A poche settimane dall’uscita di
Dark Souls III, probabilmente uno dei titoli più attesi di tutto il 2016, ecco approdare sullo store digitale di Playstation 4 il più inatteso ed efficace degli spot pubblicitari; un prodotto che balla sul labile confine tra il plagio e l’omaggio, traslando il gameplay, le scelte di design e la bastardaggine intrinseca di tutti i prodotti della serie Souls di From Software:
Salt and Sanctuary.
Forte di un’atmosfera degna del più famoso congenere e di un livello di difficoltà da non sottovalutare, l’ultima fatica degli Ska Studios aprirà ferite profonde, e, come da titolo, vi getterà sopra del sale, preparandovi per il meglio al purgatorio che vi aspetta con il prossimo titolo di Hidetaka Miyazaki: andiamo a vederlo più nel dettaglio.
Sale sulle labbra…
State scortando la vostra principessa al matrimonio combinato con il principe della nazione rivale, che sancirà finalmente la pace dopo anni di sanguinosi conflitti tra i due paesi.
Il viaggio in nave è lungo, noioso e mette a rischio il vostro stomaco, ma è tutto sommato tranquillo, almeno finché non venite svegliati di soprassalto da un membro dell’equipaggio. In un italiano stentato, vi informa che la nave è stata abbordata pochi secondi prima di venir trafitto alla schiena da una lama che emerge dall’ombra.
Vi difendete, correte sul ponte mentre il mare è in tempesta, in cerca della vostra principessa, solo per imbattervi in una mostruosità tentacolare che avrebbe reso orgoglioso Lovecraft, la quale non esita a farvi a fettine con due-colpi-due.
Vi risvegliate, miracolosamente illesi, con il sapore salmastro dell’acqua marina in bocca, la vostra fida arma (che varia a seconda della classe che avrete selezionato precedentemente) e l’urgenza di sapere che fine ha fatto la vostra protetta.
Questo è l’incipit di Salt and Sanctuary, che mette subito in chiaro due cose, anzi tre: che l’atmosfera è uno dei punti vincenti di questa produzione indipendente, che i due sviluppatori (sì, due, James and Michelle Silva, marito e moglie) non si sono fatti scrupolo di pescare a piene mani dal lavoro di Hidetaka Miyazaki e del suo team, e che sono stati costretti dal budget ad utilizzare un traduttore automatico per localizzare i testi in italiano.
Se nessuno di questi dati di fatto vi crea problemi, e, anzi, avete sempre sognato di cimentarvi con una versione bidimensionale degli incubi del talentuoso team giapponese, be’, allora Salt and Sanctuary farà diventare i vostri sogni una realtà al modico prezzo di diciotto euro, al momento solamente se possedete una PS4. La versione PC e quella per Vita (udite, udite!) sono ancora in lavorazione, e dovrebbero uscire entro l’anno.
Sul comparto narrativo dell’ultima fatica degli Ska Studios rimane poco altro da dire: come per l’opera di riferimento, gli indizi sono scarni e malcelati, i personaggi non giocanti di poche parole, le bottiglie contenenti messaggi – sparse per le location – vaghe e criptiche.
Arrivando in fondo all’avventura (impresa da non meno di una trentina di ore), alcune domande troveranno risposta, ma molte altre se ne porranno, lasciando il giocatore con qualche dubbio ed altrettante certezze.
…e sulle ferite
Spesso, nelle recensioni, il redattore prova a citare titoli noti da cui quello in oggetto trae ispirazione, così da aiutare il lettore a inquadrare la tipologia di gioco e capire se possa andare incontro ai suoi gusti: nel caso di Salt and Sanctuary, questo riferimento dovrebbe essere fatto praticamente ad ogni paragrafo, con una spruzzatina di Castlevania qua e là, e quindi ci asterremo da questo continuo “citazionismo”, per non risultare ridondanti e non svilire l’ottimo lavoro che Ska Studios ha comunque eseguito.
Il gioco poggia su cardini noti che funzionano egregiamente: l’avanzamento è regolato dall’alternanza tra fasi di esplorazione, necessarie a sbloccare scorciatoie, passaggi segreti e stanze celate, e dal combattimento, attraverso cui si può accumulare sale da offrire in sacrificio ai santuari, innalzando così il livello del proprio personaggio.
Il sale proviene dai nemici sconfitti, e lasciato sul campo ogni qual volta il giocatore perirà per mano di uno degli abomini che popolano il gioco: il bestiario non raggiunge i livelli di malattia visti nei punti più alti raggiunti da Miyazaki-san, ma è nondimeno popolato da nemici aggressivi e tenaci, capaci di inseguire il giocatore in fuga per diversi secondi.
Dopo la morte, saremo resuscitati da un monaco misericordioso per una piccola somma, e potremo andare a recuperare il sale perduto addosso al nemico che ci ha inflitto il colpo di grazia, a meno di non cadere nuovamente sulla strada: il sistema economico del gioco è decisamente generoso, e acquistare nuovi equipaggiamenti o morire qualche volta di troppo non costituirà un problema per il giocatore.
Qualche piccola differenza rispetto ai Souls, a voler scorgere tra le pieghe del gameplay, c’è, ed è rintracciabile nel sistema di crescita del personaggio e nella maggiore preponderanza delle fasi di platforming, mai impegnative quanto i combattimenti ma comunque portatrici di una loro dignità, soprattutto in aree come “The Watching Woods” (giocatelo in inglese, è un consiglio), dove le piattaforme si dissolvono sotto ai piedi del nostro alter ego.
Il sistema di crescita ricorda molto quello del mai troppo lodato Path of Exile: la scelta della classe non vincola il giocatore ad una build prestabilita, ma posiziona il punto di partenza su un’enorme sferografia ramificata, dove ogni nodo ne sblocca uno o più tra quelli adiacenti.
Questo vuol dire che, sebbene la cosa richiederà un maggiore investimento in termini di sale, un mago può imparare a brandire con efficacia una lancia, tanto quanto un cuoco può padroneggiare gli elementi: la voglia del giocatore di sperimentare e di combattere per farmare sale saranno le uniche limitazioni imposte alla crescita del proprio personaggio.
Il punto più alto della produzione, come da copione, sono gli scontri con i boss: se ne contano oltre venti, almeno la metà dei quali decisamente impegnativi, sebbene mediamente non si raggiungano le vette di difficoltà (e di frustrazione) della serie da cui Salt and Sanctuary prende in prestito così tanti elementi.
La differenza è insita, banalmente, nella mancanza di una dimensione, che rende molto meno probabile che un colpo fenda l’aria invece di andare a segno, e nel minor quantitativo di sale necessario a salire di livello anche nelle fasi più avanzate dell’avventura.
Ciò che non decresce è la soddisfazione: uno dei punti forti dell’ultima fatica Ska Studios è rappresentato da quel guizzo di adrenalina che scorre nelle vene dopo aver abbattuto un colosso grande cinque volte il nostro personaggio, magari con una piccola porzione della barra vitale restante.
Pennellate rosse su sfondo marrone
Per quanto comprensibile se si pensa alle dimensioni del team di sviluppo, l’aspetto che meno entusiasma della produzione, aldilà della cronica mancanza di idee veramente originali, è probabilmente rappresentato dalla cosmesi, che risente di scelte stilistiche poco felici (per quanto peculiare, nemmeno The Dishwasher, uno dei precedenti lavori degli Ska Studios, mi aveva fatto impazzire sotto questo punto di vista). Stessa cosa per i personaggi umani che si somigliano un po’ tutti, tanto quanto molti esponenti del pur vasto bestiario nemico e talune ambientazioni.
A fronte delle dimensioni della mappa e del prezzo richiesto, il fatto che ci sia un riutilizzo di asset abbastanza evidente è più che giustificato; nondimeno, è un elemento che va segnalato per quanti siano particolarmente attenti all’aspetto visivo.
Il contrasto tra i marroni, i neri e i grigi dello scenario, e il rosso vivido del sangue che spargeremo (o del nostro…) fa sempre la sua ottima figura, e il set di animazioni, pur non particolarmente variegato, non si segnala per mancanze di rilievo.
La colonna sonora, dal canto suo, si adagia perfettamente su un letto silenzioso durante le fasi esplorative, scelta opportuna visto che, come nei giochi di Miyazaki, prestare orecchio ai nemici e ai rumori circostanti può spesso marcare la differenza tra una brillante vittoria ed un mesto respawn al santuario più vicino. Non disdegna, al contempo, motivi rock punteggiati da una chitarra in buona forma.
Un altro dei versanti in cui la produzione dei coniugi Silva eccelle è quello della longevità: al più che rispettabile conteggio fatto qualche paragrafo più sopra, infatti, va aggiunta la presenza di un secondo finale e quella, sempre gradita, del New Game Plus.
Davvero niente male per un titolo download only, che costa, al netto di più che probabili futuri sconti, meno di venti euro.
La possibilità di condividere l’esperienza con un amico in coop locale (ma niente online, per il momento) impreziosisce ulteriormente l’offerta ludica del prodotto, sebbene questo avvenga al prezzo del livello di sfida, che cala in compagnia di un amico efficiente, fino a fare di Salt and Sanctuary un gioco semplicemente “normale” in quanto a difficoltà.
– Se avete mai desiderato un Souls in 2D, è il vostro sogno che si realizza
– Livello di sfida sostenuto ma raramente frustrante
– Rapporto qualità/prezzo molto alto
– Elementi da Metroidvania ben implementati
– Ai limiti del plagio
– Localizzazione italiana made in Google Translate
Salt and Sanctuary rappresenta una delle sorprese più liete di questo primo quarto del 2016: nessuno si aspettava tanta profondità, sfida e longevità da un prodotto indipendente, per di più sviluppato da una coppia di coniugi, con il solo aiuto di una manciata di collaboratori esterni.
La quasi totale assenza di idee originali, una traduzione indecorosa (comunque aggirabile settando l’inglese come lingua di sistema delle propria PS4) e uno stile visivo molto peculiare, che non piacerà a tutti, sono le uniche pecche di una produzione consigliatissima a tutti gli amanti della serie dei Souls.
Se avete l’acquolina in bocca in attesa del terzo capitolo della saga From Software, difficilmente troverete un antipasto più gustoso di Salt and Sanctuary, soprattutto ad un prezzo del genere.