Persona Q - Shadow of the labyrinth
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a cura di Gianluca Arena
Senior Editor
Nonostante l’acquisto da parte di Sega, che avrebbe potuto sconvolgere gli equilibri interni e portare a rimpasti poco graditi, Atlus continua a sfornare JRPG di qualità eccelsa, forte di un’esperienza ventennale e di una serie di proprietà intellettuali di grande richiamo, da cui poter attingere a piene mani: la saga di Persona, originariamente nata come spin-off di quella Shin Megami Tensei, ha saputo ritagliarsi un seguito di pubblico incredibile tanto in patria quanto in occidente, arrivando persino ad oscurare la serie madre.In particolare il terzo e quarto episodio hanno saputo fondere meccaniche ruolistiche anche molto complesse con un’estetica e una sensibilità moderne, orientandosi al J-pop senza per questo annacquare i contenuti ruolistici: ecco perché ho accolto di buon grado l’annuncio di Persona Q: Shadow of the Labyrinth, ennesima esclusiva di lusso per Nintendo 3DS.Vediamo se le speranze erano ben riposte.
Fanservice made rightSpesso, negli ultimi anni, la parola “fanservice” ha preso un’accezione negativa, quasi escludesse a priori la qualità del gameplay o il livello di cura per i dettagli di una produzione: questo è avvenuto perché, a onor del vero, moltissime software house (giapponesi e non) hanno abusato dell’amore incondizionato del pubblico per i loro personaggi, immettendo spesso sul mercato titoli il cui reale valore non corrispondeva al pesante nome che portavano.Persona Q sembra essere stato prodotto al solo scopo di riabilitare la parola in questione e restituirle un barlume di dignità: la traccia narrativa e l’intero cast di personaggi sono l’apoteosi del fanservice per gli appassionati degli ultimi due episodi della saga di Persona, eppure questo nulla toglie né alla qualità della scrittura né alla voglia di scoprire come andrà a finire la vicenda narrata, sebbene gli standard raggiunti dai due episodi regolari siano lontani in quanto a complessità e godibilità del plot.D’altronde, non era facile costringere le squadre di Persona 3 e Persona 4 in un solo arco narrativo, facendole interagire tra loro e dando anche un senso compiuto all’intera progressione: gli scrittori di Atlus ci sono riusciti, pur appoggiandosi ad un incipit pretestuoso ed esagerando con la quantità di dialoghi, così da creare il dungeon crawler più story driven che la software house nipponica ha prodotto di recente.Dopo un filmato di apertura davvero di classe, che fa apprezzare il lavoro di riadattamento effettuato sui personaggi (dotati ora di proporzioni chibi), saremo chiamati a scegliere se impersonare il leader del terzo o del quarto episodio, con la possibilità di selezionare comunque, come membro del party, il personaggio uscito sconfitto da questa scelta.Da lì, sarà un rapido e vorticoso insieme di misteri, che, nella migliore delle tradizioni per la serie, hanno inizio nella Velvet Room, con il suo look da film di David Lynch e la sua musica suadente: ci ritroveremo nell’amatissima Yasogami High, addobbata a festa per il festival scolastico, che però, sotto i lustrini e gli stand a tema, nasconde misteri inquietanti, da labirinti popolati di mostri ad una torre dell’orologio spuntata fuori dal nulla, senza dimenticare Zen e Rei, le uniche due aggiunte inedite allo stellare cast di personaggi iniziale.La mancanza di memoria dei due non permette di dissipare subito ogni dubbio, e al nostro team non rimane che esplorare i misteriosi dedali della struttura alla ricerca di una via d’uscita.L’unico problema dell’intero comparto narrativo risiede nei forti collegamenti che lo legano agli episodi della serie regolare di Persona: come spesso accade per i giochi così votati al fanservice, solo gli appassionati sapranno cogliere i riferimenti e trarranno il meglio dall’atmosfera di “reunion” dei personaggi, mentre non è da escludere che tutti coloro che sono a digiuno della serie saltino una buona fetta di dialoghi, così da dedicarsi solo all’assuefacente gameplay.
Dungeon crawlingSotto questo aspetto, pur non inventando nulla, Persona Q dimostra come determinate dinamiche di gioco, se declinate in modo da incontrare i gusti di un’utenza moderna, non passeranno mai di moda: i dungeon crawler con visuale in prima persona sono uno dei generi più longevi dell’intera storia videoludica, eppure, come dimostrato anche dai due più recenti esponenti della serie Etrian Odyssey, sanno ancora catturare il giocatore come pochi e regalargli numerose soddisfazioni (e ore di gioco…).Non a caso ho citato Etrian Odyssey, visto che moltissimi elementi dell’ultima fatica Atlus sono presi di peso da questa saga: scelti cinque personaggi (protagonista incluso), il giocatore sarà chiamato ad avventurarsi per labirinti infidi, con il pennino alla mano e un occhio sullo schermo tattile, così da monitorare la creazione della mappa oltre che i mostri sullo schermo superiore.Certo, si può selezionare di automappare man mano che si esplora, ma ci si perderebbe un lato essenziale dell’esperienza di gioco pensata dagli sviluppatori.Gli incontri sono casuali, sebbene vi sia un indicatore che ci avvisa della loro imminenza, ad eccezione di quelli con i F.O.E. , enormi avversari generalmente da evitare al primo incontro: dotati di pattern di movimento regolari, questi possono essere facilmente aggirati, ma un attimo di disattenzione può rivelarsi fatale, se è vero che, a meno di dedicarsi al grinding più sfrenato, saranno sempre fuori dalla portata del nostro party.Una volta partito il combattimento, ci si trova a barcamenarsi con menu intuitivi e sicuramente ben noti agli appassionati della categoria, con la possibilità di dividere il party su due linee (linea di attacco diretto e backline), sfruttare magie e abilità del Persona in dotazione al personaggio, da quelle di attacco a quelle di cura, e, soprattutto, scovare ed approfittare delle debolezze dei nemici, così da attivare lo status Boosted.Come già visto in numerose incarnazioni della serie, colpire il punto debole dei nemici garantisce vantaggi non indifferenti, come ad esempio la possibilità di agire per primo durante il successivo turno e quella di veder azzerati tutti i costi in SP (il mana di Persona Q) delle magie ed abilità.Durante le prime fasi di gioco, metabolizzare questa meccanica è l’unico modo per sopravvivere quel tanto che basta da prolungare ulteriormente la perlustrazione dei labirinti, prima di ricorrere alle cure di Elizabeth (sì, l’ex impiegata della Velvet Room adesso si è ricilata come infermiera, d’altronde c’è la crisi), mentre durante la seconda metà dell’avventura questa meccanica si rivelerà vitale per velocizzare gli scontri con i nemici comuni, così da non rallentare eccessivamente la fase di esplorazione.Torna la differenziazione tra tipi di attacco diversi, con nemici suscettibili alle armi da impatto ma magari forti contro quelle da taglio, così come l’assistenza da “remoto” di Fuuka, che, oltre a tenere conto per noi delle debolezze elementali di tutti i mostri incontrati, ci avvertirà quando staremo per affrontare una battaglia particolarmente impegnativa: Persona Q è giocabile su più livelli, e sa offrire divertimento anche ai neofiti, grazie a cinque diversi livelli di difficoltà, modificabili in corso d’opera (tranne l’ultimo), che differenziano sostanzialmente il livello di sfida offerto dal titolo.Se i primi due ben si adattano a chi preferisce godersi la storia, già dal terzo le cose iniziano a farsi più stuzzicanti, con punte di sadismo assoluto a cavallo tra quarto e quinto livello: l’equilibrio tra rischio e ricompensa è fragile, esattamente come lo era nei primi due Persona e negli Etrian Odyssey, e spesso si finirà con il morire più per aver fatto il passo più lungo della gamba che per l’effettiva difficoltà del gioco.Da applausi anche il livello di personalizzazione del party, in pieno stile Atlus: alla possibilità di equipaggiare una sub-Persona ottenuta magari tramite l’efficiente processo di fusione, così da rendere multifunzionali i personaggi, si aggiunge quella di portare a Theo (fratello minore di Elizabeth, che lo tratta come il suo cagnolino) gli oggetti rinvenuti sul campo di battaglia, così che questi ci forgi equipaggiamento ed oggetti utili a proseguire nell’avventura.Chiudono il cerchio il menu Stroll, che consente di approfondire i rapporti con i membri del nostro party grazie a scenette e dialoghi dedicati, sulla falsariga dei Social Link visti nella serie madre, e la possibilità, invero più coreografica che altro, di infliggere dei colpi di grazia ai nemici già menomati, optando per un attacco di massa oppure per delle potenti mosse speciali peculiari per ognuno dei combattenti a nostra disposizione.
Delizioso per gli occhiPersonalmente ho sempre ritenuto che su console portatile (sì, anche su PsVita) la direzione artistica fosse di gran lunga più importante delle specifiche tecniche: il character design e la visione artistica globale del titolo Atlus sono state affidate a Shigenori Soejima-san, artista già ampiamente apprezzato per il lavoro su Persona 3 e 4, e i risultati si vedono.Nonostante cambino le proporzioni e i personaggi si facciano super deformed, le movenze, le espressioni e il set di animazioni non sfigurano, anche al netto di dungeon sì colorati ma comunque appena sufficienti a livello meramente tecnico.In linea con i titoli della serie Megami Tensei, non è il comparto tecnico il punto forte di questo spin-off, eppure, al contempo, il tratto artistico riesce a confondere l’occhio, distraendolo dalla pochezza poligonale (imputabile in parte anche all’hardware ospite, comunque): ad aiutare questa “finzione” c’è un impianto sonoro eccezionale, con una colonna sonora che spazia tra il pop e il techno, con qualche sortita in campo jazzistico. Anche qui, Shoji Meguro è una garanzia.Benissimo anche il doppiaggio, con il ritorno in pista di tutti i doppiatori originali del cast primario, che offrono performance ancora una volta più che convincenti, contribuendo a rendere meno pesanti gli scambi di battute lontani dai dungeon, che, come nella migliore tradizione nipponica, a volta eccedono in lunghezza.Difficile, infine, che usciate vincitori dai dedali di Persona Q prima di una cinquantina abbondante di ore, e questo la dice lunga sulla quantità di contenuti infilati in una piccola cartuccia.
– Fanservice fatto come si deve
– Combat system snello ma profondo
– Offerta ludica di grande spessore
– Colonna sonora sempre gradevolissima
– Diretto principalmente ai fan della serie
– A tratti un po’ verboso
8.5
Di prodotto in prodotto, tra spin-off e seguiti diretti, Atlus continua a sfornare giochi di ruolo di grande qualità, espandendo un universo che conta adesso milioni di appassionati in tutto il mondo: Persona Q è un’altra, riuscitissima tessera di questo mosaico, e va ad arricchire la già nutrita libreria di 3DS in fatto di JRPG.
Il bilanciamento della difficoltà è eccellente, il combat system efficace e dotato di buon ritmo e il cast di personaggi manderà in sollucchero i fan della serie: che altro vi serve per dargli una possibilità?
L’unica, generica controindicazione del prodotto risiede nel suo rivolgersi direttamente alla fanbase della serie: non che i neofiti non ci si divertiranno, ma di certo faticheranno a raccapezzarsi all’interno dell’intreccio narrativo.