«Spesso, quando parliamo dei disastri, ci dimentichiamo di tenere in considerazione l'effetto che hanno sulle persone». Presenta così il suo Vajont la director Iolanda Di Bonaventura. Classe 1993, l'artista è sopravvissuta al terremoto de L'Aquila del 2009 e sente molto vicino il tema di cui sta parlando.
È anche da quello che nasce l'idea di realizzare un'esperienza videoludica, in questo caso in realtà virtuale, che possa narrare un disastro dal punto di vista individuale. E il disastro, in questo caso, è quello del Vajont, orribile e indimenticato, del 1963.
«'Disastro' è una parola lontana, impersonale, a volte così seria che non porta nemmeno emozioni» continua Di Bonaventura, introducendo la sua visione sul progetto. «Siamo tutti così spaventati dalla nozione di catastrofe, che preferiamo concettualizzarla come una parola pesante, astratta, che non ha conseguenze tangibili».
«Questo strano meccanismo di rimozione a volte ci fa dimenticare che la 'Grande Storia' è fatta di tante piccole storie: di narrative umane e individuali della vita di tutti i giorni, che riflettono delle sensazioni e delle emozioni all'apparenza banali».
È proprio dalla voglia di raccontare questa contraddizione che è nata l'idea di Vajont VR. Il gioco, che è più appropriato definire come un'esperienza, ci viene presentato dall'autrice come un modo di fare non tanto storytelling, ma story-living. «Cosa posso imparare e scoprire su me stessa se il mio ruolo non è più quello di una spettatrice passiva, ma di una partecipante attiva alla storia?» si chiede Di Bonaventura.
I suoi sforzi, con il team Artheria, hanno così dato vita a un'esperienza realizzata in computer grafica, in cui il giocatore si ritrova catapultato nel Vajont e affronta una storia con narrativa ramificata, in cui è possibile compiere oltre 54 scelte per arrivare a tre finali differenti, a seconda delle proprie decisioni.
I due protagonisti, marito e moglie, a qualche ora dal disastro hanno opinioni discordanti: lei fiuta il pericolo e vorrebbe andarsene, lui assicura che non c'è niente da temere. Perché qualcosa ci tiene incollati ai luoghi a cui sentiamo di appartenere, anche di fronte all'apparente (e in questo caso, purtroppo reale) pericolo? È uno dei temi che il gioco vuole approfondire.
Il gioco narra così la storia di fantasia di due personaggi inventati, ispirati dai fatti reali del Vajont. L'intento, spiega la director, non era infatti quello di sensazionalizzare la tragedia, o di farne un'esperienza-documentario. «Volevamo contrarci sulla riattivazione di processi di memoria e sensibilizzazione, in un contesto internazionale, dimostrando l’attualità di sentimenti e dinamiche istintive, di cui diventare consapevoli».
Potete approfondire la conoscenza con Vajont VR visitando il sito ufficiale del gioco, che è anche supportato da Ministero per i Beni e per le Attività culturali e per il Turismo. Se, invece, siete curiosi di scoprire i passi mossi dal progetto per diventare realtà (virtuale, è il caso di dirlo!), potete vedere a questo indirizzo il video dietro le quinte.