L’esperienza di Lantern ha probabilmente chiuso il ciclo artistico di Storm in a Teacup: un ciclo di diversi anni, che si è focalizzato su produzioni molto visive, narrazioni che si lasciavano accompagnare da emozioni estetiche piuttosto che da esperienze ludiche di enorme spessore. Adesso con Close to the Sun l’azienda romana sembra essere diventata adulta, pronta per un nuovo tipo di videogioco, per un progetto più profondo e che non vi costringerà a godere esclusivamente del piacere estetico delle cose. Lo abbiamo, quindi, provato alla Gamescom di Colonia in una sessione hands on da poco meno di venti minuti.
Esci da quella naveSiamo all’inizio del ‘900 e ci troviamo in una grandissima imbarcazione arenata al largo dell’oceano. Conosciamo poco della nostra storia e della nostra natura, se non che stiamo cercando nostra sorella, scomparsa da tempo: il nome della ragazza che comandiamo in soggettiva è Rose Archer e la sorella che stiamo cercando è Ada, al lavoro su qualcosa di particolare proprio su quella nave arenata in mezzo al mare. Chiaramente siamo stati lanciati in Close to the Sun già in medias res, com’è giusto che sia in un’esperienza che abbia un impatto rapido sul giocatore: una rapida spiegazione sui comandi e via. L’atmosfera è molto cupa e le informazioni che ci vengono fornite a singhiozzo non contribuiscono a rendere più tranquilla e pacata l’esperienza: ma va bene così, perché Close to the Sun punta proprio a trasmettere il pathos giusto per vivere l’ansia di Rose. Le cabine che circondano il nostro passaggio, attraverso i corridoi bui e sporchi della nave, raccontano dei dettagli inquietanti, tutti con una forte lore di base, ma non solo: vicino alle porte ci è capitato di notare anche qualche dettaglio davvero ben realizzato da parte del team di sviluppo, come ad esempio un cadavere rimasto bloccato sulla soglia di una porta automatica e con l’anta di quest’ultima che continuava a sbattere contro il braccio, che ne impediva la chiusura. Apriamo la porta di un bagno e troviamo un altro cadavere, con in mano un qualcosa che assomiglia a dei risultati di una ricerca: andiamo avanti e troviamo sempre più distruzione, disastri e domande su cosa stia accadendo su questa nave che sembra finita nelle mani di una corporazione chiamata Wardenclyff. Noi non possiamo fare altro che cercare, leggere, comprendere ed elaborare, perché in Close to the Sun non avremo armi, né dovremo combattere. Sebbene, quindi, continuando l’esplorazione il tutto possa essere ricollegato al “Bioshock italiano”, c’è da dire che soltanto l’ambientazione e l’odore dell’acqua ci permettono di avvicinare i due titoli in maniera così forte: per il resto il gameplay è diametralmente opposto, perché, come dicevamo, qui non si spara.
Salva tua sorella, salva il mondoL’unica nostra salvezza, oltre quella di cercare di capire quanto prima come scappare da questa nave, è allontanarsi il prima possibile dai nostri nemici. Ci è capitato di assistere a un game over, nell’hands on di chi ci ha preceduti, proprio perché nello scappare da questa figura inumana e trasparente, con i soli occhi rossi visibili, il tempismo non è stato dei migliori. D’altronde questo è un horror game, ma lontano da Venerdì 13 e da tutte quelle declinazioni horror in cui la paura arriva, come Disney insegnò in Bambi, dal non vedere: qui è tutto sotto i nostri occhi e l’unica grande paura è figlia del fatto che non sappiamo, che non arriviamo a trovare una soluzione. L’horror game di Storm in a Teacup, però, non si dedica solo alla fuga, altrimenti diventerebbe tutto molto monotono, bensì ci permetterà e ci costringerà ad affrontare anche diversi enigmi ambientali: di recente un titolo che ci ha chiamato ad affrontare situazioni del genere è stato Get Even pubblicato da Bandai Namco, che oltre a darci un’ambientazione molto ansiogena ci ha anche costretti a risolvere enigmi per i quali bisognava esplorare l’intera struttura all’interno della quale ci trovavamo. In Close to the Sun il meccanismo è il medesimo, non che da un enigma ambientale ci si possa aspettare qualcosa di diverso: per aprire una porta bisognerà sempre attivare il giusto congegno, utilizzare l’esatta combinazione e così via. Il tutto è chiaramente arricchito da un’ottima qualità grafica, che d’altronde è figlia di un team che nell’aspetto estetico ha riversato tantissimo impegno (vedere Lantern o N.E.R.O.): oltre ad essersi affidati a un certosino motion capture per qualsiasi movimento dei personaggi in gioco, Storm in a Teacup ha lavorato moltissimo sui poligoni che compongono lo scenario, arrivando ad offrirci delle texture molto curate e una caratterizzazione degli spazi molto ben riuscita, grazie all’arredamento delle stanze e dei corridoi della nave che fa da palcoscenico alla vicenda. La stessa direzione artistica ci è piaciuta: come dicevamo si fa riferimento ai dettami di Bioshock, un titolo che sfido chiunque a dire che non era un capolavoro artistico e contenutistico: la palette cromatica è l’ideale per raccontare quel dato periodo storico, che fa riferimento anche a Nikola Tesla, e nel complesso ci è sembrato tutto più che godibile ai nostri occhi.
– Ambientazione affascinante
– Animazioni realistiche
Storm in a Teacup è stata, negli ultimi anni, una delle più grandi forze italiane in ambito videoludico: esaurito, come dicevamo in apertura, il ciclo dedicato esclusivamente ai racconti molto onirici come Lantern, l’azienda romana è arrivata a ragionare su qualcosa di molto più grande, molto più piantato a terra. La predisposizione per l’estetica è rimasta, con l’aggiunta di tanti elementi che fanno ben sperare per un prodotto adulto, maturo, che speriamo possa regalare conferme in una fase più avanzata di sviluppo.