I giapponesi, a volte, hanno dei gusti molto strani. Non stiamo parlando della loro predilezione per i fagioli di soia fermentati o per il pesce crudo, ma per alcuni generi videoludici che, semplicemente, faticano ad essere compresi dal pubblico occidentale. Uno di questi generi è il musou, costola dell’hack and slash in cui il giocatore fronteggia da solo o in piccoli gruppi eserciti di proporzioni straordinarie, uccidendo centinaia e centinaia di nemici in tempi rapidissimi. Questi giochi, inutile negarlo, fanno uso di una formula altamente ripetitiva e, in genere, poco apprezzata da queste parti, mentre nella terra del Sol Levante ottengono risultati di vendita sbalorditivi.
Così, quando ci siamo ritrovati di fronte a Dragon Quest Heroes, titolo che attinge a man bassa dai vari Samurai Warriors e affini, il nostro entusiasmo era al minimo sindacale. Fortunatamente, dopo averci giocato per circa due ore in un evento di anteprima che ci ha messo di fronte alla versione completa, ci siamo dovuti ricredere.
La formula giusta
Lo chiariamo subito: anche se Dragon Quest Heroes non fa canonicamente parte della serie di musou a marchio Koei Tecmo, è pur sempre un titolo sviluppato da Omega Force, sussidiaria dell’azienda che ha dato vita a questo genere. Nell’esatto momento in cui si inizia a giocare, dunque, si ha esattamente idea di quello che si troverà nell’avventura: un sacco di nemici con una scarsissima intelligenza artificiale e un sacco di combo che raggiungono valori altissimi. Questo aspetto è sostanzialmente rimasto immutato anche in questo titolo, e gli archetipi del genere si ritrovano tutti senza particolari modifiche.
Già dalla prima missione dopo il tutorial base, tuttavia, ci si rende conto di alcune piccole differenze: in primo luogo, gli ampi spazi aperti tipici di questa tipologia di giochi lasciano spazio a sezioni più anguste, con corridoi più stretti del previsto e – addirittura – sezioni all’interno di edifici. Le battaglie, in questo modo, risultano meno dispersive, e in generale si ha la sensazione di avere la battaglia sotto controllo.
In secondo luogo, la curva di apprendimento del gioco è incredibilmente morbida. Se avete provato un Dynasty Warriors, probabilmente avrete sbattuto il muso contro una quantità esagerata di informazioni in un tempo straordinariamente breve, oltre a una storia incasinatissima e piena di collegamenti che richiederebbero un bel blocco note su cui prendere appunti. Ecco, in Dragon Quest Heroes tutto questo è stato sostituito da un tutorial che, tassello dopo tassello, inizia a svelare le caratteristiche del gioco, accompagnando il giocatore verso le fasi più avanzate senza mai sopraffarlo. La storia, inoltre, è incredibilmente semplice: un misterioso uomo incappucciato lancia un sortilegio e apre dei portali da cui fuoriescono dei mostri, e i nostri eroi si trovano a difendere il regno di Elsarze da un’invasione. Ben presto si scoprirà che questi portali sembrano collegare fra loro diversi mondi, dando accesso al giocatore a una serie di eroi provenienti da luoghi lontanissimi e, come spesso è accaduto nell’adattamento italiano di questa serie, con accenti particolarmente strani nei sottotitoli. Questa idea fa sì che il giocatore possa godersi la pur semplice trama senza troppi pensieri, procedendo di missione in missione con una sincera curiosità, senza mai sentirsi confuso da riferimenti esterni al gioco stesso o semplicemente troppo giapponesi per essere capiti da questa parte del globo.
Button mashing e tower defense
Tornando al gameplay, le meccaniche base del gioco fanno largo uso degli stilemi tipici dei musou. Parliamo di un button mashing quasi selvaggio, in cui attacchi rapidi e forti possono costruire combo devastanti con cui falciare enormi quantità di nemici, i quali – spesso – non sono altro che carne da macello su cui sfogarsi. Vi sono nemici più forti, mini boss e persino boss giganteschi che si abbattono solo dopo diversi minuti, ma non è raro vedere il contatore delle combo raggiungere le tre cifre. Alcuni personaggi sono abili combattenti in mischia, mentre altri sono destinati al combattimento dalla distanza. Vi è la possibilità di lanciare magie, effettuare schivate e parate, e persino di caricare una barra per attivare una modalità berserk chiamata Alta Tensione, che ci rende invincibili, più forti e veloci e che si conclude sempre con una devastante e spettacolare finisher.
Fino a qui, nulla di realmente nuovo, se non fosse che – già a partire dalla terza missione – veniamo introdotti a una strana meccanica che fa compiere al gioco una brusca virata verso il genere tower defense. Uccidendo i mostri, infatti, è possibile in alcuni casi ottenere dei gettoni che possono essere utilizzati a nostro vantaggio. Tali gettoni evocano un mostro che combatte al nostro fianco, e che è dotato di una forza e resistenza sensibilmente maggiori a quella di un normale sgherro. I mostri evocabili possono essere di due diverse tipologie, e dunque utilizzati in maniera differente: vi sono mostri sentinella, che presidiano una zona e fermano l’avanzata dei nemici, e mostri attivista, che – come una sorta di bomba – effettuano un brevissimo ma potente attacco prima di autodistruggersi. Poiché nelle missioni abbiamo sempre un obiettivo da difendere, questo meccanismo ci consente di distribuire le forze sul campo e di rallentare i nemici su di un fronte mentre il nostro gruppo di eroi combatte in un altro luogo. Ovviamente i mostri evocabili sono in numero ridotto, e possiamo “disevocarli” per liberare degli slot ed evocarne di nuovi. L’elemento tattico entra dunque di peso nel gioco, e aggiunge quella funzionalità in più che risulta sufficiente per smorzare la ripetitività tipica di questo genere e fornire alcuni momenti più ragionati e molto più divertenti del previsto.
Infine, vi è da segnalare la presenza di un hub situato su di una nave volante, che ci permette di esplorare il mondo e di raggiungere i luoghi delle battaglie e, al contempo, di acquistare potenziamenti e oggetti dai vari vendor presenti a bordo.
Il tutto, ovviamente, è stato realizzato con lo stile tipico di Akira Toriyama, il cui tratto è inconfondibile persino per chi conosce a malapena il mondo dei manga. Ne risulta un gioco gradevole da un punto di vista visivo, che ancora una volta ci mostra la forza del mondo disegnato da questo straordinario mangaka.
– Meccaniche molto meno ripetitive del previsto
– Direzione artistica splendida
– Grande quantità di contenuti
Siamo sinceramente sorpresi: quello che aveva tutti gli ingredienti per entrare nell’elenco dei musou si è rivelato essere un gioco più stratificato e profondo del previsto. Già da questo primo sguardo crediamo che Dragon Quest Heroes abbia potenzialità per essere apprezzato anche in occidente, e non vediamo l’ora di mettere le mani su questo spin-off di una delle saghe RPG più amate. In attesa, ovviamente, dell’undicesimo episodio della serie principale.