Bentornati alla retrospettiva su
God of War. Se la nuova avventura di
Kratos (
recensita qui) nel gelido pantheon norreno si è rivelato un videogioco d’altissimo livello, ricevendo il plauso tanto della critica, non dobbiamo dimenticare che non si tratta di un riavvio: la vicenda di
Kratos e di suo figlio
Atreus è infatti ambientata molti anni dopo le sanguinose avventure dello spartano nella Grecia mitologica. Nella
prima parte di questa retrospettiva abbiamo parlato dell’esordio su PlayStation 2, ma la vicenda di
Kratos non si è mai fermata alla nera macchina Sony, calcando anche per i lidi del videogioco “da strada”. Se alle console casalinghe era affidato il compito di portare avanti la storia “ufficiale”, le portatili dovevano darle un sufficiente corollario, anche e soprattutto emotivo. Ed è quello di cui parleremo in questa seconda puntata.
God of War Chains of Olympus: la levetta della discordia
L’esistenza di un “God of War portatile” viene svelata in maniera decisamente originale per il 2007. Se nella versione USA di God of War II il giocatore fosse riuscito a far arrivare il contatore combo al massimo possibile (999.999), vicino a esso sarebbe comparso l’indirizzo web www.islandofrhodes.org. Tale indirizzo portava ad una pagina con uno strano conto alla rovescia. L’esistenza del gioco venne poi ufficialmente ammessa nel marzo 2007 dal direttore di GoW II Cory Barlog, ma fu subito anche chiaro che non se ne sarebbe occupata Santa Monica, bensì Ready at Dawn Studios. Questi sviluppatori con al vertice Ru Weerasuriya erano all’epoca noti per aver realizzato Daxter, lo spin-off sempre per PSP dell’altra celebre esclusiva Sony Jak, e sarebbero poi tornati alla ribalta nel 2015 con il controverso The Order: 1886. Ma prima di tutto questo la loro missione era difficile: incapsulare in una console portatile l’esperienza, la grandiosità e l’esaltazione di un’avventura di Kratos. Il risultato arrivò nel marzo 2008 con God of War: Chains of Olympus.
La controversia più grande è, inevitabilmente, quella sul sistema di controllo. La mancanza di due dorsali in più e (ancora peggio) di una levetta per la schivata obbliga a una scelta scomoda. Gli incantesimi vengono affidati alla combinazione dorsale destro e tasto frontale, mentre la schivata all’utilizzare la levetta tenendo premuti entrambi i dorsali. Una meccanica difficile da apprendere e anche piuttosto controintuitiva, cosa che obbliga i designer a sbilanciare i combattimenti verso un uso massiccio della parata. A parte questo il feeling con il Kratos portatile è praticamente identico a quello su console, cosa che ai tempi stupì critica e pubblico e fece anche un po’ sorvolare su difetti come il già citato sistema di controllo e una durata dell’esperienza non eccezionale. Perché, nonostante i palesi segni di inesperienza, Chains of Olympus ha dalla sua alcuni dei momenti più memorabili della saga.
Narrativamente parlando il gioco è un prequel del primissimo God of War: Kratos cerca redenzione dal suo passato servendo gli dèi dell’Olimpo. Si ritrova quindi in Attica, a respingere l’invasione della Grecia da parte dell’Impero Persiano. Archiviata anche questa vittoria, ottenuta sconfiggendo il terribile Basilisco, accade qualcosa di inaspettato: il dio del sole Elio scompare misteriosamente, facendo precipitare il mondo in una notte eterna e lasciando campo libero a Morfeo. Compito di Kratos sarà dunque quello di indagare. Sopravvissuto al torpore di Morfeo lo spartano apprende che Elio è stato portato nell’Oltretomba. Costretto suo malgrado a questa discesa, durante essa capisce che lo spirito di sua figlia Calliope potrebbe trovarsi proprio in quei luoghi. Raggiunge infine Persefone, moglie di Ade e regina dell’Oltretomba, la quale gli conferma che Calliope si trova nei Campi Elisi. Pur di rivederla Kratos rinuncia agli enormi poteri accumulati nel viaggio e finalmente la riabbraccia. Il conforto però è di breve durata: Persefone si rivela come la mandante del rapimento e liberatrice del titano Atlante, il quale con il potere del sole presto distruggerà tanto il mondo mortale quanto quello divino. L’Oltretomba quindi collasserà e Calliope sarà persa. Per fermare la catastrofe Kratos deve abbandonare i Campi Elisi e rinunciare per sempre a sua figlia. Furioso e disperato per la scelta suicida di fatto impostagli dagli Olimpici, in una sequenza straziante Kratos allontana sua figlia e si riprende i poteri, sconfiggendo Persefone e incatenando Atlante a reggere il mondo mortale.
God of War Betrayal: il cellulare del caos
Il successo di Chains of Olympus è abbastanza prevedibile, e forse proprio per questo addirittura nello stesso periodo del suo annuncio (2007) viene parimenti resa nota l’esistenza di un’ulteriore avventura di Kratos. Questa ha nome God of War: Betrayal, e viene distribuita nel giugno dello stesso anno. La sua caratteristica distintiva è il suo essere stato sviluppato in Java, il linguaggio di programmazione dei telefoni cellulari dell’epoca pre-smartphone, oltre che unico titolo della serie a essere pubblicato su una piattaforma diversa da una PlayStation.
In sé il gioco si colloca dopo qualche tempo l’ascesa all’Olimpo di Kratos. Egli sta aiutando gli spartani (suo popolo prediletto) nelle loro guerre di conquista, ma durante un assedio accade qualcosa di inaspettato: mentre si confronta con Argo, gigante dai cento occhi, arriva un assassino che uccide il mostro e fa ricadere la colpa sul Fantasma di Sparta. Kratos lo insegue a lungo braccato dagli scagnozzi di Ade, finché davanti a lui non si manifesta il messaggero divino Ceryx, che gli impone di cessare la caccia. Al rifiuto di Kratos i due combattono e naturalmente lo spartano ha la meglio. Solo dopo la battaglia Kratos si rende conto dell’errore commesso: ha preso la vita di un altro Olimpico dopo Ares, finendo con lo screditarsi ulteriormente agli occhi di Zeus. Ora non può che riprendere il suo percorso di conquista, ma è consapevole che il re dell’Olimpo prima o poi reagirà.
Sony Online Entertainment appalta lo sviluppo alla Javaground di Philip Cohen, che nonostante le limitatissime risorse trasla gli elementi caratteristici dei God of War in una struttura stavolta a scorrimento bidimensionale. Pur passando sopra a un sistema di controllo inevitabilmente semplificato, Betrayal si lasciava giocare ma senza particolari guizzi, anche considerando la durata veramente risicata e QTE meno spettacolari del solito. Probabilmente un sequel avrebbe aggiustato molti difetti, ma purtroppo Betrayal finisce presto offuscato dai “fratelli” su PSP, rimanendo un esperimento a metà.
God of War Ghost of Sparta: perché non vive di sola forza bruta
Oltre alla loro capacità di “incapsulamento”, i titoli per PSP di God of War avevano (e hanno) un altro elemento che emerge con prepotenza: il recupero della tematica familiare. Inevitabilmente passata in secondo piano nei capitoli per console a causa della crescente dimensione epica, i capitoli della Ready at Dawn cercano di chiarire una volta per tutte ciò che è stata la tragedia umana di Kratos, dando una motivazione alla rabbia spietata che cresceva sulle console casalinghe. L’idea di dare un seguito a Chains of Olympus è inevitabile, e a occuparsene sono sempre i Ready at Dawn. Sviluppato in maniera praticamente parallela a God of War III (tanto che fu adottato il medesimo marketing virale, solo che stavolta il sito si chiamava www.spartansstandtall.com e si recuperava dai trofei) God of War: Ghost of Sparta vede la luce nel novembre 2010, pochi mesi dopo il debutto di Kratos su PlayStation 3 (di cui parleremo nella prossima ed ultima puntata).
Da un punto di vista narrativo Ghost of Sparta attinge a piene mani da quelle che in origine erano le idee scartate per il primissimo GoW, rischiando a volte anche di contraddire gli episodi maggiori. Più o meno nello stesso periodo di Betrayal (non è mai stato del tutto chiarito se prima o dopo) Kratos è di nuovo in viaggio, alla ricerca dell’unico componente della sua famiglia ancora in vita: suo fratello Deimos. Direttosi inizialmente verso Atlantide si scontra con il mostro Scilla, facendo però affondare la città nel processo. L’evento comunque non lo turba più di tanto: ha infatti saputo dalla madre Callisto che suo fratello si trova a Sparta. Si affretta quindi a tornarvi, solo per apprendere che Deimos è intrappolato nel Regno della Morte, dominio di Tanato. Mentre riparte verso Atlantide (dove si trova l’ingresso per il Regno) il Fantasma di Sparta viene più volte inseguito da un misterioso becchino, che pare osservare divertito la sua tragedia umana. Anche grazie a lui Kratos infine ricorda ciò a cui assistette da bambino: ai tempi una profezia aveva detto che un “guerriero marchiato” avrebbe distrutto l’Olimpo. Ares e Atena si erano quindi manifestati a Sparta e, vedendo le voglie di nascita di Deimos, l’avevano strappato al mondo dei mortali. Kratos raggiunge quindi Deimos nel Regno della Morte, trovandolo stremato e rancoroso. Una volta calmato i due si riappacificano, solo per essere interrotti da Tanato. Kratos e Deimos lo combattono per la prima volta insieme, ma nello scontro Deimos è mortalmente ferito. Per la prima volta in preda a una rabbia infinita, Kratos annienta Tanato, salvo poi accartocciarsi nel dolore seppellendo il suo ultimo baluardo di famiglia.
L’umanità che non ti aspetti
Inizialmente commercializzato in Italia con la banale traduzione God of War: Il Fantasma di Sparta, il secondo e ultimo lavoro dei Reday at Dawn su Kratos è un titolo sensibilmente più maturo, con meccaniche collaudate e una trama ben più profonda di quanto non ci si aspetterebbe dalla serie. Rimangono le rigidità dovute a schivata e QTE, ma allo stesso modo si fa di tutto per far apparire organica la progressione. A tale scopo alle sequenze di combattimento e agli enigmi si aggiungono momenti più spiccatamente atmosferici e “narrativi”, in cui Kratos può solo camminare e guardarsi intorno, immergendo il giocatore. L’idea del “flusso ininterrotto” è condivisa dal terzo capitolo su PS3, e verrà da quest’ultimo portata all’estremo.
Ugualmente la trama nasconde un sottotesto ben più profondo della sola impresa definibile come “grezzamente eroica”. Ghost of Sparta è il God of War in cui Kratos maggiormente esplicita il proprio dolore e la sua impotenza interiore, oltre che un tormento autodistruttivo per tutti gli errori commessi in vita. Emblematico e impattante il momento in cui viene aggredito dal fantasma di sé stesso giovane, che gli rinfaccia di essere stato a guardare mentre Deimos veniva portato via. La sceneggiatura inoltre prova a calcare l’insofferenza dello spartano nei confronti degli dèi dell’Olimpo. Egli infatti ignora gli inviti a desistere rivoltigli da Atena e allo stesso modo compatisce il becchino (che si scoprirà essere lo stesso Zeus). Kratos è per la prima volta apertamente disgustato da come gli Olimpici giochino crudelmente con la sua vita e con quella di coloro per cui ha provato affetto, e parimenti è stufo dei loro sotterfugi e delle loro promesse cavillose. I Ready at Dawn tengono volutamente bassa la componente “kolossal” della vicenda, ben consapevoli che per quella c’era già God of War III. Ma questa è un’altra storia…
In questa seconda puntata della retrospettiva abbiamo ripercorso la storia di Kratos sulle console portatili. Una storia per certi versi già raccontata: di nuovo il popolo del videogioco portatile rimane basito da ciò che, sia di grafica che di tecnica, gli sviluppatori sono riusciti a tirare fuori dalla bistrattata PSP. Il medesimo effetto viene ottenuto sull’inaspettato (e un po’ impopolare) Betrayal, che per la prima e unica volta porta la vicenda di Kratos fuori dalle PlayStation. Ciò che però rende maggiormente memorabili, pur con i loro difetti, i God of War per PSP è la loro volontà di raccontare un aspetto differente della tragedia del Fantasma di Sparta, dando una sorta di motivazione all’ira e alla spietatezza che lo domineranno nel corso della sua ascesa all’Olimpo. Una storia che vi racconteremo nella prossima (e ultima) puntata.