C’è qualcosa di speciale in The Legend of Zelda: qualunque sia il gioco, ogni singola avventura di questa serie riesce a trasformarsi in qualcosa di unico, di slegato da tutti gli altri capitoli ma al contempo coerente, capace di veicolare emozioni uniche e di lasciare sapori differenti senza mai straniarsi dalla mitologia e dal mondo che tutti abbiamo amato. The Legend of Zelda è il miglior esempio di come un universo possa trasformarsi, crescere e ringiovanire di continuo senza mai tradire le aspettative, nemmeno quelle di chi ha iniziato a muoversi nel mondo di Hyrule quando la grafica era costituita da pochi pixel e la fantasia colmava i vuoti tecnici e narrativi.
Per questa ragione, il motivo per cui The Legend of Zelda: Majora’s Mask abbia ottenuto così tanti successi di pubblico e critica non è scontato; nel mondo di Zelda, infatti, questo capitolo all’apparenza è un vero e proprio outsider, un gioco che ha preso tutte le variabili della serie e le ha utilizzate in maniera quasi scioccante. Gli elementi che rendono Majora’s Mask un gioco diverso dagli altri sono evidenti: è un sequel, è ambientato lontano da Hyrule, ha un tempo limite e Ganondorf questa volta non è il nemico da affrontare.
Soffermandosi sugli elementi unici di questo gioco, però, ci accorgiamo che Majora’s Mask è in realtà un connubio di vari singoli pezzi presenti nei numerosi capitoli della saga: c’è l’elemento reiterante del primissimo episodio che ci riportava all’inizio dell’avventura dopo ogni game over, c’è l’esaltazione del tema del tempo già visto in A Link to the Past e Ocarina of Time, c’è la metafora della crescita – interiore ed esteriore – e, naturalmente, c’è il viaggio. Al contempo, Majora’s Mask ha saputo introdurre ante litteram molti elementi tornati nella saga negli anni successivi, tra cui il cambiamento di ambientazione visto in Wind Waker, il passaggio in un’altra dimensione di Minish Cap e le trasformazioni di Twilight Princess. Majora’s Mask è contemporaneamente il più strano e il più completo degli Zelda, un vero e proprio paradosso videoludico che ci affascina da quindici anni.
Bentornato Skull Guy!
Come sempre avviene nel caso dei remake, non spenderemo troppe parole sui contenuti originali del gioco. Come abbiamo scritto, Majora’s Mask è uno dei migliori capitoli della saga di Zelda, e un episodio che nessun fan della saga dovrebbe farsi sfuggire. Dopo i fasti di Ocarina of Time, tutt’oggi annoverato tra i migliori videogiochi di tutti i tempi, Majora’s riuscì nell’incredibile intento di replicarsi su di un hardware ormai vecchio e riutilizzando un buon numero di asset, il tutto offrendo un’avventura fresca e capace di sorprendere per le sue meccaniche. Link ha a disposizione tre giorni per evitare che una inquietante luna si schianti sul villaggio di Clock Town, nel mondo di Termina, e per mettere fine ai piani di Skull Kid, un ragazzo la cui mente è stata ottenebrata da una misteriosa maschera. Il tema della trasformazione viene esplicitato proprio dalla presenza delle maschere, che consentono a Link di acquisire dei poteri necessari per proseguire nell’avventura. Al contempo, la fidata ocarina ci permette di riavvolgere il tempo o di farlo scorrere più lentamente, permettendoci di entrare in un loop continuo che ci permette di aggiungere tasselli alla nostra avventura, consentendoci nell’ardua impresa di ottenere tutte le armi necessarie per sconfiggere Skull Kid entro lo scadere dei tre giorni. Grazie a un sapiente sistema di trasporto rapido, il backtracking solitamente insito in questo genere di giochi viene quasi annullato, e grazie alla presenza degli oggetti e delle maschere che non si perdono ad ogni riavvolgimento del tempo possiamo raggiungere luoghi prima inaccessibili, in una costante ricerca che ci porta a scoprire cose nuove anche negli ambienti già esplorati. L’idea è tanto semplice quanto geniale, e il costante senso di “fretta” che spesso permea queste esperienze lascia presto spazio a un intenso appagamento, una sensazione che proviamo soltanto dopo avere aggiunto un altro pezzo ad un enorme e difficilissimo puzzle.
Perché Majora’s Mask, non lo nascondiamo, è un gioco difficile. Forse ci siamo arrugginiti, forse ci siamo rammolliti a seguito della lenta ma inesorabile discesa del livello di difficoltà medio dei videogiochi contemporanei, ma questo capitolo di Zelda è un vero e proprio pugno nello stomaco in quanto a difficoltà. Se – come chi scrive – avete avuto la fortuna di non giocare il capitolo originale, resterete spiazzati, quasi spaventati dalla difficoltà di Majora’s Mask e vi occorrerà più tempo per iniziare ad amare questo gioco. Ma lo amerete, su questo non ci sono dubbi.
Dunque, ne deduciamo un primo e importantissimo punto: The Legend of Zelda: Majora’s Mask è invecchiato molto bene. È un gioco che, nonostante i suoi ritmi e la sua struttura poco affine a quella dei giochi contemporanei, riesce ancora oggi a provocare delle forti emozioni nel giocatore, e che ci rende molto difficile da credere che un tale prodotto sia stato partorito nel millennio precedente.
Il valore di un remake
Ocarina of Time 3D fu un remake di qualità eccelsa, nonché un modo favoloso per celebrare uno dei giochi più amati di sempre. Da Majora’s Mask 3D, di conseguenza, ci aspettavamo altrettanto. Le nostre attese non sono state deluse: The Legend of Zelda: Majora’s Mask 3D è stato restaurato alla perfezione, con una ricostruzione integrale di tutti i modelli presenti nel gioco, una migliore texturizzazione degli ambienti, un sistema di illuminazione al passo coi tempi e un audio con effetto stereo ancora più immersivo e avvolgente. Il formato schermico è stato adattato a quello di Nintendo 3DS, con un 16:9 che svecchia ulteriormente la componente visiva del gioco. Da segnalare qualche insolito bug visivo tra cui un certo numero di compenetrazioni poligonali, probabilmente presenti già nella versione originale e mai corretti: quisquilie, di fronte alla perfezione di tutto il resto.
Le migliorie tecniche, tuttavia, non si fermano qui: la presenza del secondo schermo touch screen rende l’esperienza di gioco più fluida e meno basata sull’uso dei menù, senza contare il contributo che apporta all’hud sullo schermo superiore, reso minimale e in grado di esaltare ancora di più la componente grafica del gioco. La telecamera, resa automatica, funziona quasi sempre alla perfezione e solo in rare occasioni ci siamo trovato costretti ad aggiustare la vista manualmente.
Su New Nintendo 3DS le cose diventano ancora più belle: grazie alla presenza del secondo analogico, infatti, possiamo controllare manualmente la telecamera, che ci consente di esplorare in maniera ancora più efficace gli ambienti di gioco, spesso densi di misteri. L’effetto 3D della nuova console, inoltre, ci ha finalmente permesso di godere di alcuni scorci mai visti su Nintendo 3DS. Il “3D super stabile”, come lo chiama Nintendo, è davvero “super stabile” e ci ha permesso per la prima volta di impostare la profondità di campo al massimo e di goderci finalmente la stereoscopia al massimo delle sue potenzialità, persino nelle numerose sequenze in cui facciamo uso dei giroscopi della console per prendere la mira. Anche se sul vecchio 3DS il gioco è perfettamente fruibile, se potete scegliere giocatelo su New Nintendo 3DS.
Oltre alle migliorie tecniche, il remake ha introdotto qualche piccola ma significativa aggiunta al gameplay. Come era avvenuto in Ocarina of Time, infatti, Nintendo ha pensato bene di addolcire la pillola ai giocatori meno pazienti introducendo dei tutorial visionabili nell’area di respawn del gioco. Sono totalmente facoltativi, sia chiaro, ma spiegano passo passo che cosa fare nel caso vi trovaste bloccati. I tutorial sono fatti così bene che l’acquisto di una ipotetica guida strategica del gioco sarebbe del tutto inutile; al contempo, la loro introduzione non è certo puristica e qualche filologo del videogioco potrebbe storcere il naso. Oltre a questo, si aggiungono vari punti di salvataggio – solitamente collocati in prossimità delle statue-gufo – che nell’originale per Nintendo 64 erano monouso e che in questa versione possono essere utilizzate a piacimento. Una modifica significativa, che ben si adatta al nuovo formato portatile del gioco. Infine, da segnalare la presenza di un comodissimo diario, che ci permette di tenere traccia delle numerose quest secondarie e di riprendere in mano il gioco dopo qualche giorno di distacco senza sentirci totalmente spaesati.
– Invecchiato divinamente bene
– Restauro di qualità eccellente
– Modifiche intelligenti per il formato portatile
– Impegnativo
– Qualche screzio grafico è rimasto
– La sua difficoltà potrebbe scoraggiare
Il videogioco contemporaneo, segnato dalla presenza crescente di remake e rimasterizzazioni, ci porta spesso a lamentarci. Ma, quando ci troviamo di fronte a un gioco del calibro di The Legend of Zelda: Majora’s Mask e a un restauro di questa qualità, non possiamo che gioire. Visionario, magico e indimenticabile, Majora’s Mask è forse il capitolo più strano e contemporaneamente più completo della serie, una vera pietra miliare per i fan di questa saga e per chi in generale ama questo mezzo di comunicazione digitale che ci fa divertire, ridere, piangere e sognare. Sono passati quasi quindici anni dall’uscita di questo gioco, e ancora oggi merita di essere gustato, scoperto o riscoperto. Come detto, non siamo soliti osannare i remake, ma in questo caso vi consigliamo di non lasciarvi scappare Majora’s.