Recensione

Assassin’s Creed Rogue, recensione della riedizione PS4

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Assassin’s Creed Rogue è il videogioco che, nel 2014 di piena cross-gen, in pochi si aspettavano. Un prodotto nato come “contentino”, una sorta di “fratello minore” di Assassin’s Creed Unity destinato a chi non aveva ancora fatto il passaggio di generazione e su cui non si poteva (o non si voleva) insistere troppo onde non far sfigurare Arno Dorian e la sua Rivoluzione Francese. Un videogioco in cui emerge con prepotenza una riproposizione massiccia di meccaniche da Assassin’s Creed III e Black Flag. Il destino per un simile gioco si prospettava gramo e per certi versi anche anticipato da suoi stessi creatori, cosa che l’ha portato a essere dimenticato abbastanza in fretta. Eppure in questo 2018 è proprio Rogue a essere oggetto di rimasterizzazione, immediatamente dopo la Ezio Collection. Il motivo è che Assassin’s Creed Rogue è un capitolo controverso in ogni senso, ma con la sorprendente determinazione, oggi come ieri, di voler effettivamente dire la sua sul Credo dell’Assassino.
Gli scheletri sono nell’armadio, subito accanto alle lame celate
Assassin’s Creed Rogue Remastered è nel mezzo in praticamente ogni cosa. A partire dalla trama: è infatti un capitolo ponte tra Assassin’s Creed IV: Black Flag e Assassin’s Creed III. La sua ambientazione è quella degli anni Cinquanta del Settecento, in piena Guerra dei Sette Anni. Protagonista della storia è Shay Patrick Cormac, promettente recluta dell’Ordine degli Assassini guidati da un ancora giovane Achille Davenport (futuro Mentore di Connor). Dopo un inizio molto “canonico” per la serie, tanto nelle meccaniche quanto nelle premesse, la trama vira bruscamente prima rendendo Shay un reietto e poi portandolo dall’altra parte della barricata. Cormac diverrà un Templare con l’aiuto del colonnello George Monro e andrà a caccia dei suoi vecchi compagni e maestri. L’avvenimento avviene però in maniera sottesa, e la sceneggiatura un po’ si disperde: la ribellione di Shay è infatti piuttosto “morbida”, e a parte alcune sequenze non si ravvisa molto il cambio di mentalità. Nonostante lo spirito da “predatore” e il carattere determinato, nel corso della trama Shay finisce troppe volte col sottomettersi al volere dei suoi superiori, abbozzando risposte con poca personalità. Dall’altro lato, il gioco delle comparse coinvolge buona parte di personaggi già visti nei precedenti AC ambientati in America, mentre gli inediti sono un po’ altalenanti. Se James Cook è poco più che una comparsa, dispiace vedere come un personaggio ben pensato come Hope Jensen abbia poche linee di dialogo. Fortunatamente il gioco si riprende leggermente nel finale, in quanto fornisce il punto di vista essenziale per interpretare al meglio i fatti narrati in Assassin’s Creed Unity.
Per converso bisogna dire che, anche dopo quattro anni, il cambio di fazione di Shay ha sempre un buon impatto. Per la prima volta Assassin’s Creed infatti porta alla luce il fatto che entrambi gli ordini (Templari e Assassini) sono pur sempre composti da uomini, che in quanto tali fanno errori e azioni anche terribili. Il distacco di Rogue dalla dicotomia del bene contro il male è probabilmente il contributo più importante che questo gioco porta in dote al suo brand, per quanto ovviamente di fondo rimanga ancora schierato con l’Ordine degli Assassini. La sceneggiatura si premura infatti di evidenziare (specialmente nelle sequenze del presente) i metodi coercitivi e falsamente individualisti dei Templari.
Ritorno al passato con elementi del futuro
Il gameplay di Rogue non era particolarmente originale già all’origine, e la remaster non si è mossa da questo. L’impostazione iniziale è esattamente quella di Black Flag: nelle primissime battute della storia si ottiene una nave e la si utilizza per muoversi all’interno di mappe marittime, alternando la missione principale ad attività collaterali. A questo si aggiungono le classiche missioni individuali per il brand, da effettuare in ambienti urbani più o meno estesi. Se Edward Kenway si muoveva in un’unica mappa di Cuba e dintorni, l’avventura di Shay ne presenta due, la River Valley e l’Atlantico del Nord. Meno estese del predecessore, si differenziano per la natura e il clima, e presentano un paio di insediamenti minori accessibili senza caricamenti. L’unica ambientazione cittadina è New York, la cui mappa è in buona parte ripresa da Assassin’s Creed III. Parimenti, le meccaniche a disposizione del giocatore, a terra come in mare, sono sempre le stesse: arrampicata, mimetizzazione e stealth sono quelli di Black Flag, con la cerbottana sostituita da un fucile ad aria compressa. Allo stesso modo non sono cambiati né il sistema di guida della Morrigan (la nave di Shay) né il suo sistema di potenziamento. Anche il combattimento, tanto in mare quanto a terra, non si muove da com’era su old gen. Se la trama principale è ristretta in sei sequenze di ricordi (all’incirca una decina di ore), le attività collaterali sono come sempre abbondanti e tengono impegnati per almeno il doppio del tempo. Se la conquista dei mari è ripresa da Edward, la lotta al crimine e il restauro delle città sono mutuate direttamente dalle avventure rispettivamente di Connor e Ezio. L’unico elemento effettivamente nuovo è la possibilità di subire abbordaggi e non solo farli. Questa condizione avviene quando la Morrigan viene speronata con successo dal veliero avversario, cosa che ci obbligherà a difenderci in corpo a corpo. Cacciare gli animali rimane comunque abbastanza velleitario, così come il potenziamento del personaggio, tanto che si finisce per concentrare tutte le finanze solo sulla Morrigan procurandosi i materiali con la pirateria.
Ma anche qui bisogna far presente il rovescio della medaglia. Per quanto per somma parte riciclato, il gameplay di Assassin’s Creed Rogue è calibrato e piacevole come pochi altri suoi pari. La Morrigan si guida che è un piacere, gli abbordaggi sono esaltanti e le ricompense si ottengono con costanza. Il gioco ha corretto alcuni difetti dei predecessori, semplificando il minigioco della flotta (stavolta ambientato nella Guerra dei Sette Anni) e aggiungendo variazioni allo stealth. Queste ultime nascono dalla necessità di fare i conti appunto con gli Assassini, le cui peculiari abilità sono conosciute ma finora le avevamo viste solo “da dentro”. Dispiace constatare come la riedizione non abbia contenuti aggiuntivi rispetto all’originale, se escludiamo qualche costume extra tra cui quello di Aguilar dal film e di Bayek da Origins.
Le rughe fanno bene ma non si vive solo di quelle
Siamo davanti a una remaster abbastanza nuda e cruda. Il gioco originale ha infatti meno di quattro anni sulle spalle e Ubisoft non ha voluto osare particolarmente. Il miglioramento più evidente è sui personaggi, le cui espressioni facciali sono state arricchite di rughe di espressione e maggiori dettagli su vestiti e capigliature. La luce dinamica è stata ugualmente potenziata, cosa che fa risaltare ancora di più i colori e dona un discreto colpo d’occhio ai bei paesaggi che il gioco ancora offre.
Ma bisogna anche constatare che gli aggiustamenti tecnici sono limitati. I cali di frame-rate sono finalmente un ricordo grazie a PlayStation 4, ma comunque permangono i difetti del periodo di transizione tra settima e ottava generazione. L’intelligenza artificiale dei nemici è rimasta al 2014, con le guardie che durante i combattimenti ancora tendono a “mettersi in fila” per farsi ordinatamente sconfiggere. Parimenti i cittadini comuni tendono ad andare un po’ troppo “nel pallone” specialmente durante le sequenze scriptate, un dettaglio che potrebbe far calare il coinvolgimento su momenti altrimenti oggettivamente spettacolari. Il motore mostra qualche indecisione nello streaming dei dati e la telecamera a volte si compenetra con gli elementi solidi, tutti difetti accettabili su PS3 e Xbox 360 ma che ora danno un po’ fastidio. È poi un peccato che non siano intervenuti sull’orizzonte visibile, che sui pannelli moderni esibisce linee fin troppo dritte negli edifici lontani, cosa che sporca un po’ i panorami. C’è stato un momento in cui il gioco non ha caricato il modello di Shay durante un filmato, ma per fortuna è stato solo un episodio isolato. La colonna sonora non è stata toccata, dalla presenza sottile ma con un buon riarrangiamento del tema portante epico presente fin da Assassin’s Creed II.

-L’Assassin’s Creed più controverso, in tutti i sensi

-Equilibrato, vasto e divertente

-Corretti i limiti della precedente gen…

-Era e rimane un riciclo di asset

-Protagonista anonimo nonostante tutto

-… Ma solo quelli grafici

7.0

Assassin’s Creed Rogue Remastered è uno strano paradosso. Da un lato è un capitolo “di raccordo”, pensato originariamente per concludere quanto ideato e perfezionato sulla settima generazione; dall’altro è un videogioco che arricchisce in maniera inaspettata l’universo narrativo di Assassin’s Creed, fornendo un altro punto di vista della tematica di fondo della serie. Se per somma parte rimane un riutilizzo di idee, è anche vero che qui esse raggiungono il miglior compromesso tra trama, coinvolgimento e attività collaterali, limitandone ancor di più i difetti congeniti. La remaster non apporta cambiamenti significativi né a livello di contenuti né di tecnica. I fan più accaniti lo possederanno già su old gen, e non è da escludere che sia piaciuto loro più dell’acerbo Assassin’s Creed Unity, e se non collezionisti difficilmente avranno volontà di riacquistarlo. Di contro, potrebbe essere una buona occasione di riscoperta per coloro che hanno conosciuto la saga proprio a partire dalla current-gen.

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7

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