Dopo il primo hands on di dicembre, che ha aperto le porte anche a una demo che ha colpito quasi l’intero mondo dei videgiochi, NieR Automata ha deciso di mostrarsi di nuovo e lasciarsi toccare dalle nostre mani, per convincerci ulteriormente che la sua frenesia ha tanto da raccontarci. Platinum Games, con qualche compromesso tecnico, mantiene uno stile incredibilmente ispirato e un gameplay che tiene il videogiocatore incollato allo schermo e con le mani salde al pad, confermando quanto di buono mostrato nei suoi lavori precedenti, tenendo i capisaldi del battle system che passano dalla schivata a tempo e delle combo rapidissime. Ripartendo, quindi, dal punto in cui ci eravamo fermati a dicembre, abbiamo esplorato il vasto mondo di NieR Automata, per lasciarci ancora una volta rapire e conquistare.
Dov’è il giusto?NieR, dicevamo già nel corso della nostra prima prova, si candida facilmente a uno dei titoli più emozionanti di questo 2017. Taro Yoko ha da sempre saputo mettere l’accento su degli elementi narrativi incredibilmente forti e capaci di trasmettere sensazioni che, solitamente, nei videogiochi non è facile raccogliere. L’andare a insistere sul difficile topic della vita e la morte, del diritto all’esistenza, ponendoci nei panni di cyborg che stanno combattendo contro qualcosa che non ci è ancora noto, ci permette a più riprese di ragionare sulle nostre azioni e su cosa realmente stiamo facendo. Nel corso delle nostre due ore di provato tale aspetto è passato leggermente in secondo piano, ma è stata la conclusione che ha ridestato in noi domande e dubbi che hanno avuto la maggiore nel post mortem del nostro hands on: lo scontro con quello che sembrava un essere umano completamente nudo, asessuato perché privato dei suoi organi genitali, ci ha fatto domandare se stessimo combattendo dal lato della giustizia, se noi fossimo realmente i paladini che dobbiamo sembrare di essere. D’altronde il giusto, a volte, è indubbiamente relativo e soggettivo, per questo Taro Yoko avrebbe potuto infilarci in una situazione tale che definiremmo borderline, con tante domande e, per ora, pochissime risposte.
Dopamina NieR Automata si presenta con un gameplay frenetico, marchio forte dei Platinum Games, che hanno sempre proposto, nella loro storia, una frenesia tale da tenere il videogiocatore sempre ben incollato allo schermo e mai pronto a distrarsi. Per questo abbiamo riscontrato un divertimento sempre crescente, perché se nelle prime fasi ci siamo ritrovati ad affrontare nuovamente la stessa sessione dello scorso dicembre, che è stata poi riproposta anche nella demo distribuita sul finire dello scorso anno, in quelle successive NieR Automata si è completamente aperto, come una rosa che mostra il suo bocciolo, spalancando i petali. Dopo esserci risvegliati in una struttura propostaci in bianco e nero, nei panni di 2B, a colloquio con 9S, abbiamo impostato le caratteristiche del nostro androide, meritevole di una revisione totale: tutto è fedelmente realistico, quasi a farci sentire all’interno della testa di 2B. Con queste piccolezze stilistiche, che si lasciano comunque apprezzare, siamo arrivati all’open world che eravamo desiderosi testare sin dalla scorsa prova, quando non ci era stato possibile valutare cosa accade in NieR una volta terminata la nostra missione iniziale. Quello che si è presentato dinanzi ai nostri occhi era una vastissima landa verde, arredata con dei palazzi diroccati e pieni di infausti mattoni crollati al suolo, per rispettare l’ambiente distopico nel quale ci siamo ritrovati, per un pianeta completamente abbandonato dall’umanità. Con la velocità che condiziona il nostro androide, la prima curiosità che abbiamo voluto dissipare è stata nel confrontarci con gli elementi strutturali dell’ambiente, come per esempio gli animali: in questa prima fase ci è stato possibile assaltare dei totalmente innocui alci, che hanno risposto al fuoco soltanto nel momento in cui noi ne abbiamo prodotto contro di loro; dopo le prime fasi distruttive, che ci hanno spinto a sparare all’impazzata contro qualsiasi cosa, abbiamo anche capito l’effettiva utilità di questi animali, decisamente coriacei e cocciuti nel replicare ai nostri colpi. L’alce, infatti, come ci ha spiegato anche il team di sviluppo, è uno dei mezzi di trasporto che possiamo utilizzare in questo mondo che ci è sembrato sì sconfinato, ma con pochissimi elementi a renderlo vivo, il che può sicuramente rappresentare una coerenza narrativa e stilistica. La cavalcatura, che immaginiamo varierà da animale in animale, ci ha permesso di caricare anche alcuni dei robot che erano disposti sul terreno, combattendoli a tutti gli effetti: purtroppo stando in groppa all’animale non è stato possibile raccogliere oggetti né compiere altre azioni che avrebbero potuto velocizzare molto gli spostamenti, così come, purtroppo, non è possibile trattenere l’alce una volta smontata la cavalcatura, costringendoci a doverne attirare nuovamente uno a noi. Tale sistema è legato al consumo di esche, acquistabili presso un mercante apposito. L’esserci soffermati molto su questa tematica ci spinge poi a ragionare su quanto accaduto una volta sconfitti da uno di questi animali, che hanno rappresentato, inaspettatamente, uno degli avversari più ostici: emulando la meccanica dei soulslike, la nostra anima è rimasta deposta nel punto in cui eravamo stati sconfitti. Tornando, quindi, nel luogo della precedente morte ci siamo ritrovati dinanzi a una scelta: da un lato era possibile riportare in vita l’androide, sottoforma di robot alleato, altrimenti la nostra scelta poteva anche andare sul recuperare tutti gli oggetti persi. Non abbiamo potuto assaporare la bontà dell’androide alleato perché i combattimenti, soprattutto nella zona iniziale, non erano eccessivamente complicati, così come tutte le unità schierate non erano ostili e solo se stuzzicate replicavano agli attacchi: con l’andare avanti dell’avventura, però, tale espediente può diventare sicuramente affascinante per avere con sé un terzo androide in squadra, pronto a darci man forte.
Il citazionismo dell’open worldPassiamo, quindi, all’analisi sui agglomerati cittadini. Nella nostra prova ne abbiamo trovato soltanto uno, un accampamento che ci ha permesso di prendere dimestichezza con quella che è la meccanica delle sub-quests e anche dei mercanti a disposizione della nostra avventura. Il citazionismo, in questa situazione, si è sfogato abbastanza, partendo dal venditore di armi che ci ha tenuto a ricordarci dell’esistenza di Accord direttamente da Drakengard 3, ma anche uno degli abitanti che indossava una maschera lunare, proprio come quella di Taro Yoko, spiegandoci che con questa indosso aveva la possibilità di evitare molti dei fastidi arrivati dall’esterno. Le missioni che ci sono state proposte non erano eccessive, quindi non abbiamo denotato una dispersione da parte del sistema, che pur avendo dalla sua un buon open world da sfruttare non ha voluto ingozzarlo di elementi: raccolti quindi gli oggetti necessari ad attivare alcune rivenditori, grazie anche al supporto della mini-mappa che ci segnalava dove recarci per recuperare ciò che ci serviva, abbiamo proseguito la nostra avventura con la storyline principale, che ci ha condotto a esplorare molte delle altre aree di cui è composto NieR Automata. Dopo, quindi, quello che ci è sembrato essere un ambiente precedentemente abitato da una florida cittadina, siamo arrivati in un deserto disseminato di varie specie di robot, tra cui anche uno immediatamente spaventato dal nostro arrivo e costretto, dalla paura che lo ha attanagliato, a fuggire dalla nostra vista. È proprio qui che abbiamo accusato quella sensazione di cui sopra, di essere dalla parte del torto nell’assaltare tutti i nostri avversari: d’altronde dinanzi ad alcuni di essi, tra cui qualcuno intento nell’emulazione dell’atto sessuale, il disagio è stato vistoso, perché questi robottini inermi nasconderanno sicuramente elementi che andremo a scoprire nell’avanzare della trama, spinti da una curiosità che potrebbe non avere precedenti. Nella frenesia più totale, però, Platinum Games ha dovuto scendere a patti con alcuni compromessi tecnici: per riuscire a tenere ben saldi i 60fps, essenziali per poter offrire un dinamismo così alto e così esasperato, nell’accezione positiva dell’aggettivo, il dettaglio e la risoluzione di ciò che vedevamo è stato leggermente abbassato. Sebbene gli scenari siano convincenti per la creazione, è la resa che non riesce a strabiliarci o a meravigliarci, ma dinanzi alla velocità dei combattimenti, dei movimenti dei nostri protagonisti e di tutto il mondo action dinanzi al quale ci troviamo, non possiamo che ritenerci soddisfatti e, per una volta, lasciar correre questi difetti e goderci in ogni caso un lavoro di sufficiente realizzazione.
– L’open world è coerente con lo scenario narrato
– Buon compromesso tra fps e dettaglio
– Intrecci narrativi che fanno ben sperare
Dopo l’hands on di dicembre, che ci aveva permesso di comprendere le meccaniche iniziali del gameplay e del battle system, insieme con alcune scelte visuali dei movimenti della camera, siamo arrivati nel cuore dell’esperienza di NieR Automata, con un approfondimento significativo dal punto di vista sia dell’open world che di tutto ciò che ci viene offerto nel nostro incedere. I dubbi sulla narrazione che potevamo avere qualche mese fa iniziano a diradarsi cedendo il passo a delle certezze sull’esistenza di un ecosistema che aprirà spazio a molti discorsi e analisi, perché una cosa abbiamo imparato di Yoko: le sue storie non sono mai state banali.