Bentornati a
Cappuccino e Videogioco, la rubrica settimanale che vi invita a scoprire (e riscoprire) i videogiochi per iniziare al meglio queste uggiose giornate autunnali. Dopo mondi fantasy come
Boletaria e la
Terra di Mezzo a mattoncini, la puntata di oggi si trasferisce nel nostro mondo, nella nostra epoca e nella nostra storia. Parlarne necessita di un’introduzione adeguata.
Nel 2009 l’industria videoludica era in un periodo di transizione. PlayStation 3 e Xbox 360 c’erano già da due anni, ma rimanevano ancora misteriose. La loro potenza di calcolo assolutamente fuori parametro le faceva apparire come bestie che pochi riuscivano a domare. Uno ad avercela fatta era Hideo Kojima: aveva sviluppato su PS3
Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots, grandioso e commovente epilogo della saga di spionaggio videoludico più famosa del mondo. Ma l’avventura finale di Solid Snake aveva dimostrato un’altra cosa: prima ancora della grafica, il mondo dei videogiochi aveva bisogno di storie originali e personaggi che si insediassero nella memoria. Aveva bisogno di luoghi virtuali che, prima che vasti o dettagliati, fossero da visitare e da vivere. La risposta arrivò appunto nel 2009, un anno dopo
MGS4. Ormai a ridosso di
Assassin’s Creed Origins, è il momento di ricordare il videogioco che ha reso possibile l’avventura di Bayek. Tiratevi su il cappuccio, perché stamattina parliamo di
Assassin’s Creed II.
Quattrocento storico e fantastorico
Il primo Assassin’s Creed aveva generato pareri contrastanti. Dove trama e grafica avevano riscosso unanimi consensi, ci si era scagliati con altrettanta forza sul limitato game design. Alla fine tutti quanti avevano visto l’epilogo della storia di Altaïr, ma era anche chiaro che il pubblico non avrebbe tollerato di nuovo tali “errori di gioventù”. La risposta di Patrice Désilets, il creatore originale di AC, fu un completo stravolgimento di contesto e protagonista. Un simbolico ripartire da zero audace ma difficilissimo: il Rinascimento Italiano. Sviluppato in silenzio, con solo qualche demo e qualche filmato CG per il pubblico, a fine 2009 il gioco uscì e il risultato fu strabiliante: le città rinascimentali sono ricreate con lo stesso amore di un affresco, divenendo completamente esplorabili, chiassose e piene di personalità. La trama si infilava organicamente negli intrighi politici di quel tempo, catturando assai più del precedente. Città piene di vita si affiancavano a grandi spazi aperti, con le dolci colline della Toscana da percorrere al trotto di cavallo. La premessa era sempre la stessa: esplorare i ricordi di un antenato per scoprire l’ubicazione del Frutto dell’Eden, potentissima arma lasciata sulla terra da una civiltà più antica di quella umana. Anche se ai tempi non era così evidente, in realtà il Frutto dell’Eden era solo una scusante per rievocare ogni volta una differente epoca storica. Se tali basi erano già state poste dal primo capitolo, è con ACII che letteralmente esplodono. Il gameplay che ne risulta ha dettato i canoni di tutti i successivi: dagli assassinii ai pedinamenti, fino all’infiltrazione. Volutamente “arcade” e semplificata, la progressione del gioco non mira all’abilità ma all’immersione e all’intreccio. La parabola che vivremo è quella di Ezio Auditore, ultimo rimasto di una nobile famiglia fiorentina, caduta in disgrazia presso i Medici a causa di un gonfaloniere corrotto. Il desiderio di vendetta si consumerà presto, per portare Ezio in un viaggio di quasi venticinque anni attraverso gli Stati italiani di fine Quattrocento.
L’affresco di Ubisoft
Ma nonostante tutti gli sforzi profusi nella trama, è di fatto l’ambientazione a avere più personalità. Questo perché il Quattrocento ricostruito da Ubisoft, prima ancora che rigore storico, mostra uno sconfinato amore per quell’epoca. Aiutate dal motore grafico potenziato, le città prendono respiro attraverso i monumenti famosi e i grandi spazi aperti. Ma non è lì, tuttavia, che la ricostruzione di Désilets acquisisce verosimiglianza. Il vero cuore del mondo di Ezio è da cercare nelle case del popolo, nei contorti dedali urbani. Sono queste strette vie piene di botteghe, mercanti, mercenari, nobili e prostitute che restituiscono il vero sentore di quello che poteva essere il Rinascimento. Ci si mimetizza nella folla, se ne osserva la vita e la ricchezza tanto da dimenticarsi della trama e dei suoi intrighi per semplicemente vivere le città. Lo stesso accade con il meta-gioco del restauro: in esso bisogna investire i guadagni per la ristrutturazione della cittadina di Monteriggioni, dominio degli Auditore fin dai tempi della battaglia di Anghiari del 1440. Non è semplicemente un “investi prima e raccogli la rendita poi”: l’aspetto della città varia sensibilmente a ogni restauro commissionato. Le botteghe riaprono, le vie si affollano e i colori si riaccendono, passando da smorti verdi scuri a più audaci intonaco e arancione bruciato. Anche qui, l’intenzione è chiara: far trasparire la concentrazione della ricchezza originatasi dalla creatività italiana. Un’ispirazione che, in maniera inaspettata anche per i suoi stessi artefici, ha avuto ripercussioni anche sul mondo reale. A seguito del gioco infatti Monteriggioni si è trasformata da “anonimo” paesino toscano a ambita meta turistica. Raramente un videogioco ha avuto così tanto impatto sul mondo reale, e volendo questo fa passare un po’ inosservati alcuni errori. La topografia generale delle città è stata infatti adattata al gameplay, onde renderle agevolmente percorribili a piedi. Ne risulta che molte volte i monumenti sono “addensati” in una sola parte della città. Se Firenze è sicuramente più proporzionata, in altre come San Gimignano e Forlì risulta troppo “compressa”. Vi sono poi alcune “forzature” architettoniche, dovute alla riconoscibilità dei luoghi: a parte l’assenza del Battistero a Firenze, appena fuori le mura di San Gimignano ci sono rovine di un teatro romano assolutamente non presenti nella realtà. La visione quindi è inevitabilmente “romantica”, e bisogna lasciarla un po’ correre per renderla riconoscibile a tutti. Mappe così “aperte” lasciano però intendere il voler veramente realizzare un mondo virtuale sconfinato, ambizione portata avanti fino a Origins.
Ezio, la convincente illusione
Uno dei motivi per cui i turisti ora visitano Monteriggioni è il cercare la (in realtà inesistente) villa di Ezio in città. E questo porta a un’ulteriore riflessione, con oggetto proprio Ezio Auditore. Un personaggio creato con un duplice scopo: essere la giusta “guida” nell’epoca storica e rappresentare il primo personaggio simbolo della settima generazione. Se il suo ruolo di “Virgilio” viene dalla sua vita “in viaggio”, la sua simbolicità si costruisce pian piano, e lo stereotipo è solo un punto di partenza. Egli infatti è un personaggio videoludico molto “italiano”, e non in senso negativo: è determinato, ironico, assetato di conoscenza e giustamente donnaiolo. La sceneggiatura lascia solo intendere le sue varie relazioni (molte delle quali saranno chiarite solo in
Brotherhood e
Revelations) ma allo stesso tempo dimostra molta fedeltà. È, per la prima volta in un videogioco, la rappresentazione dell’uomo rinascimentale: colui che coltiva diverse discipline con l’ambizione di riuscire in tutte. Non è un caso che Ubisoft gli affianchi nientemeno che Machiavelli. Anch’egli slegato dal facile stereotipo, la sua figura verrà progressivamente ampliata fino a farlo divenire il secondo mentore di Ezio.
Da questo contrasto tra reale e fittizio viene l’ultimo pensiero: Ezio è piaciuto così tanto al pubblico perché è verosimile, e non solo caratterialmente. Ubisoft lo ha collocato talmente bene nella sua epoca, nelle date e nei luoghi reali da aver creato la convincente illusione che possa essere veramente esistito. Perché è chiaro che non è mai esistito: il cognome Auditore ha origine ottocentesca. Eppure, anche con questa consapevolezza, non si può che pensare a lui come a un vecchio amico, che ogni giorno si tirava su il cappuccio e ci accompagnava nella sua epoca. Magari dopo un cappuccino.
Prima ancora di Brotherhood e Revelations, Assassin’s Creed ha trovato l’età adulta nel Rinascimento. Un’epoca dalla personalità sconfinata, che però Ubisoft ha ricreato con un amore che solo un appassionato poteva metterci. A fronte di un gameplay semplicistico, il videogioco cattura con il disegno delle città e una trama che si inserisce con naturalezza nella realtà, fino a invaderla con identica delicatezza. Assassin’s Creed II è il lascito di Désilets, il suo capolavoro più autentico e sincero. Non servono ulteriori giri di parole: questo è un videogioco non perfetto, ma che è entrato nella memoria collettiva. E per questo è da avere e da giocare, anche solamente per cultura personale.