20 anni di Devil May Cry: la Divina Commedia secondo Capcom

A vent’anni dal suo esordio nella terra del Sol Levante, ci rifacciamo un giro con Dante al castello di Mallet, per il primo e indimenticato Devil May Cry

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Doveva essere Resident Evil 4, ma è poi divenuto un brand a parte. È nato da un bug di Onimusha: Warlords che permetteva di sospendere in aria un nemico e continuare a colpirlo, con un protagonista pensato come un “divertente compagno di bevute” e una sceneggiatura scritta per rimandare vagamente alla nostra Divina Commedia.

Tutte premesse mostruosamente over the top, dalle quali poteva nascere solo Devil May Cry, l’action campione di stile rimasto nel cuore della generazione PlayStation 2. Il 23 agosto 2021 il gioco celebra in Giappone i suoi vent’anni dall'uscita (in Europa il compleanno sarà il 7 dicembre) su tale console: quale migliore occasione per tornare alla prima avventura di Dante?

L’acchiappademoni d’argilla

Non possiamo che partire proprio da lui, quel Dante protagonista di Devil May Cry. Se il suo carisma non è mai stato in discussione, vale la pena riflettere sulla sua caratterizzazione. A cominciare dalla sua concezione: nato inizialmente come un altro protagonista di Resident Evil, il suo fato mutò radicalmente quando in Capcom si resero conto di aver creato un personaggio così “cool” da poter reggere un brand a parte.

Quella della coolness sarebbe poi divenuta idea principe di tutta la proprietà intellettuale, specialmente con il passaggio della regia a Hideaki Itsuno. Tuttavia a rivederla oggi la visione di Devil May Cry da parte di Hideki Kamiya è per certi versi ancora lontana da molti eccessi futuri. Anzi, il suo Dante assume i tratti del tormentato antieroe, che tenta in tutti i modi di sotterrare con l’umorismo una situazione familiare difficile nonché irrisolta, simboleggiata dalle collane gemelle.

In effetti, il bonario sarcasmo di Dante sarebbe stato il suo unico tratto caratteriale a sopravvivere al corso degli anni. La sua personalità è infatti passata per le mani di molti sceneggiatori che, per alterne necessità, ne hanno più volte rimaneggiato i lati caratteriali. Un fattore che si è riflesso anche a livello estetico: in questo primo Devil May Cry vediamo un Dante assai più “composto” sia nei lineamenti longilinei che nel vestiario. La vera esplosione caratteriale di Dante si sarebbe verificata con il terzo capitolo, uscito nel 2005 ma cronologicamente prequel. E non si può non sospettare che il suo forte incremento di autostima, sicurezza e sprezzo del pericolo che vediamo in Devil May Cry 3 sia dovuto anche alla recitazione istrionica di Reuben Langdon, lo stuntman statunitense che fin da allora lo interpreta.

Due ulteriori curiosità sul protagonista: inizialmente Dante doveva chiamarsi Tony; questo nome è stato poi inserito nel suo background come Tony Redgrave, pseudonimo che avrebbe adottato per un po’ in gioventù (circostanza ripresa pure in un episodio della serie animata). Per rimarcare poi le origini indirettamente italiane dell’acchiappademoni è stato deciso di rendere la pizza il suo cibo preferito. A questo riguardo, un paio d'anni fa (per festeggiare l'uscita di DMC5) l’account Twitter di PlayStation Japan ha pubblicato un mini-video con la ricetta della pizza prediletta di Dante. La così battezzata Devil May Cry Pizza si è quindi rivelata come una piccantissima diavola che alle fette di salame aggiungeva i tradizionali jalapeños, i peperoncini messicani.

Devil May Cry: i burattini di Mallet

Non occorre indugiare molto sul sistema di combattimento di questo primo Devil May Cry: seppur oggi potrà risultare rigido ai più, è evidente la sua solidità. Il senso della novità riguardo il poter concatenare colpi di corpo a corpo ed armi da fuoco ormai chiaramente non c’è più, ma le belle evoluzioni sono rimaste. C’è da dire come il ventennio trascorso lasci trasparire alcune esagerazioni molto giapponesi, nonché collegamenti bizzarri. Uno per tutti: il boss Nightmare ha un’estetica e un design tali che pare quasi un boss scartato da Final Fantasy VIII.

A parte i soliti mostri giganti (prevedibili, vista la passione dei giapponesi per questo tipo di avversari) con gli anni sono i nemici comuni ad essersi resi interessanti. Lontani dagli Spaventapasseri del quarto capitolo e dagli ebeti Pride del terzo, le marionette del castello di Mallet guadagnano in inquietudine, nella loro natura di legnosi cadaveri sospesi da fili visibili solo in controluce.

In qualche modo, è come se Dante fosse fermo e il Castello di Mallet gli scorresse sotto, segno di quanto il brand, nella sua prima incarnazione, fosse ancora estremamente debitore a Resident Evil. Esattamente come la serie madre, Devil May Cry conservava in parte una progressione fatta di inquadrature semi-fisse, oggetti da trovare e porte da sbloccare. È una vocazione horror che, a parte gli intenti auto-citazionistici (il primo Resident Evil si ambientava in una villa isolata piena di orrori) evidenzia la natura crepuscolare del castello, fatto di stanze a soqquadro e claustrofobiche scalinate a chiocciola.

Devil May Cry: la Divina Commedia secondo CAPCOM?

Come abbiamo accennato all’inizio, parte dell’ispirazione di Devil May Cry proviene dalla Divina Commedia. Del resto basta ancora una volta ripensare al protagonista del gioco, chiamato Dante esattamente come l’autore della Commedia. Tuttavia l’omonimia tra il massimo poeta fiorentino e il nostro acchiappademoni preferito è talmente ovvia che parlarne è quasi ridicolo. Assai più interessante è vedere come le allusioni alla Divina Commedia in Devil May Cry siano molto più sottili e concettuali.

A cominciare dai comprimari: l’ambigua figura femminile di Trish porta un nome che in inglese è storpiatura anche di Beatrix, variante (derivata dal latino) di Beatrice, esattamente come la Beatrice Portinari amata da Dante Alighieri; inoltre, il fratello gemello del Dante di Devil May Cry si chiama Vergil (Virgilio). Anche in questo caso l’allusione è molto ovvia; meno ovvio e più sottile il fatto che nel gioco Vergil, sotto mentite spoglie, più volte (previo combattimento) lasci a Dante vari indizi su come proseguire, fungendo da sua guida indiretta nel castello di Mallet esattamente come Virgilio era guida diretta per il Dante poeta.

In effetti, tutto il primo Devil May Cry assume i tratti della metaforica discesa agli inferi, con il castello di Mallet che si deforma e distorce man mano che viene infestato dai demoni. Fino al culmine: il presentarsi del grande antagonista Mundus sotto imponenti vesti angeliche è simbolo della natura ingannevole dei demoni, che nella loro perversa astuzia si mascherano di vesti benevole opposte alle loro vere intenzioni.

Conclusione: il castello solitario

La ventennale carriera del Dante di Capcom iniziava in un castello isolato infestato da presenze inquietanti. Lungi dal parlare di un gameplay ormai arcinoto, in questa sede abbiamo voluto portare alla luce i significati meno ovvi del primo Devil May Cry, quelli che solo il passare del tempo può far emergere. Così come solo il tempo può evidenziare come il tono dell’esordio fosse ben diverso da quello che poi è stato il futuro.

A questo punto la domanda sorge spontanea: il primo Devil May Cry è un videogioco d’autore? Forse no, ma è innegabile che la presenza di Hideki Kamiya abbia donato all’esordio di Dante un’atmosfera crepuscolare e intima poi mai più riproposta.

Esagerato ma non eccessivo, il primo Devil May Cry si scriveva come una storia sul tema dell’abbandono familiare, con un Dante che appariva tormentato e, proprio per questo, molto più umano. Alla fine, come per tutte le opere significative bisogna tornare al suo titolo: i diavoli potrebbero piangere, a differenza degli umani che invece piangono sempre. Ma proprio questa loro debolezza si trasformerà sempre nella loro più grande forza.

Se non avete ancora recuperato l'avventura più recente di Dante, qui potete trovare Devil May Cry 5 per le console di nuova generazione!
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