Recensione

Tyranny

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Informazioni sul prodotto

Immagine di Tyranny
Tyranny
  • Sviluppatore: Obsidian Entertainment
  • Produttore: Paradox Interactive
  • Piattaforme: PC
  • Generi: Gioco di Ruolo
  • Data di uscita: 10 novembre 2016

La rinascita dei giochi di ruolo occidentali di stampo classico, cui abbiamo assistito negli ultimi anni, si è rivelata un toccasana per gli appassionati del genere, lasciati per troppi anni a digiuno di prodotti di questa tipologia e costretti a rigiocare più e più volte i titoli storici, spesso vecchi di diversi lustri. Sebbene questo prepotente ritorno in auge abbia fatto la felicità di molti (compresi noi, s’intende), il rovescio della medaglia è stato rappresentato da una serie di reami e storie abbastanza simili tra loro, nei quali il giocatore era posto al comando di un prescelto o di un party di eroi destinati a fare grandi cose, dal difendere i deboli al salvare la baracca. Dopo l’ottimo Pillars of Eternity, che rientrava (anche se solo parzialmente) in questa categoria, i veterani di Obsidian hanno pensato di cambiare le carte in tavola: in Tyranny non c’è spazio per l’eroismo, la grande guerra tra il bene ed il male è già stata combattuta, e i vincitori sono stati i cattivi, uno dei quali sarà l’avatar del giocatore.
Se avete sognato per una vita di vestire i panni dei malvagi, questo è il prodotto che fa per voi.

Vesti e mani sporche di sangue
Ciò che distingue Tyranny dalla grande maggioranza dei suoi congeneri è proprio la possibilità di vestire i panni sporchi di sangue di un Fatebinder, uno degli ingranaggi dell’enorme macchina da guerra di Kyros, eminenza nera che, partendo da nord, sta piegando tutto il mondo libero sotto il suo giogo. I destini delle terre del sud non sono in discussione: come sono caduti i regni immediatamente confinanti, così cadranno anche loro, perché le armate di Kyros, che si reggono su due gambe nodose e ben piantate, bruciano, distruggono e razziano senza soluzione di continuità. Le suddette gambe prendono il nome dei Disfavored, gruppo dalla gerarchia militare, omologabile ad un corpo scelto di guerrieri assai capaci, che vertono su valori quali l’onore e l’obbedienza cieca, e degli Scarlet Chorus, che hanno ricordato molto la fazione romana di Fallout New Vegas (non a caso firmato Obsidian) nella loro ferocia e nell’indiscriminato utilizzo della coscrizione e della schiavitù.
Due anime molto differenti, due eserciti che, pur costretti ad avanzare spalla a spalla nel nome di Kyros, si guardano con sospetto e non aspettano altro che il fallimento dell’altra fazione per additarla di incompetenza agli occhi del sovrano: in questo clima non proprio idilliaco si inserisce l’avatar del personaggio, inizialmente imparziale, alle dirette dipendenze dell’arconte della giustizia. L’idiosincrasia tra le due armate sta prolungando oltremodo un assedio che dura già da diversi mesi, per terminare il quale il magnanimo Kyros ha proclamato un editto, che mieterà migliaia di vittime (indistintamente tra il suo esercito ed i nemici) se non si dovesse arrivare ad una soluzione ad egli congeniale entro un tempo limite.
Starà al giocatore muoversi entro limiti temporali invero non troppo stringenti e risolvere la faccenda, al termine della quale, inevitabilmente, sarà chiamato a schierarsi con una delle due fazioni iniziali, o provare a mantenere una posizione neutrale, che gli farà però guadagnare odio da entrambe le parti.
Dopo una fase introduttiva lunga e in parte skippabile (anche se il consiglio è quello di prendere parte alle decisioni iniziali), Tyranny riesce pian piano a dare il meglio di sé, coinvolgendo il giocatore in una serie di intrighi di palazzo, spionaggi e, soprattutto, decisioni per nulla scontate: dare alle fiamme un villaggio sospettato di aver appoggiato i rivoltosi, ma pieno di anziani e bambini, uccidere una neonata la cui unica colpa è il sangue che le scorre nelle vene, passare a fil di spada nemici (che noi sappiamo essere i “buoni”, peraltro) che implorano pietà una volta sconfitti. Nella migliore delle ipotesi, il giocatore si muove tra una vasta gamma di grigi, portando a termine compiti di cui nessun uomo che voglia chiamarsi tale andrebbe fiero e terminando qualsiasi tipo di resistenza sbarri la strada al suo sovrano: al piacere sadico che deriva dall’agire con ferocia, spargendo morte e distruzione, si contrappongono, inevitabilmente, dilemmi etici raramente visti in altri giochi di ruolo.Apprezzabile il fatto che il team di sviluppo abbia avuto il coraggio di percorrere la strada scelta fino in fondo, senza sconti: in Tyranny non è possibile fare del proprio personaggio un eroe, com’è logico che sia visti i presupposti narrativi, ma solo un comandante delle forze di Kyros un po’ meno bastardo degli altri.
Il risultato è che, almeno in quanto a narrativa e caratterizzazione dei personaggi, quest’ultima fatica di Obsidian si distingue decisamente dal mucchio, proponendo qualcosa di nuovo nell’ondata di rpg occidentali degli ultimi tre o quattro anni.

Solidità al prezzo dell’originalità
Se, sul fronte della narrazione, Tyranny scava un solco tra sé e molti congeneri, non si può dire altrettanto per le meccaniche di gioco, estremamente classiche ed ancorate a stilemi archetipici, che sacrificano qualsivoglia novità in luogo dell’affidabilità e della comodità dell’esperienza di gioco. Ci riferiamo soprattutto al sistema di combattimento, tanto canonico quanto funzionale, e alla gestione dell’inventario, che, se non è un tantino macchinosa, non ricorda quella dei classici senza tempo sviluppati a cavallo del secolo: Obsidian si è fatta forte del (meritato) successo di Pillars of Eternity, riproponendone quasi in toto il gameplay, ma questa scelta, comprensibile nel breve periodo, sulla lunga distanza potrebbe portare ad un rattrappimento del genere, troppo piegato su se stesso, che è poi quello che è successo una quindicina d’anni fa agli illustri predecessori di Tyranny. Quando non si è impegnati in un dialogo, che può essere doppiato o interamente testuale, si passa il grosso del tempo in combattimento, con le consuete meccaniche a turni ma in tempo reale, con una comoda griglia che consente di settare minuziosamente in quali circostanze il gioco debba andare in autopause, così da consentire al giocatore di riflettere sul da farsi pur nel bel mezzo della pugna.
Il personaggio iniziale è user generated, mentre i compagni arruolabili lungo la main quest dispongono di abilità uniche e si differenziano sufficientemente per consentire al giocatore di costruire un party a sua immagine e somiglianza: tra umani e donne bestia, imponenti guerrieri vittime di una maledizione e bellicose amazzoni, passando per maghi e saggi, ce n’è davvero per tutti i gusti, sempre nel solco degli archetipi del genere, s’intende. Abbiamo notato un passo avanti rispetto a Pillars of Eternity per quanto concerne il pathfinding degli alleati, lontano dalla perfezione ma comunque meno incline a problematiche serie, mentre l’intelligenza artificiale che regola gli alleati quando non li si controlla direttamente non ha mostrato variazioni di sorta rispetto al recente passato, il che  rappresenta una buona notizia, visto che all’epoca non si segnalarono falle evidenti.
Nella sua classicità, il combat system funziona ancora benissimo, con una riuscita sinergia di comandi impartiti dall’utente ed azioni gestite dall’IA, di colpi portati in tempo reale, al riempimento di appositi indicatori, e magie da caricare mentre il gioco è in pausa: come vent’anni fa, tutto è al suo posto, ma niente stupisce. Quando Tyranny prova ad inventare in quanto a meccaniche ludiche, lo fa senza convincere troppo, come nel caso del sistema di creazione delle magie: in un processo che si compone di tre passaggi (scelta della base, del tipo di effetto e di eventuali bonus), il giocatore può scegliere come strutturare i propri incantesimi, che potranno essere utilizzati da tutti i personaggi e non solo dai consueti spellcaster.
Ovviamente, guerrieri, arcieri e combattenti da prima linea avranno accesso solo a magie meno devastanti, ma la possibilità di creare personaggi ibridi, capaci di maneggiare incantesimi di medio livello e di farsi valere nel corpo a corpo allo stesso tempo, limita un po’ l’appeal dei castatori puri, che si sono infatti rivelati i personaggi meno utili nell’economia di gioco.

 
Reskin artistico
Il versante tecnico di Tyranny è quello che stupisce meno, non tanto per mancanze congenite quanto, piuttosto, per la sua vicinanza a quello di Pillars of Eternity: il motore utilizzato è lo stesso, Unity, e anche molti degli asset e delle animazioni sono stati riutilizzati, com’era anche lecito attendersi vista la vicinanza (sia concettuale, sia temporale) dei due prodotti.
In un continuo omaggio ai tempi dell’Infinity Engine, la visuale a volo d’uccello non si sofferma mai troppo sui particolari, ma valorizza piuttosto la peculiare direzione artistica, che sembra aver virato decisamente verso colori saturi e caldi, e il set di animazioni, non particolarmente ricco in termini quantitativi ma fluido e credibile.
Ciò che, invece, sorprende, e di cui va dato atto ad un team di sviluppo famoso tanto per la sua dedizione al genere quanto per la quantità di bug presenti nei suoi giochi più ambiziosi, è la pulizia del codice da noi testato, che peraltro godeva di tutte le patch che saranno disponibili al lancio: al di là del mancato caricamento del salvataggio in un paio di circostanze, che ci ha costretto a tornare al desktop e rilanciare nuovamente il gioco (fortunatamente senza corrompere il salvataggio stesso), non abbiamo incontrato bug evidenti, né tantomeno gravosi sull’economia di gioco.
Nelle oltre quaranta ore dedicate a Tyranny abbiamo goduto di un prodotto pulito, che sembra aver beneficiato di una fase di beta testing più massiccia di molti suoi congeneri e di una maggiore cura per i dettagli, sebbene la mancanza della localizzazione italiana dei testi potrebbe limitarne grandemente l’appeal agli occhi di un pubblico più ampio, perché lo zoccolo duro dei fan di questa tipologia di giochi di certo non si farà dissuadere. Chiosa finale sulla longevità: qui Obsidian ha deciso di percorrere una strada diversa rispetto al loro precedente GDR, sfrondando la quantità di quest secondarie disponibili ma puntando sul fattore rigiocabilità, garantito dal buon numero di finali alternativi e dalla possibilità di affrontare la questline principale in molti modi differenti, ognuno dei quali garantisce missioni, dialoghi e situazioni inedite rispetto agli altri.

Narrativa unica nel suo genere…

Le scelte del giocatore influenzano pesantemente il mondo di gioco

Combat system efficiente

Ottima caratterizzazione del mondo di gioco e dei personaggi principali

…ma meccaniche di gioco molto classiche

Interamente in inglese

8.0

Tyranny è un prodotto furbo, molto ben sviluppato, che nasconde la sua evidente parentela con Pillars of Eternity dietro una narrativa matura, sporca, in cui al giocatore non viene lasciata la possibilità di interpretare il consueto eroe senza macchia, in luogo di un comandante crudele, violento, che elargisce morte e minacce a ogni piè sospinto. Come tutti i prodotti targati Obsidian, anche quest’ultimo fa leva sull’eccellenza della sua scrittura e sulla caratterizzazione del mondo di gioco, che il giocatore potrà plasmare con le sue scelte e rendere un posto un pizzico migliore o un inferno in terra.

Se solo il team di sviluppo avesse avuto altrettanto coraggio anche a livello di gameplay, ci saremmo trovati dinanzi ad un capolavoro, invece che “solo” ad un rpg solido e godibile. Se siete a digiuno del genere, ci sono titoli migliori da cui partire, ma se siete veterani, troverete Tyranny attraente come il vostro piatto preferito, che riesce a soddisfarvi sempre anche se, in realtà, non cambia mai (o forse proprio per quello).

Voto Recensione di Tyranny - Recensione


8

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