Come troppo spesso accade per prodotti giapponesi non di primissima fascia, la serie dei Legend of Heroes di Falcom, JRPG molto amati in patria, al termine di una prolungata (e ingiustificata) assenza dalle scene europee, torna con un secondo episodio nel giro di meno di un anno, dopo l’ottimo prodotto uscito lo scorso gennaio.
Misteri della localizzazione e delle sue tempistiche spesso bizzarre e imprevedibili, ma ciò che conta, esattamente come dodici mesi fa, è che l’utenza europea possa godere del seguito diretto di Trails of Cold Steel, secondo episodio di una trilogia che speriamo di veder conclusa anche nel Vecchio Continente entro il 2017 (o, al massimo, durante i primi mesi del 2018).
Trails of Cold Steel II conserva tutti i pregi (e qualcuno dei difetti) del predecessore, candidandosi al novero dei migliori giochi di ruolo a turni presenti su Playstation Vita (versione da noi recensita, ma non unica visto che è disponibile anche la versione per PS3).
Ingrato compito
Tanto a noi quanto a Rean Schwarzer tocca un compito ingrato: l’eroe del precedente capitolo, capitano della Class VII, si risveglia, all’inizio di questo secondo episodio, in seguito al coma causato dalle gravi ferite rimediate in battaglia, durante il tumultuoso finale di Trails of Cold Steel e noi, dal canto nostro, siamo costretti a camminare sulle uova per non incappare in inevitabili spoiler.
Trails of Cold Steel II, infatti, mette in scena la diretta continuazione degli eventi del prequel, con i medesimi protagonisti e lo stesso scenario di guerra civile che ha infiammato coloro i quali hanno giocato alla prima parte: gli eventi partono circa quattro settimane dopo il finale di Trails of Cold Steel, ed è virtualmente impossibile raccontare anche solo le prime fasi di gioco senza fare pesanti riferimenti alle fasi finali del gioco uscito ad inizio 2016.
Questa natura di sequel diretto limita fortemente l’appeal del prodotto per quanti si fossero persi il precedente episodio, ma, d’altro canto, manderà in brodo di giuggiole i fan del suddetto, affezionati a un cast di personaggi assai ben caratterizzati e molto empatici.
Il massimo che possiamo dire è che la Class VII, alla conclusione del primo capitolo, si era, di fatto, sciolta, e che tutta la prima parte di questo seguito sarà vissuta nei panni di Rean alle prese con la ricerca e il ricongiungimento con i suoi ex compagni d’accademia.
Nel contempo, essendo il gioco ambientato a Erebonia ma non nella scuola per cadetti di Thors, offrirà una maggiore varietà di situazioni rispetto alla rigida divisione delle giornate e dei blocchi temporali del primo episodio, sebbene durante la prima ventina di ore di gioco abbondino location già visitate, volti noti e situazioni in parte riciclate dal recente passato.
Come in tutte le trilogie, l’investimento fatto durante il capitolo introduttivo, che già aveva iniziato a dare i suoi frutti durante la seconda metà della precedente avventura, trova qui pieno compimento: alle prese con gli orrori della guerra, i ragazzi della Class VII sono costretti a crescere, sporcandosi le mani ancora di più di quanto non avessero fatto sotto il vessillo dell’Accademia di Thors.
Allo scorrere dei titoli di coda, non prima di una sessantina scarsa di ore, si avrà assistito a una storia a tratti più personale di quella raccontata nella prima parte, ma che, comunque, si intreccia inesorabilmente con le vicende di una nazione e di un intero continente, sprofondati nei disperati gorghi della guerra.
La qualità dell’intreccio e le tecniche narrative utilizzate sono di primo livello, ma questa non sarà una sorpresa per coloro che conoscono la serie di The Legend of Heroes da anni o anche per quanti abbiano sviscerato solo il prodotto uscito dodici mesi fa.
Ritocchi qua e là
Non c’era bisogno di cambiare la squadra vincente del primo Trails of Cold Steel, e, difatti, dal punto di vista delle meccaniche di gioco questo sequel aggiunge poco, limitandosi a raffinare quanto visto in precedenza e a offrire con maggiore frequenza le battaglie a bordo di enormi robot, una chicca che i fan di Gundam e compagnia bella apprezzeranno non poco.
Dei tre grossi tronconi che costituiscono l’avventura, il primo e il terzo sono maggiormente guidati, l’uno nel tentativo di far acclimatare il giocatore a luoghi e ritmi del precedente capitolo e l’altro in quello di tirare le fila della narrazione e portare al terzo, inevitabile capitolo, quello finale.
In mezzo, per tutta la fase centrale della storyline, c’è una lunga fase in cui al giocatore, a bordo di un’aeronave, è concessa molta più libertà di esplorazione rispetto al prequel, dove l’avanzamento era un po’ ingessato, regolato dalle scadenze dell’accademia di Thors.
Il combat system, che già funzionava splendidamente, viene riproposto in maniera quasi pedissequa, con l’aggiunta, in verità un po’ sbilanciante, di una ulteriore barra, che si carica combattendo, e che, al suo riempimento, consente un attacco overdrive combinato tra Rean e uno dei suoi compagni di viaggio a scelta: oltre ad avere effetti devastanti sui nemici (boss compresi), questo attacco consente ai due membri del party coinvolti di recuperare punti vita, punti magici e punti abilità, oltre a poter operare indisturbati per ben tre turni consecutivi.
Probabilmente per controbilanciare questa aggiunta, abbiamo notato una drastica diminuzione della precisione degli attacchi regolari dei combattenti, adesso molto più inclini a mancare inopinatamente il bersaglio, e anche un leggero innalzamento del numero di punti vita dei nemici regolari, con il risultato che anche gli scontri più comuni possono portare via qualche secondo in più.
Dicevamo delle battaglie a bordo dei mech: sebbene semplificate rispetto ai titoli espressamente dedicati ai mega robot giapponesi, esse costituiscono un ottimo intermezzo tra un combattimento a piedi e il successivo, ampliando la varietà di situazioni in cui il giocatore verrà a trovarsi.
Durante queste ultime, si controllerà solamente Rean a bordo del suo fido robot, ma un secondo personaggio, selezionabile dal numeroso party, potrà aiutare con incantesimi, oggetti e tecniche speciali: ognuno dei combattenti reclutabili porta in dote abilità differenti e, oltre ad ottimizzare queste ultime, il giocatore dovrà fare particolare attenzione ai movimenti del mech avversario, perché esse preannunciano la mossa che questi sta per intraprendere.
Più lento e meno intuitivo del sistema di combattimento base, quello a bordo dei robot rappresenta, al contempo, una delle aggiunte più gradite ma anche una delle aree con maggiori margini di miglioramento in vista del capitolo conclusivo della trilogia.
Come per molti altri seguiti diretti, Trails of Cold Steel II è quindi catalogabile come un mero more of the same: cionondimeno, i cardini del gameplay sono ancora molto ben oliati, vista la vicinanza della release del predecessore.
La stanchezza che i veterani potrebbero accusare nel visitare nuovamente luoghi già conosciuti è ampiamente bilanciata dalla curiosità di vedere come si sono evolute le vicende di personaggi non giocanti, città e nazioni coinvolte negli eventi del titolo dello scorso anno.
…e nel male
Se ricordate la nostra recensione di Trails of Cold Steel, che pure ci era piaciuto non poco, vi torneranno alla memoria le critiche mosse nei confronti di un comparto tecnico arretrato, evidentemente figlio della scorsa generazione di console, peraltro non ottimizzato a dovere su Vita, con qualche rallentamento di troppo e una serie di texture poco definite.
Esattamente come per i cardini del gameplay (e lì la scelta si è dimostrata vincente, come abbiamo visto), anche per l’aspetto tecnico il team di sviluppo si è comportato in maniera molto conservativa, riproponendo modelli, texture e costruzioni poligonali del titolo precedente, senza miglioramenti evidenti se non nel numero di personaggi a schermo, sensibilmente aumentato.
Proprio per questo, probabilmente, il framerate soffre esattamente quanto il prequel (se non di più, nelle scene maggiormente affollate) in Trails of Cold Steel II, con cali che vanno dall’appena percettibile al consistente: nulla che infici la godibilità del titolo (vista la natura a turni dei combattimenti), ma comunque non un bel vedere. Torna il supporto al cross save, che permette di palleggiare il salvataggio tra le due versioni sul mercato, e, in aggiunta, quanti hanno conservato il salvataggio finale del primo episodio saranno premiati con dialoghi aggiuntivi e mutate condizioni di partenza rispetto ai neofiti.
Al di là dei problemi tecnici evidenziati, la direzione artistica si difende ancora benissimo, e tutta la colonna sonora, dal doppiaggio diffuso e convincente alla splendida risma di canzoni che accompagna l’incedere del giocatore lungo l’avventura, contribuisce ad immergere nello sterminato mondo creato dagli sceneggiatori di Falcom.
Se i JRPG usciti durante la scorsa generazione di console avessero posseduto un briciolo del carisma del gruppo di protagonisti di questa trilogia, probabilmente il genere non avrebbe conosciuto il declino di popolarità cui è invece andato incontro.
– Combatttere è un piacere, come nel prequel
– Porta avanti storyline interessanti
– I mech sono un’aggiunta gradita…
– Tremendamente longevo, con tanto di NG+
– Tecnicamente arretrato
– Aver giocato il primo è indispensabile
– …ma anche un elemento largamente migliorabile
The Legend of Heroes Trails of Cold Steel II non è un gioco per tutti, perché richiede di immergersi completamente nel mondo di gioco, necessita una conoscenza pregressa di certi avvenimenti e personaggi e ricicla asset, location e situazioni del capitolo precedente. Al netto di queste considerazioni, che comunque vanno fatte soprattutto per i neofiti, ciò che rimane è un JRPG mastodontico, dotato di un combat system solido e divertente, di un ottimo livello di personalizzazione del party, di una longevità fuori parametro, e, soprattutto, di una script di grande valore, con il solo difetto di essere il secondo capitolo di una trilogia. Se siete alla ricerca di un gioco di ruolo nipponico in cui affondare i denti sulla vostra PlaystationVita, potreste aver trovato il candidato ideale.