Recensione

Project Zero: Maiden of Black Water

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a cura di LoreSka

Informazioni sul prodotto

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Project Zero: Maiden of Black Water
  • Sviluppatore: Koei Tecmo
  • Produttore: Koei Tecmo
  • Distributore: Koch Media
  • Piattaforme: SWITCH , WIUU
  • Generi: Survival Horror
  • Data di uscita: 27 settembre 2014 (Giappone) - 30 ottobre 2015 - 28 ottobre 2021 (PC, PS4, PS5, Xbox, Switch)

Con un anno di ritardo rispetto alla pubblicazione giapponese, Project Zero: Maiden of Black Water è giunto anche in Europa. La serie, particolarmente amata in Giappone, è da sempre nota per il suo elevato senso di tensione indotto dalle stesse meccaniche di gioco, che ci spingono ad esorcizzare dei violenti e terrificanti fantasmi attraverso la Camera Obscura, una macchina fotografica capace di respingere i morti nell’aldilà. L’idea è tanto semplice quanto geniale: per allontanare i fantasmi, invisibili ad occhio nudo, è necessario inquadrarli dall’obiettivo della macchina fotografica e attendere che essi si avvicinino il più possibile, per poi rispedirli al creatore poco prima che essi ci attacchino.
Questo sistema, sommato al fatto che i fantasmi tendono a materializzarsi in maniera piuttosto estemporanea e in luoghi spesso situati alle nostre spalle, ha fatto la fortuna di questo gioco, che ha da sempre saputo indurre il panico nel giocatore e spaventarlo con trucchi forse banali, ma certamente molto efficaci.
Data la particolare metodologia di gioco, dunque, Nintendo Wii U è da subito sembrata la console perfetta per un titolo di questo tipo. La Camera Obscura, infatti, si trasforma nel nostro GamePad e il mondo inquietante visto sullo schermo principale diventa ancora più spaventoso una volta filtrato dal monitor del nostro controller. Così, dopo una bella camomilla e dopo avere acceso tutte le luci di casa, abbiamo iniziato la nostra discesa verso il fantasmagorico inferno del quinto Project Zero.
La foresta dei suicidi
La storia ha luogo alle pendici monte Hikami, località un tempo turistica andata in rovina in seguito a una serie di inquietanti suicidi avvenuti nelle foreste paludose del luogo. Liberamente tratto dai fatti della foresta di Aokigahara, altrimenti nota come Foresta dei Suicidi e posta in prossimità del monte Fuji, questo luogo denso di misteri fa da collante per le tre diverse storie che affrontiamo nel gioco.
Il titolo, infatti, ci pone nei panni di tre personaggi – Yuri, Miu e Ren – ognuno dei quali è per differenti ragioni spinto ad esplorare la misteriosa foresta. Ben presto si scoprono gli antefatti che hanno trasformato questo luogo un tempo ameno in un bosco infestato da spiriti malvagi, a cui dare la pace attraverso la Camera Obscura. 
La narrazione in Project Zero: Maiden of Black Water procede sia attraverso il ricorso frequente a cut scene che mediante la raccolta di un’enorme quantità di scritti disseminati lungo il percorso. Il puzzle, in breve, inizia a prendere forma in maniera estremamente lenta, e solo dopo essersi letti documenti di quattro o cinque pagine, rigorosamente in lingua inglese dato che il titolo giunge in Italia privo della localizzazione nella nostra lingua. Se a questo aspetto aggiungiamo il fatto che alcuni elementi narrativi fanno riferimento a figure del folkrore giapponese e a tradizioni di difficile comprensione per noi occidentali, ci rendiamo istantaneamente conto quanto questo gioco possa risultare complesso per un giocatore non affine ad alcuni argomenti e, in particolare, per chi si approccia per la prima volta alla serie.
Benché vi sia una certa distanza empatica tra il giocatore e i personaggi sullo schermo, in molti momenti si riescono a comprendere le inquietudini dei personaggi, e quando la trama inizia ad inspessirsi si finisce per comprendere perfettamente ciò che sta accadendo. Come avviene nel cinema giapponese, dunque, è necessario prendersi il proprio tempo e abituarsi ai sovraumani silenzi di un gioco di questo tipo per poterlo realmente apprezzare: solo prestando attenzione e cercando meticolosamente di spremere la storia fuori da ogni carteggio si può comprendere la vicenda e, perché no, imparare ad amarla.
Uno scatto per domarli
Come in ogni gioco della serie Project Zero, il giocatore è chiamato a fare largo uso della Camera Obscura per esorcizzare i fantasmi e scoprire i misteri che lo circondano. Una volta attivata la macchina fotografica, il titolo ci mette di fronte a uno degli utilizzi del GamePad meglio realizzati nella storia di Nintendo Wii U. Solo sullo schermo del controller, infatti, è possibile individuare i punti deboli dei fantasmi, e solo mettendone a nudo cinque è possibile sconfiggere i nemici in un solo colpo. Il gioco, dunque, ci spinge costantemente a utilizzare il controller, a ruotarlo, a porlo in verticale per cambiare l’orientamento della foto e mettere a nudo nuovi punti deboli del fantasma. Così facendo, però, abbiamo una visione solo parziale del mondo, e siamo dunque chiamati a buttare un occhio sul televisore per individuare la posizione degli altri nemici, semplicemente più evidente dallo schermo più grande. Abituarsi a questo sistema è tutt’altro che facile, ma l’idea funziona molto bene e in alcuni casi può contribuire a creare un po’ di panico quando i nemici diventano in numero ingente e ci circondano da ogni lato.
La Camera Obscura fa uso di diverse pellicole di vario formato, che consentono scatti più o meno efficaci e su aree più o meno grandi. Vi sono poi lenti che ne modificano la funzione, e accessori che consentono di effettuare contromosse, schivate e di individuare i nemici più deboli. I combattimenti sono piuttosto frequenti, e avvengono spesso in luoghi non strettamente legati alla missione in corso. In altre parole, esplorando il mondo alla ricerca di lettere o di oggetti per la sopravvivenza – peraltro acquistabili prima di ogni missione – si incappa spesso in fantasmi che ci costringono a incontri ravvicinati e che prolungano il nostro tempo di gioco. Molte missioni si concludono con una boss fight con protagonista una figura chiave del gioco, quella vergine delle acque nere citata nel titolo, che ben presto andrà a ricoprire un ruolo fondamentale nella trama.
Dejà-vu
Anche se il monte Hikami sa offrire ambientazioni piuttosto variegate, riconoscibili e a tratti davvero inquietanti, uno dei difetti di Project Zero: Maiden of Black Water si riscontra nella continua ripetizione degli stessi ambienti. Già nelle prime tre missioni ci rendiamo conto di quanto sia necessario percorrere sempre le stesse strade, per poi ritornare indietro alla fine della missione. Il backtracking, in altre parole, è molto presente in questo gioco e confessiamo di esserci rimasti male quando abbiamo scoperto che alcuni antefatti interessanti finivano per condurci sempre negli stessi luoghi.
Se escludiamo le deviazioni dalla trama principale che ci consentono di scoprire alcuni retroscena interessanti – attivati toccando alcuni fantasmi sconfitti – le quindici missioni del gioco possono essere completate in maniera piuttosto lineare, e alcune di esse risultano davvero simili ad altre affrontate in precedenza.
Ancora una volta, ci sembra che per apprezzare realmente Fatal Frame sia necessario armarsi di pazienza e iniziare ad esplorare a fondo il gioco, per poi essere ripagati con una storia che ha effettivamente un suo fascino, a patto che amiate l’ambientazione e un certo lato della cultura giapponese che potrebbe risultare di difficile comprensione da queste parti.
Back to the past
L’ottimo e per certi versi innovativo gameplay realizzato attraverso il gamepad fa da contraltare ad alcuni aspetti decisamente obsoleti, che non hanno mancato di lasciarci leggermente perplessi. Abbiamo già parlato della storia che viene narrata con un abuso di testi da leggere, ma l’aspetto che certamente risulta più evidente si riscontra nella realizzazione tecnica. Il gioco sembra uscito dalla precedente generazione: poco importa l’alta risoluzione della grafica se le texture sono rimaste sgranate e le animazioni legnose, e il filtro polveroso applicato dagli sviluppatori per nascondere le lacune grafiche del gioco – in maniera non molto diversa da quanto visto in The Evil Within – non riescono a salvare la componente visiva del titolo.
Ben diverso è il discorso sull’audio: il doppiaggio originale in giapponese è eccellente, e il sound design è riuscito a ricreare dei momenti davvero efficaci che – se ascoltati in cuffia – sono in grado di fare scendere qualche bel brivido lungo la schiena.

– GamePad sfruttato straordinariamente bene

– Alcuni momenti molto inquietanti

– Ottimo sound design

– Tecnicamente obsoleto

– La storia fa largo ricorso a lunghi testi da leggere

– Niente localizzazione in italiano

7.0

Project Zero: Maiden of Black Water è uno dei giochi che sfrutta in maniera più intelligente il controller dotato di schermo di Nintendo Wii U. La sua nomea di “gioco terrificante”, però, viene spazzata via da una storia interessante ma che procede con estrema lentezza e in maniera dispersiva, attraverso argomenti ed elementi folkloristici di difficile comprensione per un occidentale. Ciononostante, certe sequenze sono davvero inquietanti, e in alcuni momenti siamo rimasti turbati da quello che è apparso sullo schermo. La realizzazione tecnica del gioco e una forte ripetitività di fondo, però, ci spingono a consigliare questo gioco solo a chi già ama e apprezza questa serie e a chi è affascinato dagli horror giapponesi.

Voto Recensione di Project Zero: Maiden of Black Water - Recensione


7

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