A volte quello che in gioco può apparire come semplice “contorno”, in realtà non lo è affatto. Non si parla solo dei dettagli, ma anche di tutti quegli elementi essenziali per l’interazione stessa. Tutto ciò che avvolge il giocatore può assumere un valore quando diventa linguaggio, quando contribuisce a trasformare un mondo fittizio in un ambiente reale e palpabile.
“Quando ho iniziato a progettare Dunwall, volevo che essa non assomigliasse a nessuna altra città vista in un videogame. Volevo che fosse unica.
Cosi, piuttosto che essere influenzato da altri prodotti dell’industria dell’intrattenimento, ho preferito osservare i dipinti, le fotografie e le sculture”
Prima di mettere mano al progetto, Viktor Antonov aveva già le idee chiare su quello che avrebbe dovuto essere il mondo di Dishonored e su come l’ambiente avrebbe potuto comunicare al giocatore in modo efficace ed appagante, anche attraverso i più piccoli elementi di design.
L’ obiettivo principale era quello di riuscire a creare una nuova e sorprendente città immaginaria, ma di costruirla nella maniera più realistica possibile: i poster, gli oggetti, le macchine, i costumi e tutti quegli elementi decorativi e di riempimento dovevano essere non solo belli da guardare, ma anche capaci di raccontare, nella loro essenzialità, una storia.
Il giocatore avrebbe dovuto ritrovarsi all’interno di una città divisa, avvolta dall’odore del sangue e della malattia, e martoriata dal clima ferocemente oppressivo imposto dal regnante. Bisognava raffigurare la sofferenza del popolo e non renderla percepibile soltanto attraverso le parole dei personaggi.
Ma da dove iniziare? Un progetto cosi esteso e complesso aveva bisogno di poggiarsi su basi solide per poter prendere forma e mostrarsi in ogni sua parte, anche quella più contorta.
La Londra vittoriana dei dipinti di John Atkinson Grimshaw è stata una delle prime fonti d’ispirazione per le atmosfere, lo studio della luce e la riproduzione delle architetture, insieme a quella del periodo della Grande Peste (1666) per quanto riguarda, invece, gli aspetti prettamente culturali e storici.
L’anima cupa, inquieta ed enigmatica di Dunwall viene colta magistralmente dallo sguardo disincantato del noto paesaggista inglese. Nei suoi dipinti gli ambienti vengono rappresentati in uno stato di assorta suggestione, illuminati dai pallidi raggi lunari e dalla flebile luce dei lampioni che tappezzano le strade, accanto a delle figure umane che sembrano quasi voler scomparire per far spazio al meraviglioso spettacolo di una natura urbana nostalgica e malinconica.
Il pittore racconta gli aspetti sporchi e deprimenti di una città industriale, e lo fa con un lirismo ed una forza evocativa, grazie alla quale diventano elementi figurativi persino la nebbia e l’umidità.
Lo sviluppo in verticale delle architetture e l’attenzione riservata all’aspetto illuministico riscontrabili nelle opere di Grimshaw donano a Dunwall un’alone di mistero e seduzione, e allo stesso tempo contribuiscono a far percepire al giocatore una forte sensazione di oppressione e smarrimento.
Nella lunga lista degli artisti che hanno contribuito a modellare la morfologia della mappa e l’architettura di Dunwall, figura, però, anche il celebre pittore Giovanni Antonio Canal, o meglio conosciuto come Canaletto, noto esponente del vedutismo veneziano. Egli è sicuramente il nome più importante da citare ai fini del nostro discorso per tutta una serie di motivi che sono alla base della sua poetica artistica.
Proviamo per un attimo ad osservare il dipinto Il bacino di San Marco (1738). Siamo certamente lontani dalle atmosfere romantiche e piovose di Grimshaw. La luce mattutina e diffusa dona all’ambiente un’atmosfera serena e vivace, ed il punto di vista leggermente rialzato consente allo sguardo dello spettatore di spaziare per cogliere la bellezza delle imbarcazioni in primo piano, la ricchezza architettonica e l’estensione del paesaggio urbano che si dirama sullo sfondo.
Canaletto era un’amante dei dettagli. Era solito andarsene in giro per gli stretti vicoli di Venezia per osservare il cielo, le case, i tetti e i riflessi della luce sull’acqua, portando con sé sempre un taccuino e uno strano strumento: la camera ottica ( antenato della macchina fotografica che gli permetteva di catturare immagini con estrema precisione).
Nonostante la cura minuziosa del dettaglio, Canaletto non descrisse mai fedelmente ciò che vedeva, ma ricompose sempre elementi reali in un insieme inventato.
Celebri sono i suoi capricci, vedute di fantasia dove unisce in una stessa composizione edifici di città diverse, oppure accosta a palazzi realmente esistenti ponti mai realizzati.
Nel corso della sua carriera pittorica, egli non fece altro che restituire quella che era una sua personale visione della città, tant’è che per ottenere gli effetti desiderati non esitava a deformare le prospettive e le proporzioni architettoniche e a moltiplicare i punti di vista.
Egli riusci a dare libero spazio alla fantasia e a confondere la realtà con la finzione. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che affascinò il famoso visual design director, a tal punto da esserne influenzato, non solo artisticamente. Se è pur vero che c’è molto della Venezia di Canaletto in Dunwall, nei suoi vicoli, nei suoi porti e nei suoi panorami, è altrettanto sorprendente notare come la grande cura per i dettagli, l’estrema attenzione riservata al comparto illuministico e la capacità di inventare e sperimentare del noto vedutista rivivano con grande forza nell’approccio e nella visione artistica di Viktor Antonov.
La città di Dunwall, difatti, nasce dallo studio minuzioso dei particolari (i tetti, i camini e le decorazioni dei palazzi) di una città realmente esistente, che mescolandosi ad elementi moderni e di fantasia, arriva ad assumere la forma di un ambiente totalmente inedito, in cui convivono diverse epoche ed anime apparentemente inconciliabili.
“La città è tutta basata su sospensioni, vapore e semplice carburante. Volevamo metterci dentro un po’ di “rock and roll” e modernità. Quindi abbiamo iniziato a includere sempre più elementi fantascientifici, operando dei piccoli salti temporali per inserire tecnologie della metà del diciannovesimo secolo. Questo era il primo strato, le fondamenta, sul quale poi abbiamo aggiunto ciò che era accaduto alla città 30 anni dopo, 70 anni dopo e cosi via…
Volevo che il mondo di Dishonored rimanesse nella memoria del giocatore, come se avesse visitato realmente quel luogo. Volevo che lo toccasse nel profondo.”
Tra il grottesco ed il fantastico
L’architettura, la luce e la composizione sono i tre elementi cardine attorno ai quali si sviluppa tutta la bellezza e la funzionalità di Dunwall, ma ciò che la caratterizza e la rende davvero “viva” sono i suoi personaggi. Quando Sébastien Mitton, il direttore artistico del progetto, e Viktor Antonov visitarono Londra per assorbirne completamente le atmosfere, decisero di studiare anche la personalità e la fisionomia del suo popolo. L’obiettivo era quello di creare dei personaggi che fossero assolutamente verosimili, ognuno con un proprio passato ed una propria storia.
Per fare ciò, oltre che prendere spunto dai propri appunti, si ispirarono a molti dei volti e dei costumi raffigurati nei disegni di J.C. Leyendecker, uno dei più importanti illustratori americani del primo Novecento. Egli realizzò oltre 322 copertine per la rivista The Saturday Evening Post e raffigurò migliaia di modelli con grande attenzione alla silhouette dei personaggi, dimostrando in che modo peso e spessore di un tessuto potessero dare forme differenti alle pieghe degli abiti. E cosi si scelse di definire la moda di Dunwall, progettandola visivamente in modo diverso sulla base della morfologia e dell’anatomia dei personaggi.
Definire i costumi, i volti e le movenze dei personaggi fu essenziale per riuscire a fornire profondità e credibilità al mondo di gioco. La moda ed il linguaggio del corpo individuano le identità e le diverse personalità. Ci sono poveri, ricchi, stranieri, guardie in ogni angolo di Dunwall: persone il cui costume è adatto al luogo, al loro impiego e al loro stile di vita.
“Abbiamo studiato l’anatomia di classe operaia e nobiltà. Anche quando due individui indossano abiti aristocratici, è possibile capire chi dei due è nato nobile e chi lo è diventato. Riteniamo che il corpo possa raccontare molto. Il personaggio viene prima di tutto, e questo ci permette di sviluppare un discorso estetico interessante e senza tempo.”