applausi e incitamenti ogni qual volta compivamo l’azione giusta (bordate di fischi e cori di disprezzo in caso contrario), siamo infine giunti al boss di fine livello: un polpo enorme da sconfiggere anche grazie all’uncino in dotazione, che serve per raggiungere punti lontani e cambiare così l’aspetto dello scenario. 
Il terzo e ultimo livello disponibile era invece ambientato in un cimitero e presentava uno stile di chiara ispirazione Burtoniana. Il grado di difficoltà era più alto rispetto agli altri due e probabilmente si trattava di una fase avanzata di gioco. Qui, in particolare, abbiamo avuto modo di capire meglio come funzionavano le teste da selezionare, senza le quali non sarebbe stato possibile avanzare. Senza indossare la testa adatta infatti, non avremmo potuto sfondare il terreno sotto i nostri piedi, imboccare un passaggio sotterraneo, uscire dalla parte opposta come uno zombi e liberare una lapide dalle ragnatele. Dopo questa operazione, sempre grazie al fido uncino, potevamo tirare giù la grande struttura di marmo e avanzare. Senza svelare nient’altro del gioco, siamo arrivati al boss di fine livello, da far fuori combinando l’abilità di tagliare i tessuti con le forbici e quella di riflettere la luce, che solo una testa in particolare poteva offrirci.
Il gioco, tirando le somme, ha una struttura e un appeal che funzionano molto bene, è evidentemente ispirato, sa come tenere incollato il giocatore al pad e riesce a divertire come un platform dovrebbe effettivamente fare. La formula di Puppeteer è potenzialmente di quelle vincenti, tant’è che siamo stati spinti a riprovarlo una seconda volta prima dell’intervista. Bisognerebbe solo bilanciare meglio la difficoltà durante la co-op. E, naturalmente, sperare che il gioco completo non subisca flessioni e riesca a mantenere sempre alto l’interesse del giocatore.

– Concept di gioco affascinante e mai visto

– Divertente, immediato e vario

– Artisticamente molto ispirato

Puppeteer è stata una piacevole sorpresa, un gioco che spicca prepotentemente per il suo lato artistico e per i suoi valori creativi. È un platform indubbiamente da tenere d’occhio, che mira ad esaltare la cooperativa in locale e divertire come i giochi di un tempo, lontani dalla concezione multiplayer online a cui siamo stati abituati. Il prossimo 11 settembre, scopriremo se effettivamente sarà riuscito a mantenere le sue promesse.

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