Era il 2007, nove anni fa, ma sembra passata un’eternità da quando Odin Sphere segnò il debutto europeo di una promettente casa di sviluppo nipponica, Vanillaware, capitanata da un certo George Kamitani, apprezzatissimo game designer, già nell’industria da diversi anni.
La gente non sapeva bene cosa aspettarsi, se un picchiaduro a scorrimento, un action game più frenetico, o addirittura un RPG con un’inedita visuale bidimensionale.
Venne fuori che Odin Sphere era un po’ di tutto e niente del genere allo stesso tempo, e che le consuete etichette del mondo videoludico gli stavano abbastanza strette: da qualunque prospettiva lo si volesse guardare, comunque, il titolo aveva due pregi innegabili, ovvero un design artistico da urlo e un combat system immediato ma non per questo banale.
E tanto bastò per decretarne lo status di cult classic, sebbene le vendite, annacquate dal debutto della nuova generazione di console, non furono entusiasmanti.
Cinque personaggi in cerca d’autore
A livello narrativo, nonostante il lavoro di perfezionamento e svecchiamento di molti altri aspetti del gioco sia notevole, non è cambiato nulla: Odin Sphere Leifhtrasir ripropone gli stessi protagonisti del titolo originale, le loro angustie, le loro epopee.
Il giocatore si alternerà al controllo di ognuno di essi, condividendo il dolore di Gwendolyn per la morte della sorella maggiore, accompagnato dalla responsabilità di raccoglierne il testimone alla guida delle valchirie, l’amore travagliato di Cornelius per una principessa decaduta, il tremendo peso derivante dal regnare in giovane età, che attanaglia Mercedes, la solitudine di Oswald e la preoccupazione per l’imminente Ragnarok, che muove ogni azione della decaduta principessa Velvet.
Le storie sono tutte intrecciate tra loro, con un sfondo comune che richiama la mitologia norrena e scenari drammatici a metà tra il primo Shakespeare e il fantasy classico, fatte le debite proporzioni.
Le motivazioni dei personaggi sono sempre chiare e spesso condivisibili, i dialoghi mai troppo invadenti e spesso il non detto svolge il suo lavoro anche meglio di ciò che è raccontato.
Torna anche il peculiare stile narrativo, con ogni storia racchiusa in un antico libro, letto da una ragazzina in poltrona, in compagnia del suo gatto, e, sebbene il sottotesto narrativo non sia, in assoluto, il protagonista del prodotto, ognuna delle storie narrate in Odin Sphere ha un suo perché, e riesce a contestualizzare bene l’azione su schermo e a giustificare la serie infinita di combattimenti che attende il giocatore.
Al termine delle cinque storie, completabili in un tempo variabile tra le sei e le otto ore l’una, uno scenario conclusivo tirerà le fila della narrazione, chiarendo qualche punto oscuro e sottolineando come il destino dei protagonisti sia interconnesso.
Come per tutti gli altri prodotti a marchio Vanillaware che lo hanno seguito, insomma, Odin Sphere Leifthrasir non sarà ricordato per la trama quanto per il gameplay e la direzione artistica, ma ciò non vuol dire che, anche sotto questo punto di vista, non si sia fatto un buon lavoro.
Una barra in meno
Le meccaniche alla base del titolo non sono state stravolte, ma gli aggiustamenti ci sono e si sentono, donando all’esperienza ludica più ritmo e ingentilendo, seppure non in maniera eccessiva, il livello di sfida.
La novità più succosa è sicuramente rappresentata dall’eliminazione della barra della stamina, curiosamente proprio in un periodo come quello attuale, dove invece, sulla falsariga del successo della serie Souls, la si vede implementata sempre più spesso.
Questo indicatore, nel titolo originale, regolava la quantità di attacchi consecutivi che era possibile portare prima di rimanere scoperti per un paio di secondi, durante i quali il nemico, in genere, non esitava a randellare il nostro personaggio sulle gengive.
Il team di sviluppo, ascoltando anche il feedback dell’affezionata community del gioco, ha ritenuto di rimuovere questa limitazione non tanto nell’ottica di abbassare il livello di difficoltà, consentendo di spammare attacchi come se non ci fosse un domani, quanto in quella di non rallentare il ritmo dell’azione a schermo che, in effetti, beneficia non poco di questa modifica.
Ovviamente, poter concatenare centinaia di attacchi (ma le combo a tre cifre saranno limitate ai giocatori più abili) senza alcun freno rende Leifthrasir un po’ meno ostico dell’Odin Sphere del 2007, ma fidatevi se vi diciamo che, soprattutto ai livelli di difficoltà maggiori, per non parlare del New Game Plus, troverete una sfida comunque più che degna, non solo durante gli scontri con i boss ma anche in determinate stanze.
La struttura spezzettata, infatti, torna immutata, con mappe labirintiche che ricordano molto quelle viste nell’altrettanto godibile Muramasa, suddivise in stanze ricolme di nemici, ripulite le quali il software assegna al giocatore un punteggio, basato sul tempo impiegato, i danni inferti e subiti e il numero massimo di combo inanellate.
Le performance vengono premiate con Fozoni, particelle che possono poi essere gestite dal giocatore come meglio crede per salire di livello: il nostro consiglio è di distribuirli tra piante da far crescere e poi mangiare per ottenere EXP e intrugli magici (bombe, pozioni curative, elisir che garantiscono buff temporanei) che è possibile creare, così da avere un vantaggio tattico nei confronti dei nemici più ostici.
Una breve prova anche della versione Classica, che pure portammo a termine nove anni fa, ci ha confermato come il ritmo di gioco e la frenesia siano aumentati decisamente rispetto al passato, segno che anche le altre modifiche, tra cui piccoli bilanciamenti di alcune categorie di nemici e un gran numero di nuove abilità passive tra cui scegliere, hanno giovato al prodotto, che in nessun frangente tradisce il decennio scarso che si porta sulle spalle.
L’unico problema, allora, rimane una certa ripetitività di fondo, fisiologica per il genere ed ulteriormente ampliata dalla longevità del prodotto: la soluzione a questo problema, probabilmente, sta nella fruizione quotidiana ma mai troppo continuata o nell’intervallare le cinque storie con altri prodotti, ma, aldilà di questi “trucchetti”, il difetto è intrinseco, e non ci sono remaster che tengano.
Uno spettacolo semovente, adesso in HD
Tutte le volte che ci siamo trovati dinanzi ad un prodotto Vanillaware siamo rimasti sbalorditi dall’aspetto visivo, e ovviamente questa versione in alta definizione di un titolo già meraviglioso in SD non poteva costituire un’eccezione: Leifhtrasir è acqua per un assetato di arte bidimensionale, in un mercato che predilige troppo spesso le tre dimensioni e insegue il fotorealismo ad ogni costo.
L’alta definizione dona una luce nuova ad ogni particolare, esalta l’eccellente lavoro svolto da George Kamitani e dai suoi colleghi e rende vivido ogni scenario, brillando tanto su televisore dall’ampia diagonale quanto sull’ottimo schermo OLED del primo modello di Vita (da noi utilizzato per il test sulla versione portatile).
Sono scomparsi i cali di framerate cui il povero hardware di PS2, messo alla frusta, era costretto, il set di animazioni è stato arricchito da nuovi elementi di congiunzione tra una mossa e quella successiva, a tutto benefico della fluidità e della resa finale.
Quest’ultima è coadiuvata anche da uno stile che, pur essendo rimasto uguale a se stesso negli anni, ha fatto della software house nipponica una delle più apprezzate ed immediatamente riconoscibili sul mercato, anche in occidente.
A parte un paio di nuovi arrangiamenti, non abbiamo notato cambiamenti significativi nella colonna sonora, firmata da Sakimoto-san, il che, comunque, non è un male, vista la qualità del lavoro originale.
Infine, sebbene sfiguri un po’ dinanzi alla bontà dell’opera di rinnovamento cui è andato incontro il titolo, è possibile giocare alla modalità Classica, confrontandosi, così, con una versione del software assolutamente identica a quella uscita nove anni or sono, con un livello di difficoltà sensibilmente ritoccato verso l’alto e il ritorno della barra della stamina: un extra gradito per i più nostalgici.
– Gameplay rifinito e meglio bilanciato
– Artisticamente da applausi
– Niente più rallentamenti
– Versione originale inclusa per i nostalgici
– Ripetitivo
– Manca il cross buy
Come abbiamo avuto modo di affermare già diverse volte, in occasione di remaster premiati con voti altisonanti, la passione e la cura per il prodotto originario fanno spesso la differenza in questo tipo di operazioni.
Svecchiato, snellito, abbellito com’è in questa nuova versione, Odin Sphere si merita di essere giocato anche da una nuova generazione di videogiocatori, che magari se lo erano persi nel 2007.
Vanillaware non si è limitata allo stanco compitino, rimettendo mano ad alcune dinamiche di gioco affatto secondarie e ribilanciando l’esperienza per meglio adattarla ai gusti e alla sensibilità odierna: se a questo si aggiunge che il materiale di partenza era già di alta qualità, ecco che Leifthrasir si candida come acquisto semi obbligato per tutti gli amanti dei giochi di ruolo e degli action game bidimensionali.