I tedeschi di Piranha Bytes, che pure non sono mai saliti agli onori della cronaca in maniera dirompente, sono molto conosciuti tra gli appassionati di giochi di ruolo di matrice occidentale, soprattutto su PC, dove hanno dato vita a serie molto amate quali Gothic e Risen. Nonostante (o forse proprio perché) gli ultimi capitoli di entrambi i franchise abbiano fatto segnare un ribasso nelle quotazioni della software house, visto che non sono piaciuti né alla critica né al pubblico, il team ha lavorato sodo per proporre una nuova IP, basata in un universo narrativo peculiare e del tutto inedito, che miscela con naturalezza gli stilemi fantasy europei con quelli di un futuro distopico: Elex. In uscita su PC, Xbox One e PS4 (versione oggetto della nostra recensione), questo nuovo action RPG si fa latore di ambizioni importanti, ma anche di altrettanto importanti problematiche.
Il destino di Magalan
Elex si apre mettendo il giocatore nei panni del comandante Jax, uno degli ufficiali di alto rango delle Albe, una delle quattro fazioni formatesi sul pianeta di Magalan dopo che una cometa di proporzioni gargantuesche ne ha riscrittola storia: quello che una volta era un pianeta verdeggiante e florido, non dissimile dalla Terra, è oggi un deserto di distruzione, dove gli uomini non sono più a capo della catena alimentare e tutti i progressi tecnologici sono stati azzerati. La missione che era stata affidata a Jax era quella di rintracciare il capo spirituale di una delle fazioni nemiche, quella dei Berserker, e, possibilmente, di porre fine alla sua vita: ma, nello svolgimento delle sue mansioni, la nave volante di Jax viene abbattuta, probabilmente da fuoco amico, e lui, in ossequio alle leggi delle Albe, giustiziato sul posto. O quasi, visto che, nonostante una brutta ferita, il nostro sopravvive all’agguato, pur spogliato di tutti i suoi averi e del suo drone personale: di qui partirà un’incessante missione di vendetta, in cui Jax cercherà i responsabili di quanto accadutogli e, nel processo, conoscerà da vicino le altre fazioni, un tempo viste come semplici nemici da uccidere. La prolungata astinenza dall’Elex, sostanza portata dalla cometa, rende Jax libero di pensare per sé e di provare emozioni, privilegi negati a tutte le altre Albe.
Come si può vedere, le fila della storia sono numerose, e il plot fatica a più riprese a tenerle insieme, sebbene non manchino degli spunti interessanti: come da tradizione per i giochi di ruolo Piranha Bytes, le quattro fazioni sono ben caratterizzate e diversificate tra loro, con il giocatore chiamato ad una scelta già dopo poche ore di gioco. Le Albe sono la fazione più odiata del pianeta: fanno un uso smodato dell’Elex, da cui sono dipendenti, e intendono sottomettere tutte le altre forme di vita, ristabilendo un ordine gerarchico sul pianeta, regolato dalla paura e dalla schiavitù. I Berserker, prima fazione in cui ci si imbatte, sono guerrieri e coltivatori, persone che hanno abbandonato totalmente il vecchio mondo in favore dei valori di una vita frugale, alimentata dai proventi della terra e difesa con l’acciaio delle spade. Le ultime due fazioni si pongono a metà strada tra questi due estremi: i Chierici adorano la tecnologia e ne fanno largo uso, ma non assumono Elex e non intendono sterminare o assoggettare tutti gli altri esseri viventi su Magalan, mentre i Fuorilegge fanno storia a sé, interessati come sono ai soli beni materiali e regolati da null’altro che i loro valori personali. I rapporti tra queste fazioni, il modo in cui si sarà visti dalle altre una volta unitisi ad una di esse e le notevoli differenze in termini di equipaggiamento tra l’una e l’altra rappresentano alcuni dei punti più alti di Elex, sebbene la sceneggiatura in sé non faccia gridare al miracolo e la qualità delle missioni secondarie sia molto altalenante.
Un calderone pieno di problemi
Una premessa è necessaria, passando all’analisi del gameplay: se dovessimo scrivere di tutto ciò che i programmatori hanno inserito in Elex, servirebbero quattro o cinque recensioni, con i problemi che, purtroppo, supererebbero di gran lunga gli spunti positivi. Sarà quindi necessario fare una sintesi dei contenuti e dei sistemi di gioco inseriti, soffermandoci soprattutto su quelli più pesanti all’interno dell’economia di gioco, come il combat system e le fasi di esplorazione. Gli sviluppatori tedeschi, in un tentativo di modernizzare e rendere più godibile il combat system della serie Risen, hanno preso come modello i prodotti di Hidetaka Miyazaki, inserendo un indicatore della stamina e innalzando significativamente il livello di difficoltà, anche se in maniera, come vedremo, decisamente artificiosa.
Alternare attacchi potenti ed attacchi rapidi dovrebbe essere la chiave per trionfare, ma, nei fatti, serve a poco: innanzitutto, una volta partita un’animazione non è possibile interromperla, e questo porta a prendere tantissimi colpi che si sarebbero potuti facilmente evitare con dei controlli più reattivi; secondariamente, l’imprecisione delle hitbox non assicura quasi mai una corrispondenza tra un attacco portato (anche ad un bersaglio lockato) e un impatto con il nemico, nemmeno a distanze brevissime, con il risultato che l’unica strada, quantomeno per il corpo a corpo, è dotarsi di un buono scudo e colpire solamente con l’avversario a terra.
Il ritmo degli scontri ne risente, perché anche un incontro con un cinghiale (qui chiamati marcinghiali) può portare via diversi minuti (e una buona fetta della salute del nostro personaggio) se affrontato con leggerezza: dove, però, i Dark Souls ottengono questo risultato con nemici dal design e dall’IA diabolici, Elex ci arriva depotenziando i colpi di Jax e facendo sì che i nemici, anche quelli di livello inferiore, causino danni ingenti con ogni singolo affondo. Se a questo si aggiunge il fatto che, durante le fasi di esplorazione, è assai più frequente incontrare gruppi di due o più nemici invece di uno singolo, appare da subito evidente come il bilanciamento della difficoltà soffra di seri problemi. La situazione migliora, ovviamente, con il passare delle ore e salendo di livello, ma nessuno di questi problemi viene mai risolto: noi siamo morti anche oltre il trentesimo livello contro nemici inferiori di cinque o sei livelli, purché in superiorità numerica. La possibilità di arruolare compagni non aiuta, perché l’intelligenza artificiale che li gestisce è pessima (non attaccano mai per primi, e spesso non sguainano nemmeno l’arma se il nemico prende di mira solo con l’avatar del giocatore, guardandoci morire senza far nulla), e il massiccio utilizzo di armi da fuoco, che sulla carta risolverebbe il problema, risulta un palliativo.
Rimanendo a distanza si possono infliggere notevoli danni, infatti, ma se non si uccide il nemico prima che questo carichi (cosa che accade raramente e solo con nemici consistentemente più deboli), il problema si ripresenta, immutato.
Non vorremmo, però, che passasse il messaggio che l’ultima fatica dei Piranha Bytes sia latrice di soli problemi (altrimenti la sufficienza non l’avrebbe raggiunta, sia chiaro): le fasi di esplorazione, al netto della costante minaccia di essere uccisi (alleviata solo dalla possibilità di salvare in ogni istante e dalla frequenza degli autosalvataggi) si rivelano molto godibili, soprattutto grazie alla brillante introduzione del jetpack. Tenendo premuto il tasto Quadrato (nella versione PS4 da noi testata) ci si può librare in aria, sfuggendo alle minacce più incombenti e, soprattutto, inerpicandosi praticamente ovunque, alla ricerca di bonus, obiettivi di missione o NPC con cui dialogare: le mappe hanno una dimensione verticale assai gradita e consentono di sbizzarrirsi a quanti, in giochi open world come questo, lasciano presto da parte la strada battuta per dedicarsi alla libera esplorazione. Avrebbe allora aiutato un indicatore del livello, tanto per i nemici quanto per le quest: spesso non si sa in cosa ci si sta imbarcando, accettando missioni solamente per poi imbattersi in nemici chiaramente fuori dalla propria portata, capaci di sbarazzarsi del party con due colpi. Possibile che dei veterani come gli sviluppatori tedeschi non abbiano pensato ad inserire un indicatore di questo tipo, ormai standard per la maggior parte di produzioni similari?
Ci poniamo con rammarico queste domande, perché, nonostante tutti i problemi e i momenti di frustrazione legati al sistema di combattimento, Elex ha saputo regalarci anche sprazzi di divertimento, con alcune quest secondarie di buona qualità, personaggi sorprendentemente sfaccettati e un’ottima varietà di ambientazioni, tra deserti, zone paludose, foreste verdeggianti e inospitali distese ghiacciate. Il problema, allora, è che il prodotto THQ Nordic è come una bancarella del mercato su cui ci sono in vendita decine di pezzi senza valore ed un paio discreti: bisogna scavare tra tante cose che non funzionano, o lo fanno in maniera solo parziale, per trovare qualcosa che valga la pena.
Un passo avanti e due indietro
A completare un quadro non troppo edificante, il comparto tecnico della produzione fluttua tra alti (pochi) e bassi (decisamente di più): per una discreta costruzione poligonale, ci sono continue, e spesso buffe, compenetrazioni tra poligoni, per un monster design sufficientemente originale ci sono rallentamenti importanti, soprattutto in prossimità dei (frequenti) salvataggi automatici e, cosa più grave di tutte, il motore di gioco sembra spesso in affanno, tra caricamenti ritardati di intere porzioni dello scenario, texture in bassa risoluzione e volti inespressivi.
Il budget a disposizione, che pure sembra aumentato rispetto alla trilogia di Risen, non è comparabile a quello di produzioni tripla A con cui Elex sembra voler gareggiare, ne siamo consapevoli, ma riteniamo che ci si possa aspettare di più considerando che sulla stessa console girano prodotti decisamente più attraenti, anche vecchi di due o tre anni.
Il sonoro ci ha colpito in positivo, con una buona quantità di motivi differenti, a tema con le differenti fazioni ed ambientazioni di Magalan, e un doppiaggio che, pur senza ascendere a vette hollydoowiane, riesce a fare degnamente il suo lavoro, al di là della mancata sincronia labiale dei parlanti.
Un altro punto forte del prodotto Piranha Bytes è sicuramente rappresentato dalla quantità di contenuti e dalla rigiocabilità del prodotto: oltre quaranta ore sono necessarie per vedere i titoli di coda una prima volta, lasciandosi dietro tantissime quest secondarie, ma considerando che cambiando fazione si ha accesso a missioni ed equipaggiamento unici, ci sono sufficienti motivi per pensare a più run successive, a patto di scendere a compromessi con le numerose problematiche del titolo.
Contenutisticamente ciclopico
Una serie di buone idee, come il jetpack…
Discreta caratterizzazione delle fazioni
Combat system pretenzioso e legnoso
…ma anche tanti scivoloni inattesi
Numerosi problemi tecnici
Curva di difficoltà completamente sballata
Con Elex Piranha Bytes ha fatto il passo più lungo della gamba, tradita dall’ambizione e dalla consapevolezza dei propri mezzi: siamo sicuri che dietro questo titolo ci sia stato un lavoro mastodontico, sfociato peraltro in alcune intuizioni degne di nota (quella del jetpack su tutte), ma ciò non è bastato a farne un gioco di ruolo imperdibile.
Alla ricchezza di contenuti e alla ricca caratterizzazione delle quattro fazioni, infatti, fanno da contraltare un combat system che tenta di scimmiottare, senza troppo successo, quello visto nei Dark Souls, numerosi problemi tecnici e, soprattutto, un bilanciamento della difficoltà complessiva completamente sballato, che rende frustrante soprattutto la prima parte dell’avventura.
Se siete fan dello sviluppatore tedesco potreste trovare pane per i vostri denti qui, ma per tutti gli altri il consiglio è di attendere qualche patch correttiva ed un eventuale taglio di prezzo.