Il 2011 fu l'anno di The Elder Scrolls V: Skyrim. È una cosa istintiva: chi ha un debole per i giochi di ruolo open world, pensando a un nome proveniente da ormai undici anni fa, pescherebbe subito dal cilindro quello dell'avventura del Dovahkiin. Ne parlammo in un articolo al momento del decimo compleanno del gioco, e il concetto è chiaro: quando un gioco continua a far parlare di sé, anche dieci anni dopo la sua uscita, significa che ha fatto a suo modo la differenza.
Ecco perché è importante che il 2022 sia l'anno di Starfield. Ancora lontano, soprattutto in virtù delle tantissime uscite che ci faranno compagnia prima di arrivare agli sgoccioli dell'anno in cui è calendarizzato, il nuovo progetto di Bethesda Game Studios gode in questo momento di grande discrezione. La community è concentrata sull'imminenza, sulle novità in arrivo dal mondo Pokémon, su Horizon: Forbidden West, soprattutto su Elden Ring. Per pensare a Starfield ci sarà tempo – è questa la sensazione.
Ma abbiamo bisogno che questo sia l'anno di Starfield, molto più di quanto non abbiamo bisogno che sia quello di Leggende Pokémon, di Forbidden West o di Elden Ring.
Il rischio Starfield
Quando venne annunciato Starfield, fu la stessa Bethesda Game Studios a sottolineare la cosa: «è la prima volta che facciamo qualcosa che non sia The Elder Scrolls o Fallout». Basterebbe probabilmente questo a capire il succo del discorso.
Di recente passata sotto l'egida degli Xbox Game Studios, con l'acquisizione in blocco dell'intera ZeniMax Media da parte di Microsoft, la software house guidata da Todd Howard è celebre per i suoi titanici open world in cui perdersi tra i milioni di cose da fare. E basta che alzi un dito, uno solo, per attirare su di sé le attenzioni: se ci sono novità su The Elder Scrolls VI, per capirci, l'intero mondo accorre. Andrebbe in modo simile se venisse annunciato un Fallout 5.
Invece, Bethesda ha fermato le ruote del carro, è scesa e ha detto: facciamo Starfield. Contiamo sul fatto che il nostro nome sia uno di richiamo, non solo quello delle nostre IP, contiamo sul fatto di essere una firma riconoscibile, e ci prendiamo il rischio di fare qualcosa di nuovo.
Si tratta di una scelta coraggiosa: i videogiochi hanno costi di realizzazione sempre più alti e già il prendersi dei rischi creativi è diventato un miraggio, per molti produttori. Molto più sicuro, reiterare e iterare all'interno della stessa proprietà intellettuale, una volta che se ne ha una con un nome forte, da prima pagina. Bethesda Game Studios ne ha due – eppure ha deciso di provare a realizzarne una terza.
E, per farlo, ha messo in pausa tutto il resto: sappiamo che The Elder Scrolls VI diventerà effettivamente realtà solo quando saranno chiusi i lavori su Starfield. E per il futuro di Fallout per ora è difficile sbilanciarsi, dal momento che tutto tace.
Il paracadute per fiondarsi su una nuova IP
Bethesda Softworks, va sottolineato, non ha fatto lanciare Bethesda Game Studios in quest'avventura a occhi bendati. Dal momento che The Elder Scrolls VI e Fallout non avrebbero visto nuovi capitoli per un po', con le forze concentrate sull'incognita Starfield, si è prima lavorato per rendere persistenti le due IP celebri del team.
Firmato da ZeniMax Online, The Elder Scrolls Online ha ormai gambe robuste messe su in tutti questi anni e conta su una community costante, che continua puntualmente a popolare i server della sua Tamriel condivisa. È andata decisamente peggio a Fallout 76, in questo caso proprio a firma Bethesda Game Studios, che dopo un lancio dagli esiti desolanti sta seguendo la via della redenzione di aggiornamento in aggiornamento, cercando di trovare una community costante – e, soprattutto, di trovare il modo di trattenerla nelle sue lande.
A questo si affiancano le scorrerie in ambito mobile, a loro volta concepite per rendere onnipresenti i franchise e multidirezionale la loro monetizzazione: pensate all'esperimento (non riuscitissimo, almeno su Switch) The Elder Scrolls: Blades, ma pensate soprattutto all'amato Fallout Shelter – uno dei più fulgidi esempi di come si possa adattare la lore di un gioco per creare un prodotto incline alle caratteristiche della piattaforma a cui sarà destinato.
Potremmo, dire, in un certo senso, che Bethesda ha «fatto i compiti» prima di buttarsi su una IP tutta nuova. Ma rimane il fatto che ci si sia buttata. Avrebbe potuto ignorare le vocine dell'ispirazione che suggerivano di aggiungere la freccia Starfield al proprio arco, portandoci oggi a parlare magari dei primi dettagli concreti di TES VI, ma non lo ha fatto.
Ha lasciato Tamriel, la zona Contaminata, per portarci in uno Spazio da definire. Una lore a cui dare vita. Umani? Alieni? Personaggi di spicco? Leggende? Leggi, linguaggi, culti religiosi, abitudini, abbigliamenti, cultura? Tematiche, che a quanto pare saranno ben più intimiste che in passato? È tutto da creare. Non c'è niente da ereditare da uno Starfield precedente, non ci sono linee già tracciate: quando crei un nuovo universo fantasy, hai davanti una pagina bianca. E i creativi sanno che si tratta di una cosa tanto affascinante quanto paralizzante.
L'anno di Starfield
È per tutti questi motivi che sarebbe importante se il 2022 si rivelasse essere l'anno di Starfield. Perché quando Bethesda Game Studios si muove fa rumore e, dopo essersi presa il rischio di uscire da quello che ha seminato per decenni – raccogliendone meritatamente i frutti – sarebbe a suo modo uno smacco, se Starfield passasse in sordina. Se fosse solo uno tra i tanti. Questo, perché un The Elder Scrolls o un Fallout, anche forti di una lunga storia alle loro spalle, non sono mai uno tra i tanti.
Se il gioco di Bethesda Game Studios rivelasse di avere una qualità tale da essere considerato come uno dei punti di maggior rilievo di un anno come questo, manderebbe un forte messaggio: anche i grandi possono prendersi dei rischi e uscire dalle loro IP già stabilite, se sanno come si fa. Non possono prenderseli alla cieca, ma si può provare a creare qualcosa di nuovo – anche partendo da un sistema ludico che magari Starfield erediterà dalle strutture di Syrim, come aveva anticipato Todd Howard.
È una strada che alcuni publisher, come ad esempio Ubisoft, hanno già cercato di percorrere (basti citare i vari Immortals, Steep o Riders Republic affiancati a IP costanti come Assassin's Creed o Far Cry), mentre altri si sono mostrati più restii: pensiamo ad Activision che secondo le ultime notizie impegna tutti i suoi team su Call of Duty e i suoi satelliti.
Spesso, i grandi publisher cercano di trovare una IP di successo e continuano a martellarla. Battono il ferro finché è caldo, come si suol dire. Se Starfield fosse un grande gioco, come tutti speriamo, e fosse una delle vette del 2022, Bethesda Game Studios starebbe dicendo che ci sono altri ferri che valga la pena provare a battere.
E in un'industria dove se azzecchi un'idea devi continuare a reinventarla, reinventarla e reinventarla ancora, a volte perfino su base annuale, finché morte non vi separi, sarebbe un messaggio importante per tutti.
Se non conoscete Bethesda Game Studios, potete cominciare il viaggio a partire da Skyrim.