Nel bene e nel male, Dynasty Warriors non ha bisogno di lunghe presentazioni. Sempre in bilico tra controversia e rivalutazione, la serie della Koei imperversa sulle console da oltre vent’anni. Racconta sempre la stessa storia, quel Romanzo dei Tre Regni così denso di cose da dire che alla fine parrebbe non averne. Parimenti, il gameplay e il design della serie sono sempre stati accusati di cocciuto immobilismo. Un continuo e sterile premere sempre i soliti due tasti, una semplificazione cui non si voleva rinunciare in quanto pareva il solo modo per rimanere accessibili. Con Dynasty Warriors 8, nel 2013, la serie aveva però toccato veramente il fondo. Un videogioco che, per quanto bello per gli appassionati, mostrava tutti i limiti (ed eccessi) di un sistema già stravolto due anni prima. Ecco quindi che, cinque anni dopo quel momento, Koei e Omega Force si sono svegliati. Dynasty Warriors 9 è il frutto di questa consapevolezza: un risultato che, nonostante qualche inesperienza di troppo, è veramente un nuovo inizio per i Tre Regni più famosi dei videogiochi.
Dove eravamo rimasti?
Le premesse della trama sono arcinote. Ci troviamo nella Cina del II secolo dopo Cristo: l’autorità della famiglia imperiale Han è ormai solo un ricordo, e numerosi signori della guerra sono in competizione per la conquista del potere assoluto. Un’epoca di guerra e caos, dove a contare è il carisma individuale e la capacità di compiere grandi imprese. Se molte altre volte nella serie questo è stato il punto di partenza per storie che avrebbero poi visto trionfare la fazione scelta dal giocatore, DW9 continua a scavare la strada “storica” iniziata dal settimo capitolo della saga. Il gioco segue infatti il Romanzo dei Tre Regni con inusitata fedeltà, suddividendo il secolo di narrazione in tredici capitoli. Ciascuno verrà introdotto da un intermezzo narrato che spiega la situazione collettiva, passando poi all’azione a seconda della fazione di appartenenza. Piuttosto che le vicende individuali (comunque presenti), c’è chiaramente la volontà di inscenare un racconto corale. Emblematico in tal senso il fatto che finendo un capitolo con una fazione lo si sbloccherà anche per le altre. Ovviamente se nessun personaggio di un regno è presente in un capitolo allora questo non sarà selezionabile. Completata la storia di almeno un personaggio si sbloccherà la Modalità Libera, dove interpretare qualunque personaggio nelle campagne sbloccate; in tal caso non sarà però possibile visionarne il finale.
Questa impostazione permette di avere molta più organizzazione mentale, necessaria per affrontare una narrazione così complessa. Sotto questo punto di vista Omega Force ha fatto veramente un ottimo lavoro, facendo sparire qualunque tono “esagerato” o da anime giapponese (almeno per i personaggi principali) con posata serietà. Superato l’inevitabile scoglio dei nomi cinesi la storia dei Tre Regni appare incredibilmente comprensibile, anche grazie a una sottotitolatura in italiano di buona qualità. È però un peccato che molti segmenti e dialoghi siano piazzati dentro scene statiche, in cui le animazioni esibiscono una rigidità fuori tempo massimo. Le stesse espressioni facciali sono un po’ forzate, e paradossalmente si sente la mancanza dei filmati in CG, ormai desueti ma fascinosi. Rimangono le cutscene realizzate col motore di gioco; numericamente sono minori ma presentano sempre la buona regia che le caratterizza fin da DW7.
La Cina tutta per noi
Dynasty Warriors 9 diventerà per la Koei il simbolo del cambiamento. Abbandonata completamente la struttura a livelli (battaglie) stagni per ciascuna campagna, si cala piuttosto il giocatore in un mondo aperto e liberamente esplorabile. A vostra disposizione ci sarà nientemeno che una mappa (veramente immensa) della Cina del II secolo d. C., in cui saranno distribuite le battaglie e gli incarichi primari e secondari. La vera novità per il brand sta proprio nell’impostazione: avvicinandoci a un luogo conteso troveremo gli eserciti in lotta, e starà a noi decidere l’approccio e di correre il rischio qualora fossimo di livello inferiore rispetto a quello consigliato. Per le battaglie più imponenti ci saranno inoltre piccole scaramucce facoltative, il cui completamento porterà gli alleati in vantaggio e abbasserà il livello consigliato per lo scontro principale.
Oltre alle battaglie il gioco propone una serie di incarichi più o meno velleitari, che vanno dalle classiche caccia e pesca alla raccolta dei materiali. Questi ultimi potranno poi essere impiegati presso appositi mercanti e fabbri per creare oggetti consumabili, accessori e armi. La crescita del personaggio avverrà completando le varie battaglie e le richieste dei cittadini comuni. A ogni livello il nostro condottiero acquisirà i Punti Miglioramento, che potremo poi spendere per aumentarne le caratteristiche. La mappa propone inoltre un ciclo giorno-notte e gli effetti atmosferici, che influiscono direttamente sugli scontri e sulla difficoltà di alcune missioni. Per ampliare il territorio noto vi saranno anche torri di guardia, da scalare con un apposito rampino.
Lo stacco netto con il passato dei mosou è quindi evidente, e parimenti funziona senza troppi intoppi. Purtroppo, l’utilità di tutte queste caratteristiche e possibilità varia fortemente a seconda del livello di difficoltà scelto. La Koei non è riuscita a staccarsi del tutto dalla vecchia abitudine che un gioco per essere accessibile deve essere per forza anche facile. Il risultato è che dal livello Normale in giù molti negozi e merci finiscono con l’essere solo collezionismo virtuale, visto che nel gameplay finisce con l’imporsi la “forza bruta”. C’è poi una certa ingenuità quando il gameplay si deve reinventare per fare cose diverse dall’action. Alcune cose (come la caccia) sono venute abbastanza bene, mentre le sezioni pseudo-stealth hanno poco mordente.
Nel flusso mi si sporca tutta l’eleganza
Se difficoltà a parte la struttura di gioco si dimostra ben piantata, dobbiamo ora parlare dell’argomento più difficile per il genere: il
gameplay. È noto che questo tipo di videogiochi è sempre stato piuttosto debole sotto questo punto di vista, dando al giocatore la facoltà di vincere le battaglie semplicemente alternando due tasti e l’attacco speciale (mosou, unico per ogni ufficiale).
Dynasty Warriors 9 rivede completamente tutto questo, per puntare sulla fluidità. Invece che veloce e potente, gli attacchi sono stavolta suddivisi in
Variabile e
Reattivo. Il primo colpisce a seconda delle condizioni del nemico, il secondo in base alla situazione. Combinando i tasti frontali con il dorsale destro potremo invece lanciarlo, atterrarlo o stordirlo, in modo da iniziare una combo oppure assestargli il colpo di grazia. Ancora più interessante l’introduzione di un sistema di aggancio (premendo la levetta destra) e una barra del vigore, che diminuisce con i salti e le schivate. Per quanto piuttosto guidato, questo sistema di combo garantisce una migliore varietà, oltre a essere assai più divertente dei predecessori. Purtroppo ancora nessun approccio strategico alle battaglie, ancora ripiegate sull’azione individuale. Rimane la possibilità di far avanzare la linea del fronte conquistando le basi sparse sul territorio, ma comunque dispiace che sia rimasta inascoltata la lezione di
Fire Emblem Warriors. Se
Koei ha quindi fatto di tutto per dare profondità tecnica a un combattimento altrimenti piuttosto basilare, la cosa è riuscita solo a metà. I nemici normali rimangono purtroppo ancora ebeti, pronti semplicemente a farsi spazzare via in massa. Gli ufficiali possono dare qualche problema in più, anche se in questo caso bisogna fare i conti con il livello di difficoltà. A poco serve il variare le missioni con qualche compito diverso, come raccogliere erbe, impostare accampamenti o raccogliere informazioni parlando con la gente.
Senza più la possibilità di cambiare arma, ogni ufficiale è stato maggiormente studiato nei moveset. Il cast è come al solito sterminato: l’ammontare dei personaggi giocabili è 90, e ciascuno riesce ad avere uno stile riconoscibile. Impossibile non trovare qualcuno con cui immedesimarsi e affezionarsi mentre lo si migliora durante la lunghissima campagna. Se il l’ampliamento dei personaggi è tradizione nota, è da notare come per questo episodio si sia deciso di puntare su un’estetica più essenziale, dritta ma elegante. I particolari sono meno traboccanti e le scene a schermo meno sature. Il gioco non manca di piccole attenzioni, come una vegetazione piacevole e i vestiti dei personaggi che si coprono di polvere o si bagnano di pioggia.
La Cina spartana
Lo spostamento per l’estesa mappa dei Tre Regni proposta dal gioco è possibile sia a piedi che con la cavalcatura chiamabile con il grilletto sinistro. Oltre a poterne comprare e allevare altre presso appositi mercanti, vi è anche la funzione di scatto e trotto automatico. I più impazienti potranno invece ricorrere al viaggio rapido.
Chiariamo subito una cosa: il mondo di gioco non ha il carisma o il protagonismo di altri visti su questa gen. Anzi è molto più essenziale, ai limiti dello spartano. La vegetazione e gli effetti di luce e polvere restituiscono un buon colpo d’occhio, ma gli insediamenti sono più anonimi anche per via della limitata varietà di soldati e cittadini comuni. In ogni caso, è evidente come Koei sia alla prima esperienza riguardo il mondo aperto. Questo ha comportato dei sacrifici tecnologici, ma anche così il motore purtroppo mostra non pochi problemi per quanto riguarda lo streaming dei dati. Se il pop-in di scenario e nemici è oltremodo diminuito e ci sono pochi cali di frame-rate, già su una PS4 standard sono palesi i ritardi nel caricamento delle texture e certe volte anche dei poligoni. Una lacuna che emerge con insistenza proprio considerando l’affatto esagerato dettaglio generale. Capiamo l’inesperienza del passaggio da una struttura “stagna” a una completamente aperta, ma così com’è il codice esibisce fin troppa indecisione. La speranza in tal senso è che Koei corregga tempestivamente il tutto con qualche patch dopo il lancio. Nulla da dire per quanto concerne la parte sonora: le musiche passano in tempo reale dall’orchestrale a un riuscito j-metal dai bassi potenti. Sulla traduzione in inglese è da segnalare come ci sia qualche problema di sincrono con la voce narrante; a parte questo la recitazione vocale è molto posata ma efficace. La nuova compagnia di localizzazione ha deciso di non richiamare il cast inglese storico, scelta che probabilmente non piacerà ai veterani.
– Il nuovo inizio dei mosou
– Mondo aperto, storia accurata
– Estetica elegante e gameplay rivisto
– IA e difficoltà ancora basse
– Ancora nessun approccio strategico
– Tecnicamente zoppicante
Dynasty Warriors 9 è lontano dalla perfezione. È poco raffinato tecnicamente, il gameplay ha bisogno di tempo per ingranare e ostenta ingenuità (se non pigrizia) quando deve fare cose differenti dall’action. Eppure è un videogioco esaltante, vasto e pieno di cose da fare. Che per quanto meno dettagliato e denso di altri, è schietto e appassionato. Abbandonata qualunque pretesa da anime giapponese, tenta di essere il più serio possibile seguendo con inedita fedeltà la storia originale. Molti lo vedranno come un’occasione mancata, ma probabilmente i più scontenti saranno proprio i puristi e gli estimatori della vecchia ora, spaesati dalla nuova progressione. Per tutti gli altri, stavolta il consiglio è di dargli seriamente un’occhiata, fuori da ogni pregiudizio. Perché il pargolo di Omega Force è grezzo e pieno di difetti, ma è davvero il primo, vero passo dei mosou verso qualcosa di nuovo.